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 2024  dicembre 03 Martedì calendario

Hunter Biden, il figliol prodigo


NEW YORK Nel crepuscolo della sua immensa carriera politica intrecciata fin dall’inizio coi suoi drammi familiari, Joe Biden, trovandosi davanti a un bivio – da un lato la coerenza, la difesa della sua eredità politica e dei valori del suo partito, dall’altra la possibilità di proteggere con un atto che diventerà un pericoloso precedente un figlio disgraziato, reo confesso, che rischiava una lunga pena detentiva – ha scelto la famiglia.
Un gesto umanissimo, ma di inaudita gravità politica compiuto da un leader che fin dal 1972 ha cercato affannosamente di contemperare la sua ambizione politica senza limiti col ruolo di padre di orfani dopo la tragedia che lo rese vedovo appena eletto senatore, prima ancora del suo insediamento. La drammatica, tempestosa avventura umana di Hunter comincia alla vigilia di Natale di quell’anno quando in un incidente stradale muoiono la madre Neilia e la sorellina Naomi. Feriti lui, che ha due anni, e il fratello Beau.
Tornano a casa dopo una lunga degenza e da allora il papà si guadagnerà il soprannome di Amtrak Joe: userà come una metropolitana i treni di quella compagnia per tornare tutte le sere a casa a Wilmington, in Delaware, dopo la giornata di lavoro nel Senato di Washington. Non smetterà di tentare di essere insieme padre e madre nemmeno quando, anni dopo, incontrerà e sposerà Jill.
Le cure di papà hanno effetti diversi sui due fratelli. Beau, nato un anno prima di Hunter, si mette sulle orme di Joe: marito, padre, militare e procuratore irreprensibile, punta a una carriera politica al vertice. Hunter, forse schiacciato dai successi del padre e del fratello maggiore, è più ribelle e instabile. All’università di Georgetown, nel 1992, i primi problemi di droga. Poi l’alcol, col fratello Beau che nel 2001 cerca di farlo uscire da quella spirale: va con lui agli incontri degli alcolisti anonimi.
Con esito alterno, anche perché nel frattempo Hunter entra nel mondo della cocaina. Professionalmente lui, laureato in giurisprudenza, vive all’ombra del padre: primo lavoro in una banca del Delaware finanziatrice delle campagne elettorali del senatore Biden, poi va al ministero del Commercio, alle dipendenze di William Daley: potente politico democratico dell’Illinois e grande amico di Joe.
Nel 2008, quando il papà diventa vicepresidente, fonda una società di consulenza, Seneca global advisors, e crea un fondo di private equity coi quali si mette a trafficare con Russia e Cina. Non ci sono prove di comportamenti scorretti di Joe per favorirlo, ma certamente Hunter sfrutta il nome del padre per farsi strada.
Fino agli anni maledetti – 2014 e 2015 – nei quali tutto precipita: sempre più dipendente da droghe, entra nel consiglio d’amministrazione della Burisma, una società energetica ucraina con la quale fa affari poco chiari: vicende che negli anni successivi spingeranno i repubblicani a cercare di coinvolgere anche l’allora vicepresidente accusandolo di corruzione. Joe, in realtà, non partecipa agli affari del figlio ma a un certo punto esercita pressione sul governo di Kiev per ottenere la rimozione di un procuratore che forse sta indagando su Hunter. Intanto, la Marina militare, della quale il figlio del vicepresidente è riservista, lo congeda: positivo al test della cocaina.
Hunter sprofonda: droga, prostitute, fiumi di soldi spesi in locali notturni, auto di lusso, vacanze esotiche. Stavolta non c’è Beau ad aiutarlo: colpito da un tumore al cervello, muore nel 2015. Joe si aggrappa al figlio rimasto che sprofonda tra i suoi demoni: è abbandonato anche dalla moglie, che divorzia. Nasce una strana relazione sentimentale tra lui e la cognata, Hallie, la vedova di Beau. Fallirà anche questa quando lei scoprirà che Hunter ha avuto un figlio segreto da una prostituta. Ma Hallie è anche l’involontaria causa del guaio giudiziario più serio che rischiava di portarlo in carcere: aver acquistato una pistola senza dichiarare di essere consumatore di stupefacenti. Lei la scopre e la getta tra i rifiuti. Poi, non ritrovandola, ne denuncia la sparizione: l’inizio di un’indagine che lo porterà fino a una condanna per la quale rischiava fino a 25 anni di carcere, essendo saltato l’accordo coi magistrati per un patteggiamento senza detenzione dopo le veementi proteste dei repubblicani. Altri anni li rischia in California per l’evasine fiscale del 2017: e Joe, ormai in disarmo, irritato col suo partito, decide di salvarlo.