Libero, 4 dicembre 2024
Record di impiccagioni in Arabia Saudita
L’Arabia Saudita cerca di presentarsi sempre più come un Paese in via di modernizzazione, tra grandi campagne di promozione del turismo e sponsorizzazioni sportive a tutto campo (che peraltro a ottobre hanno portato alla protesta di cento calciatrici contro il logo Aramco sui Mondiali Femminili).
Ma di passare dalla monarchia assoluta di diritto divino a un qualche rudimento di democrazia non se ne parla proprio, e in compenso un triste record di produttività è quello del boia. Le 303 esecuzioni del 2024 sono infatti un record assoluto che ha stracciato le performance dell’anno passato, secondo un conteggio dell’Afp aggiornato ieri in seguito agli annunci del ministero degli Interni di Riad. Quattro persone condannate per reati comuni sono state messe a morte, ha annunciato infatti il ministero saudita, portando dunque il numero di esecuzioni a 303 dall’inizio dell’anno. Nel 2023 l’Arabia Saudita aveva giustiziato 170 persone secondo un conteggio Afp basato su dati ufficiali.
Secondo Amnesty International, che dal 1990 registra le esecuzioni nella ricca monarchia del Golfo dove si applica rigorosamente la legge islamica, nel 2023 il regno era stato il terzo Paese al mondo per numero di detenuti giustiziati, dopo Cina e Iran. In precedenza, il primato di esecuzioni in un singolo anno nel Paese era stato di 196 nel 2022 e 192 nel 1995, secondo Amnesty.
Taha al-Hajji, direttore legale di una Organizzazione saudita europea per i diritti che ha sede a Berlino, ha definito le esecuzioni del 2024 «incomprensibili e inspiegabili», condannandone la «velocità». Lina al-Hathloul, responsabile della comunicazione di Al Qst, organizzazione per i diritti umani in Arabia Saudita che ha invece sede a Londra, ha confermato che il numero di esecuzioni è «senza precedenti».
L’Arabia Saudita, il principale esportatore di petrolio al mondo, è stata costantemente criticata per il suo uso della pena di morte, che i gruppi per i diritti umani ritengono eccessivo e in contrasto con gli sforzi del regno di presentare un’immagine di modernità nel mondo. Il principe ereditario Mohammed bin Salman, sovrano de facto del Paese e fautore appunto della facciata di modernizzazione, nel 2022 aveva dichiarato alla rivista The Atlantic che il regno aveva limitato la pena di morte ai crimini gravi. «Le cifre non mentono e contraddicono completamente queste affermazioni», ha osservato Hajji.
Riyadh ritiene che la pena di morte sia necessaria per «il mantenimento dell’ordine pubblico» e che i condannati siano stati giustiziati solo «dopo che tutte le vie di appello sono state esaurite». Nel 2024, 103 persone sono state giustiziate per traffico di droga e 45 per «casi legati al terrorismo». Nel 2022 il Regno ha posto fine ad una moratoria di tre anni sulle esecuzioni di autori di reati legati alla droga. Lo stesso anno, le Nazioni Unite hanno chiesto a Riad di porre fine all’esecuzione delle persone condannate per traffico di droga, affermando che le dure condanne pronunciate contro di loro contraddicevano gli standard internazionali. Tra le 303 persone giustiziate dall’inizio dell’anno ci sono 113 stranieri, un altro record, la maggior parte dei quali condannati per traffico di droga.
L‘Arabia Saudita ha effettuato più di 1.000 esecuzioni da quando re Salman è salito al potere nel 2015, secondo un rapporto pubblicato all’inizio dello scorso anno. 81 persone sono state giustiziate in un solo giorno per “crimini terroristici” nel marzo 2022.