Linkiesta, 4 dicembre 2024
Assecondare i figli
Quella cretina di mia figlia, dice B., stanotte aveva il telefono in mano per strada, l’hanno spintonata e gliel’hanno rubato. Ovviamente non chiedo come stia la piccina sconvolta, perché ognuno ha la sua parte in commedia, e la mia è chiedere: mica starai andando a ricomprarglielo?
Certo che sta andando a ricomprarglielo, come già aveva fatto un anno fa quando la piccina s’era fatta rubare il telefono non so dove altro e con quale altra traumatica scusa, e non venite sui social a scrivermi che è victim blaming: certo che biasimo la vittima del furto d’un telefono da mille euro, certo che non ci sta attenta perché non ha mai lavorato per comprarselo.
I figli ti rincoglioniscono, dice V., mentre parliamo d’un comune amico che, quand’avevo vent’anni, mi rimproverava di non essere abbastanza emancipata dai genitori, e ora che i suoi figli ne hanno venti e passa li fa lavorare con lui perché, piccini, mica possono affrontare quel brutto mondo là fuori soli soletti.
V. sta parlando del nostro comune amico ma potrebbe star parlando di chiunque conosciamo, gente che condivide le soddisfazioni professionali di figli poco interessanti con amici che scrivono sotto le foto dei figli venticinquenni al primo stage quel che quindici anni prima scrivevano sugli stessi social sotto i filmini delle recite scolastiche: che bello, che bravo, com’è cresciuto. Pure – specialmente – se non sono né particolarmente belli né particolarmente bravi.
Una delle cose che fanno più ridere dei social e dell’annesso dovere di dire cose profonde sono le madri di femmine che ti spiegano che alle bambine non bisogna lodare la bellezza ma l’intelligenza, e io non vorrei sempre citare Vittorio Gassman che dice all’Emanuele Salce cinquenne «Lo sai, sì, che non hai una conversazione interessante», ma mi ci costringete: non si sanno allacciare le scarpe e volete che gli lodiamo l’intelletto?
Spero per voi che siano belle, perché almeno quando saranno orfane il telefono che continueranno a farsi rubare come le fesse che sono glielo ricomprerà qualcuno sedotto dalla loro beltà, visto che di certo non sapranno provvedere a loro stesse con altro che la seduttività – se funzionava sulla mamma, funzionerà su tutti – e visto che i soldi che avrete scialato ricomprandogli telefoni non glieli farete ereditare, non rendendole mai bucaniere in grado di comprarsi mariti squattrinati ma con titoli nobiliari.
Non che noialtre fossimo immuni dalle stronzate consumiste, per carità, però vivevamo in una società che aveva ancora un’idea della distanza tra il sostentamento e il lusso, e sospetto che se la madre di B. le avesse comprato una Kelly (è una borsa costosa, lo dico per i lettori maschi), e lei se la fosse fatta rubare come una fessa, poi sarebbe andata in giro con i suoi averi in una sportina del fruttivendolo: certo la madre non si sarebbe precipitata il mattino dopo alla boutique di Hermès (è il fabbricante delle borse costose, sempre nota per maschi).
Dice B. che lei il telefono lo compra per sé, mica per la figlia: per sapere dov’è e a che ora torna. Io faccio caritatevolmente finta di non sapere che tanto poi quella figlia da quel telefono non le risponderà, non la rassicurerà, le fornirà sempre e solo materiale per sospirare che la maternità è proprio difficile con questi figli maggiorenni e inabili a comprar cose con i loro soldi che neanche ti dicono «Dormo fuori», che neanche ti mandano un messaggino se non per dirti «Fammi una ricarica».
Però le dico che per chiamarla e sapere a che ora torna va bene anche il Nokia da 16 euro e 55 più Iva, dura pure più a lungo la batteria, ti ricordi quando i telefoni non li usavamo per i giochini e per l’internet e la batteria durava giorni e la cosa più grave che ci potesse accadere non era d’uscire senza il caricabatterie in borsa?
Ma lo dico perché è la mia parte in commedia, mica perché penso che B. abbia letto Jonathan Haidt e si sia trasformata in una di quelle madri che ai figli comprano solo cellulari non intelligenti, figuriamoci, B. è una donna del presente, vive nel suo tempo e nella performance, sa che la figlia diciannovenne non è in grado neanche di andare al bar all’angolo senza le mappe sul telefono, esige che la figlia le mandi la geolocalizzazione se non trova un taxi così può mettersi un cappotto sul pigiama per andarla a prendere alle tre di notte (altra cosa che la madre di B. non avrebbe fatto, perché era diventata madre in un secolo che, non dovendo ancora inventarsi ansie per compensare l’aver risolto i problemi veri, poteva permettersi la sanità mentale e l’idea che i figli fossero in grado d’arrangiarsi, se abbastanza grandi da star fuori la notte).
Certo che B. comprerà alla figlia il terzo telefono da mille euro in tre anni, e numerosi caricabatterie acciocché ella non possa mai usare la scusa del telefono scarico per scansare l’invadenza materna (la userà comunque). Lo farà per molte ragioni, solo l’ultima delle quali è che è difficile negare a qualcun altro una nevrosi che hai anche tu.
Ieri ero nella sala d’attesa del Frecciarossa alla stazione di Milano, e mi ero messa nell’angolo dove ci sono due prese, ma l’ultima volta ne funzionava solo una, e questa volta anche. Quindi mi sono attaccata a ricaricare il telefono a quella funzionante, e dopo un po’ è arrivata una tizia (con una Kelly molto vecchia e molto stupenda) che ha attaccato il suo cellulare ignara alla presa non funzionante, e io stavo leggendo ma con la coda dell’occhio mi sono accorta che dopo un po’ si era accorta che il telefono non si stava ricaricando, ed è iniziata una sfida di evitamento, lei mi guardava per chiedere scusi ma la sua funziona, e io non alzavo gli occhi dal mio Parise per non incrociare il suo sguardo e doverle confessare che sì, mi ero consapevolmente presa l’unica presa funzionante, e lei aveva un Kelly più bella delle mie [quindi Soncini ne ha diverse! ndr] ma delle due ero solo io a poter scansare il disastro più disastroso possibile, cioè che mi si scaricasse il telefono prima di sera.
B. comprerà il terzo telefono da mille euro alla piccina non solo perché la piccina non ha interesse per le Kelly e vuoi mettere il risparmio. Non solo perché vive in questo secolo e sa che toglierti il telefono con cui guardare Netflix è una violazione dei diritti umani. Non solo perché i figli ti rincoglioniscono. B. glielo comprerà perché the heart wants what it wants.
Lo scrisse Emily Dickinson, ma io non sto pensando a lei. Sto pensando a quando lo disse Woody Allen, a proposito dell’essersi innamorato della figlia della sua fidanzata. Sto pensando alla moglie di Calenda che racconta che il marito stava in una casa in cui si girava in pareo perché non sapeva come funzionasse un termostato, e quindi in inverno in casa c’erano quaranta gradi. Sto pensando a Chris Martin, che è inglese e quindi non gli fa impressione l’aristocrazia, e si trova costretto ad assecondare l’americanitudine della sua ex moglie, della sua ex suocera, di sua figlia al ballo delle debuttanti di Parigi, bucaniere disposte a pagare fortune per comprarsi un ruolo sociale (o tre telefoni).
E questo era il mio editoriale sul presidente degli Stati Uniti d’America che due mesi prima di mollare il lavoro concede la grazia al figlio, sull’elettorato di sinistra che gli trova ogni sensata motivazione che mai avrebbe trovato per analoga operazione fatta a destra, su una delle mie intellettuali americane preferite che ha scritto che insomma, ha seppellito una moglie e due figli, certo che non vuole che il figlio vada in galera, su quanto si sbagliava Filumena Marturano a dire a Domenico Soriano che i figli non si pagano, e sull’inspiegabilità dell’aver gli editori italiani intitolato il romanzo di Edith Wharton I bucanieri, quando era ovvio che le bucaniere erano le femmine.