la Repubblica, 5 dicembre 2024
Intervista a Stefano Accorsi
Lanciata dallo slogan tormentone – “da un’idea di Stefano Accorsi” —1992 compie dieci anni all’inizio del 2025.
Nel frattempo, l’attore che nella serie su Tangentopoli incarnava l’ambiguo pubblicitario Leonardo Notte entra come agente dei servizi segreti deviati nella seconda stagione diThe bad guy,da oggi su Prime Video. Altra pagina di Storia, racconto grottesco della lotta tra mafia e Stato, regia grintosa di Giuseppe G. Stasi e Giancarlo Fontana. E, tra gli sceneggiatori, ritroviamo Ludovica Rampoldi, uno dei tre pilastri di scrittura della serie Sky.
Capello biondo e occhiale da burocrate del male, il suo agente è un perfetto “bad guy”.
«Sì, nel suo muoversi tra dramma e farsa, inquietudine e risata amara, in quella terra di mezzo tra legalità e illegalità, Stato e antistato. Nella sua spietatezza c’è qualcosa di involontariamente ridicolo e casuale, elemento che ho ritrovato sempre affrontando il mondo dei servizi segreti: quella nota stonata che rende l’insieme molto più intonato a un nostro specifico italiano. Appartiene al dna della commedia italiana, neiPromessi sposi,nell’ Orlando furioso :quel qualcosa che ti strappa una risata amara».
Dieci anni fa “1992” consegnava un racconto inedito del Paese, tra politica, crime e sentimento.
«L’idea di accostare personaggi di fantasia a stretto contatto con quelli reali ci ha regalato libertà, autenticità rispetto alla narrazione del Paese.
Cinque anni di lavoro, un gruppo di scrittori e la consulenza degli avvocati. Una serialità che prima non c’era. Alla vigilia ci si aspettava un pro o contro Berlusconi, poi s’è visto che il discorso era più complesso. La serie è stata vista nel mondo e da tanti giovani. In alcune università milanesi la mostrano per analizzare l’ambito politico economico di quel periodo».
La famosa idea come nacque?
«Vivevo in Francia. Quando hai un certo tipo di successo, in un attimo passi dall’essere indispensabile a quello che ha rotto le scatole. Prima propongono tutto, poi non arriva più niente. Ho iniziato a costruire progetti, l’ Orlando furioso a teatro, la serie politica, “l’idea” dietro la quale c’è stato un gran lavoro. Mi sono tolto dalla “bassa marea” rilanciando.
L’idea iniziale era una serie su Berlusconi, ma nessuno la voleva, ci siamo spostati sull’uomo nuovo della Seconda Repubblica».
Quando ha iniziato a interessarsi di politica?
«A vent’anni ne ero rapito, oggi la vedo nella sua complessità, tante cose non mi piacciono. Mi intriga la geopolitica, la gestione del potere. Ho due progetti grossi, uno su come le fake news influenzano il presente.
Poi vorrei raccontare il lato b della nostra Storia, il punto di vista dei servizi segreti a partire dal Dopoguerra. È difficile ma ho imparato che non bisogna mai demordere. L’Italia mi affascina, è uno dei Paesi più complessi del pianeta».
Quali sono stati i registi fondamentali nella sua carriera?
«Pupi Avati, il primo con cui ho lavorato, a vent’anni. Ero iscritto alla scuola di teatro; prima di iniziare le lezioni in autunno scopro che sta cercando attori per Fratelli e sorelle,con riprese negli Usa. Tre provini, poi mi prende. Per uno che non ha mai fatto nulla è stata un’iniezione di fiducia che mi ha sostenuto anche dopo, nei momenti difficili».
Provini complicati? Bocciature clamorose?
«Nanni Moretti mi contatta per La stanza del figlio.Studio come un matto, ma lì la cosa non mi viene. Lo vedo perplesso, “ti facciamo sapere”.
Soffrivo, sapevo che era andato male e ho chiesto con forza di rifarlo.
Torno dopo due giorni, due notti insonni. Febbrile, stanco, ci tengo da morire. Stavolta finisce bene. Non succede con Marco Risi, per L’ultimo Capodanno : faccio un provino senza motivazione. Mi ricordo in Piazza Mazzini, prima di entrare, il calo di energia, metto la testa sotto l’acqua per riprendermi. Non solo va male, ma non stabilisco neanche un contatto. La giornata è brutta, quella dopo peggio. Alla fine, il ruolo va a Claudio Santamaria».
Con il gruppo storico di “L’ultimo bacio": lei, Santamaria, Favino, Giorgio Pasotti… vi sentite ancora?
«Certe esperienze ti segnano. Ci sentiamo e vediamo con Claudio e Pierfrancesco, soprattutto scherziamo. Abbiamo corso le vite in parallelo, specie con Picchio: i nostri primi figli, la sua Greta e il mio Lorenzo, sono nati sullo stesso set,Saturno contro di Özpetek. Sarebbe bello ritrovarci, ma produttivamente è difficile mettere insieme un cast corale di un certo tipo».
Un sequel di “L’ultimo bacio” con i vostri personaggi di allora?
«Gabriele (Muccino, ndr )è un uomo che riserva mille sorprese, magari gliene parlo...».
Ricordi di quel set nel Duemila?
«La scena in cui i nostri fanno bungee jumping. Ci eravamo fatti promettere da Domenico Procacci che l’avremmo fatto davvero. Quella sera, in fibrillazione, ci inzeppiamo in una roulotte. Cantiamo, suoniamo, io sbatto su un tappo di birra e mi stampo un “tatuaggio” sulla fronte, Santamaria sfonda per sbaglio un bongo preziosissimo. Alla fine, ci precipitiamo sulla scena e ci dicono “l’assicurazione ve lo vieta”. Andiamo verso Procacci che, già imbracato, si butta giù col bungee jumping e poi si eclissa».
Il suo rapporto con i social^
«Ci sono arrivato tardi, prima li sentivo invasivi. I social cambiano la percezione che gli altri hanno di te.
Nei primi filmati del Novecento la gente non sorrideva, oggi è un riflesso automatico, mostrare solo il lato migliore. Ma con i social leggi nei pensieri delle persone, che scrivono anche senza filtro, d’impulso. Ho avuto il dubbio ma non ho lasciato X, che resta per me un osservatorio d’umanità interessante».