La Stampa, 3 dicembre 2024
Daron Acemoğlu, premio Nobel Economia e la crisi auto
TORINO. «La crisi dell’auto? Penso che i grandi produttori siano rimasti spiazzati e in qualche modo delusi dal fatto che la loro competenza nei motori a combustione interna non si sia tradotta in un vantaggio competitivo nei veicoli elettrici», dice Daron Kamer Acemoğlu, premio Nobel per l’Economia nel 2024. Classe 1967, nato in Turchia ma naturalizzato statunitense, analizza gli scenari dell’industria e del risparmio mentre da Washington si alzano le prime barriere al libero mercato e l’Europa dibatte – per ora senza troppi risultati – su come rilanciare una manifattura in crisi, che trascina giù il suo azionista più forte, la Germania, e spaventa Francia e Italia. La strada per il Vecchio Continente, spiega, passa dagli eurobond. «Non sono un sogno, anzi. Dopo la grande crisi del debito greco, l’Unione europea è diventata più integrata e ha una politica comune in campo monetario. Credo che ora abbia bisogno di più strumenti per integrare anche la sua politica fiscale».
Professore, ci aspetta una guerra commerciale tra l’America e l’Europa?
«Non sono sicuro che, sui dazi, Donald Trump procederà con le politiche che ha annunciato. Anche se gli Stati Uniti non sono un’economia aperta come l’Italia o la Francia, dipendono comunque da catene di approvvigionamento complesse che si estendono oltre i propri confini. Molte di queste utilizzano componenti provenienti da Taiwan, Corea del Sud, Germania e Regno Unito. Se dovessero affrontare un aggravio del 20% su tutti i beni stranieri, sarebbe davvero molto costoso».
E quindi? Solo un bluff?
«Credo che il nuovo presidente degli Stati Uniti imporrà i dazi su Cina e Messico, ma resta da vedere se porterà avanti la politica di estenderli ai partner europei. Se lo farà, ovviamente non sarà una buona notizia per l’Europa, e nemmeno per l’economia mondiale».
Teme un inasprimento nei rapporti?
«Già ora penso che la rivalità tra Cina e Stati Uniti abbia avuto effetti negativi, anche se ritengo che le misure adottate da Joe Biden, con il Chips Act e l’Inflation Reduction Act, potessero essere giustificate, specialmente per l’obiettivo di aumentare la produzione di veicoli elettrici negli Stati Uniti. Tuttavia, non vedo possibili aspetti positivi dall’imposizione di dazi, per esempio, su Italia e Francia».
Ha parlato di auto, tema chiave specie per l’Europa: Volkswagen chiude impianti, Bosch taglia personale, Stellantis è alle prese con il cambio di ad, il più grande progetto continentale legato alle batterie elettroniche, Northvolt, rischia di finire gambe all’aria. Che cosa sta succedendo e come si esce dall’angolo?
«Per quanto riguarda l’industria italiana, se negli ultimi quarant’anni ci sono state difficoltà, probabilmente bisogna concentrarsi sulle relazioni lavorative, sulla mancanza di investimenti adeguati nella tecnologia e sul fatto che, dopo l’ingresso nell’euro, i prezzi sono inevitabilmente cresciuti. Tuttavia, se guardiamo ai produttori di automobili tedeschi, sono reduci da due decenni d’oro».
Lo scenario però è cambiato in fretta anche per loro…
«Il problema principale che tutte queste case automobilistiche stanno affrontando è il ritardo accumulato nella corsa all’elettrificazione. È chiaro che il mercato dei veicoli elettrici sarà molto grande: i produttori europei hanno iniziato a investire, ma lo hanno fatto in ritardo».
Soluzioni?
«Prevedo che, nell’industria automobilistica, ci saranno ancora incertezza e turbolenze. La spinta verso l’elettrico potrebbe dare nuova linfa ad alcune aziende, mentre la situazione sarà molto più difficile per i produttori di auto di lusso, perché non è chiaro come affronteranno l’era dell’elettrico. In ogni caso, nel settore ci saranno altre scosse».
Carlo Messina, amministratore delegato di Intesa Sanpaolo, in una intervista a questo giornale, ha spiegato che gli eurobond sono l’unico strumento per creare un’Europa davvero comune e pronta a rappresentare un punto di riferimento geopolitico tra Usa e Cina. È un obiettivo realistico?
«Una soluzione come gli eurobond, insieme a una maggiore protezione per le banche in tutta Europa, potrebbe essere un passo importante. Il problema è che anche le banche europee sono state irresponsabili a volte e non hanno ancora completamente messo ordine dopo la crisi finanziaria. Quindi, se ci saranno gli eurobond, è molto importante che ci sia una regolamentazione unificata».
Ha ricevuto il Nobel per le ricerche sulla comprensione delle disuguaglianze e dei divari di ricchezza tra le nazioni. L’intelligenza artificiale è destinata ad aumentarle?
«Sospetto di sì».
Perché?
«Non credo che ci sia qualcosa nella natura dell’intelligenza artificiale che la porti necessariamente ad aumentare le disuguaglianze tra i gruppi educativi, le classi sociali o tra i Paesi. Ma il modo in cui si sta sviluppando creerà enormi opportunità di profitto per il settore tecnologico, e questa sarà una delle cause delle nuove disuguaglianze. In secondo luogo, se sarà usata per un’automazione estesa, cosa che sembra probabile, le persone che perderanno il lavoro saranno spesso colletti bianchi con compiti di livello inferiore: contabilità, raccolta di informazioni, sicurezza IT e simili. È importante essere consapevoli e preparati».
Quali politiche si potrebbero adottare per mitigare questi rischi?
«Dovremmo aprire un grande dibattito per capire se la direzione attuale dell’intelligenza artificiale sia quella giusta. Credo sia possibile usare l’AI in modo da aiutare i lavoratori meno qualificati, fornendo loro informazioni migliori e strumenti più efficaci. Se riusciremo a farlo, allora le diseguaglianze potrebbero non essere così dannose».