Corriere della Sera, 5 dicembre 2024
Caso Amara, la Cassazione: appello bis per Davigo
Mezzo condannato dalla Cassazione l’ex pm di Mani pulite Piercamillo Davigo, per concorso nella prima delle due rivelazioni di segreto imputategli attorno agli interrogatori segreti dell’avvocato Piero Amara sull’asserita associazione segreta «Loggia Ungheria», consegnati-gli nella primavera 2020 dal pm milanese Paolo Storari per sbloccare a suo avviso la ritenuta inerzia dei capi della Procura milanese nell’indagare in fretta per sepa-rare verità e calunnie; ma Davigo è mezzo assolto – sempre dalla Cassazione e proprio nel giorno in cui a Milano muore il suo primo difensore Francesco Borasi – per la seconda e più grave rivelazione imputatagli, e cioè per aver fatto circola-re quei verbali nel Csm di cui faceva par-te. Con questo colpo di scena nella tarda serata di ieri la Cassazione ordina che si celebri un Appello-bis su questa seconda imputazione, mentre giudica ormai irre-vocabile la responsabilità di Davigo per la prima, di cui dunque i giudici del nuovo Appello dovranno anche rideterminare il segmento di pena rispetto ai 15 mesi in-flittigli sinora a Brescia dalle conformi sentenze di primo e secondo grado, che avevano anche riconosciuto il risarci-mento dei danni a uno dei nominati da Amara, l’ex membro Csm Sebastiano Ardita. In attesa delle motivazioni si può cogliere nei motivi di ricorso del profes-sor Franco Coppi e dell’avvocato Davide Steccanella la tesi giuridica per la quale, disvelato un segreto la prima volta, le successive propalazioni non integrereb-bero più ulteriori reati di rivelazione di segreto. Davigo si era sempre difeso so-stenendo che, «se io ho commesso rive-lazione di segreto d’ufficio, allora loro» (cioè i vertici del Csm Ermini e della Pro-cura generale di Cassazione Salvi, 5 altri membri del Csm, e l’allora presidente grillino Nicola Morra della Commissione Parlamentare Antimafia) «avrebbero do-vuto denunciarmi» visto che «l’omessa denuncia di reato da parte di un pubblico ufficiale è reato», e dunque «avrebbero dovuto essere incriminati per omissione d’atti d’ufficio»: ma «a nessuno di loro venne in mente di dovermi denunciare, perché nessuno di loro pensò che il mio fosse un reato». A rendere però ancor più intricata l’interpretazione del dispositivo è il fatto che Davigo parrebbe condanna-to (come concorrente esterno attraverso la prospettazione a Storari della pretesa liceità della consegna dei verbali a un membro del Csm) per la medesima ini-ziale rivelazione di segreto da cui invece Storari è già stato assolto in via definitiva.