la Repubblica, 4 dicembre 2024
Grillo, nella lite uno vale l’altro
Tentando il black humor con la propria «morte compostabile» e guidando un carro funebre come rifugio di vita, Beppe Grillo ha pubblicato, per sopravvivere, il video-necrologio di se stesso, come quel tipo che si buttò dalla finestra per sfuggire alla morte.E infatti mentre rimpiangeva il caro estinto, con la colonna sonora della nona di Beethoven, che è il requiem di tutti i finti funerali, e mentre santificava «i perduti sacri valori» farlocchi del vaffa, della scatola di tonno e della cretinocrazia della Rete, il viso di Beppe Grillo si componeva in quello di Giuseppe Conte.Grillo lo chiama Oz, «perché ogni volta che lo cerco non si fa trovare», dimenticando che anche Grillo si incappucciava nel covo di Bibbona e non si faceva trovare da Conte. Infrattato come Berlusconi in una delle sue ville, anche quella famigerata inSardegna fra le acacie e i cavi usb, non partecipava alle campagne elettorali perché si sentiva, ricordate? «stanchino», e diceva «non c’è più bisogno di me», «ormai comanda il Direttorio», e a Conte, da sotto una tenda nera, ogni tanto mostrava il bastone, accusandolo, per esempio, di non avere «né visione politica né qualità manageriali». E poi invece lo invitava a pranzo e l’altro ci andava, e si faceva fotografare in maglietta da spiaggia, più grillino che mai, senza la giacca e il fazzoletto a tre punte che era la sua divisa da avvocato del popolo.Maramaldo di varietà, Grillo gli cedeva il potere e gli concedeva la libertà: «Dopo che ho mandato affanculo tutto il mondo, ora fatelo voi e il Movimento diventerà vostro e basta, senza nomi e cognomi». E quelli si sono presi la libertà mentre Grillo si faceva versare 300mila euro l’anno, la rendita di un potere che a poco a poco perdeva sino ad arrivare all’oggi, al carro funebre, alla sfida sul nome e sul simbolo con i suoi diciannovisti riacciuffati alla gola dal “come eravamo”, sino al sottosopra di Conte che fa il Grillo e di Grillo che fa il Conte perché i diversi sono diventati uguali e finalmente l’uno vale l’altro.C’è, tra loro, la somiglianza degli sconfitti in lite. E nel «meraviglioso movimento», nell’«humus che non muore», nella rievocazione del «mio coraggio» e «del cuore di milioni di italiani», c’è l’eccesso ridicolo dei perdenti che si perdono nell’indignazione perché non sanno perdere. Sono identità che finiscono con il confondersi, Grillo e Conte, che se le danno per niente, macome se ancora si disputassero la maggioranza relativa del Paese. Sono Tom e Jerry che si sentono il Muslim e il Kafir, Franco e Ciccio che si mascherano da Pat Garrett e Billy the Kid, pur sapendo che né Franco né Ciccio riuscirono mai a farcela da soli.Si sa che il potere corrose anche l’amicizia tra Craxi e Martelli, D’Alema e Veltroni, Bossi e Maroni, e si sa che ora sono a rischio pure Giorgetti e Salvini. Ma Grillo e Conte non hanno mai diviso l’amicizia, mai sono stati Fiorello e Amadeus. Solo il potere teneva assieme l’oltraggio fascistoide ma schietto di Grillo con il linguaggio insignificante, malmostoso, allusivo e tonante di Conte, il vaffa che era il turpiloquio chiaro e dritto del comico con il quasi del «non siamo pretermessi», e «io sono l’interlocuzione» che era il turpiloquio oscuro e tortuoso del quasi professore. È dunque ovvio che, finito il potere, esploda oggi l’inimicizia che li rende, l’uno all’altro, brutti, cattivi e uguali.E Grillo ha ragione a rimproverare a Conte di fare il partitino finto progressista. Noi lo abbiamo sempre scritto che non erano di sinistra il vaffa, la gogna, i nomi storpiati, gli insulti, l’incompetenza e l’improvvisazione, le insolenze, lo sberleffo e lo sbeffeggiamento da canaglia. Con un’ormai completa autonomia rispetto all’origine, gli ex burattini di Grillo, i grillini di Conte appunto, sono piccoli e non identificati soggetti che si sono strappati le orecchie d’asino e si sono maccheronicamente impratichiti con la sintassi, con l’educazione, con il decoro estetico, con le giacche e le cravatte, con qualche libro persino, ma hanno perduto il consenso, non hanno più la forza, la ragione sociale e i voti, non c’è più la ditta direbbe Bersani, sono un’umanità politica esausta, scagliata come schegge dall’esplosione del vaffa di cui portano i segni.Nel loro smarrimento e nella loro confusione c’è più Grillo di quanto loro stessi credano. Non lo sanno, ma sono irrilevanti perché è diventato irrilevante il loro fondatore, insignificanti perché è insignificante l’uomo che li ha inventati e che ha cambiato la politica italiana. Il destino di Conte, comunque si chiamerà la sua ultima zattera, è indissolubilmente legato a quello di Grillo, che rimarrà per sempre il suo grande capo. È insieme che, nel comune culto fascistoide delle origini, stanno percorrendo lo stesso interminabile viale del tramonto, interpretando la più dilatata uscita di scena che si ricordi dopo quella di Francesco Totti e di Gloria Swanson.