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 2024  dicembre 03 Martedì calendario

Martini, pittore dimenticato, e il ruolo della moglie


Sarebbe stata Virginia Woolf a dire che “dietro ogni grande uomo c’è sempre una grande donna”. Lo scrittore Matteo Bussola nel libro di racconti Un buon posto in cui fermarsi sostiene giustamente che “spesso è vero”, ma “quel che non ti diranno è che quest’immagine contiene già l’idea di cui cercheranno di convincerti per il resto della vita: che il tuo compito di uomo sia quello di stare sempre davanti”.
Al di là delle divagazioni sul tema, è indubbiamente certo che dietro alla riscoperta del grande artista Alberto Martini, nato a Oderzo nel 1876 e morto settant’anni fa, l’8 novembre del 1954, vi sia stata la moglie Maria Petringa, sebbene il marito, poco dopo le nozze, avesse deciso di vivere per sempre separato da lei. Fu l’incontro fra Maria e il poeta e pittore Arturo Benvenuti a porre le basi, partendo dalla natia Oderzo, della nuova attenzione che critici e storici dell’arte avrebbero prestato a Martini, che Gabriele D’Annunzio aveva ammirato definendolo “Alberto Martini dei Misteri”. Tutto ciò è raccontato da Paola Bonifacio, narratrice e storica dell’arte, già conservatrice della Pinacoteca Alberto Martini e referente dell’archivio del pittore, nel libro Alberto Martini. Ritratto segreto, pubblicato da Graphe.it. Con felicità di scrittura ripercorre biografia e opera dell’artista opitergino, tratteggiando bene l’epoca in cui visse e i personaggi famosi che entrarono in contatto con Martini: dalla marchesa Luisa Amman Casati Stampa di Soncino a Wally Toscanini, da Vittorio Pica a Margherita Sarfatti. Lo fa attraverso i ricordi della moglie, immortalata dal pittore e disegnatore vicino ai surrealisti in un bellissimo pastello del 1924. Una donna che, nonostante la non troppo felice unione coniugale con Alberto, dandy solitario e misogino, dai mille enigmi, non smise mai di restargli fedele e di ammirare lo sperimentatore di linguaggi visionari e macabri, fortemente simbolici, anticipatori del surrealismo. Si batté per fargli restituire la gloria che, negli anni Trenta, gli mancò in patria, tanto che, “deluso e amareggiato dall’ostilità dei critici italiani” che ignoravano la sua arte, si era trasferito a Parigi, dove visse dalla fine degli anni Venti al 1934. In “un’epoca in cui trionfava la retorica di un Sartorio”, ha ricordato Carlo Franza su Il Giornale, “o l’esoterismoprovinciale di un Segantini, il simbolismo decadente di Martini rimaneva un fenomeno appartato, elitario, lontano dai clamori di un riconoscimento popolare”. Ritrattista prediletto di Luisa Casati Stampa, che voleva essere “un’opera d’arte vivente”, Martini concepiva la vita, come scrisse, come “un sogno a occhi aperti” e “il sonno un sogno a occhi chiusi falsato dall’incubo della realtà. Per fortuna possiamo sognare a occhi aperti, e in questo tutti si consolano e si riconciliano con la catastrofica realtà”. Artista veggente come il suo Arthur Rimbaud, aggiungeva che “mentre i veri artisti, veggenti divini, rendono sensibile agli uomini il sogno della vita e quello eterno della morte, nelle infinite forme dell’arte della poesia e della musica, gli artisti inferiori rimangono schiavi delle reali apparenze. Chi vive nel sogno è un essere superiore, chi vive nella realtà, uno schiavo infelice”.