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 2024  dicembre 02 Lunedì calendario

Il settore delle automobili continua a essere al centro di scontri geopolitici. Come gli altri attori rispondono alla furiosa ascesa cinese. La strategia di Musk e le carte con cui vuole restare nella partita. Il nazionalismo tecnologico del Vietnam. L’ingenuità degli europei.

1. «Industria delle industrie» è l’indimenticabile espressione con cui il teorico dell’organizzazione e del management, Peter Drucker, descrive l’industria automobilistica nel 1946 1. Produzione di massa, radicamento sociale, dominio di una vasta filiera, città della manifattura. «Industria delle industrie» è questo complesso: migliaia, centinaia di migliaia di persone che si muovono, costruiscono, vendono, comprano. Fabbriche di cotone del Lancashire, fabbriche di Detroit, e poi Wolfsburg e le altre città.
Beppe Berta nel 2016, per la sua confidenza con gli spazi delle fabbriche e con gli operai divenuti professori 2, prende alla lontana la domanda sulla fine che ha fatto il capitalismo italiano. Che ne sarà dei «sistemi economici dei paesi che, un po’ alla volta, tendono a scivolare dal centro verso le periferie e le semiperiferie della nuova economia-mondo»? 3. Per capire dove ci stiamo muovendo, o dove ci siamo arenati, occorre osservare il destino delle Detroit, delle Wolfsburg, delle Torino.
In parallelo, bisogna guardare a un futuro che è già il presente. Nello stesso contesto, Berta ricorda che la nuova auto è «un computer con le ruote» 4: sistemi di controllo elettronici dei veicoli alla ricerca dell’autonomia, dove si muovono potentati tecnologici come Apple e Alphabet, e dove fa il suo ingresso Elon Musk, con la sua «hybris californiana, postmoderna e postindustriale, inassimilabile alla martellante utopia di Henry Ford, che pretendeva di razionalizzare il mondo attraverso la produzione di massa e le sue procedure di controllo centrale» 5. Il capitalismo californiano applicato all’auto, nel 2016, sembra in grado di dispiegare i suoi effetti nell’arco di cinque-dieci anni e di pensare il prodotto dell’industria delle industrie con la logica del nuovo secolo, non di quello precedente. Una nuova vitalità schumpeteriana, «capace di grandi ascese e, con tutta probabilità, di ancor più drammatiche cadute» 6.
Detroit, Torino, Wolfsburg: i nostri mondi. Oltre a quello della Toyota, che è una storia novecentesca con la variante coreana, emerge però – ed è la storia di questo secolo – un altro mondo: una supply chain di cui siamo spettatori. Noi siamo gli spettatori che pagano il biglietto e si recano al cinema, in cui va in scena un nuovo episodio della saga The Fast and the Furious, nelle strade dell’Asia. Per comprendere la saga, occorre tenere a mente il 1946, l’anno in cui l’industria delle industrie viene battezzata. La verità politica, che ci coinvolge, è che la fissazione industriale, motore di quel mondo, si intreccia con la capacità produttiva degli anni e dei decenni precedenti, l’arsenale con cui gli Stati Uniti partecipano alle guerre mondiali.
L’espressione «arsenale della democrazia», utilizzata per la prima volta da Franklin Delano Roosevelt nel 1940, è stata attribuita anche a William Knudsen, il manager di Detroit nato in Danimarca, che lavora per Ford e General Motors prima di essere chiamato da Roosevelt per guidare la manifattura di guerra, per stritolare il nemico attraverso la produzione 7.
Industria delle industrie, in questi termini, è anche la conversione militare della capacità della manifattura su scala, in una storia che bussa costantemente alla nostra porta e che coinvolge Ford, Tesla, Byd, dentro un’ampia arena dove le auto, guidate da Vin Diesel e dai suoi amici-nemici, ringhiano con dati di mercato, occupazione, capacità tecnologica. Anche quando non è il loro rumore a farla da padrone, tutti i loro movimenti sono rumorosi. Perché, con essi, si spostano le placche dell’economia e del commercio mondiale. Per comprenderlo, bisogna andare nella Detroit del ventunesimo secolo: Shenzhen.
2. Byd, fondata nel 1995 a Shenzhen, nel cuore della prima zona economica speciale cinese, è divenuta oggi un colosso nel settore dei veicoli elettrici, e molto di più. Wang Chuanfu nasce nel 1966 nella provincia di Anhui 8, una delle più povere della Cina, e affronta varie difficoltà in gioventù, crescendo senza genitori e sostenuto dai fratelli maggiori. Nonostante gli ostacoli, Wang riesce a laurearsi in chimica e metallurgia al Central South Institute of Mining and Metallurgy. Impiegato nel General Institute of Nonferrous Metals di Pechino, sviluppa una passione per le batterie, tecnologia che avrebbe poi definito la sua carriera e il destino della sua azienda. Nel 1995, con un prestito di 3 milioni di yuan, Wang fonda Byd, partendo con la produzione di batterie ricaricabili in un capannone industriale a Shenzhen.
Con l’abilità di assemblare batterie a costi più bassi rispetto ai concorrenti giapponesi, Byd cresce, si quota a Hong Kong e inizia a servire colossi dell’elettronica come Motorola, Nokia e Philips. Wang mette insieme pragmatismo, determinazione e reverse engineering: smonta le batterie giapponesi e le analizza coi suoi tecnici, per migliorare l’efficienza e ridurre i costi. Nel 2003, Byd acquisisce Qinchuan Automobile ed entra nel settore automobilistico. Nel 2009, a seguito della crisi finanziaria, la Cina diviene il maggiore mercato automobilistico del mondo, e Warren Buffett investe 250 milioni di dollari in Byd.
A convincere Buffett è il suo storico socio e braccio destro, Charlie Munger, scomparso nel novembre 2023 poche settimane prima di compiere 100 anni. Munger si innamora dell’azienda e di Wang Chuanfu, con una fissazione che al tempo sembra patologica. L’oracolo di Omaha commenta: «Byd è stata un’idea di Charlie. Quando incontra il genio e lo vede operare in modo pratico, viene fortemente impressionato». Munger dice che Wang «sarà forse uno dei più importanti uomini d’affari mai vissuti». Nell’incontro annuale di Berkshire Hathaway del 2009, Munger reitera la sua passione per il «miracolo» Byd, con Buffett che cerca invano di trattenerlo. «Non voglio scommettere contro 17 mila ingegneri guidati da Wang Chuanfu», aggiunge Munger 9.
Wang Chuanfu nel 2008 dice al Financial Times: «Siamo una tipica azienda cinese. Siamo intelligenti e lavoriamo molto» 10. La modestia cela una smisurata ambizione. Secondo il chimico di Anhui, il talento è il vantaggio principale della Cina: sono pronti ad arrivare a 30 mila ingegneri entro un decennio, una crescita che i concorrenti americani e giapponesi non potranno mai toccare. I nuovi assunti, in quel momento, si accomodano nei dormitori che vengono eretti in breve tempo a fianco delle fabbriche.
Nel settembre 2024, Byd ha superato i 900 mila dipendenti, con oltre 90 mila ingegneri e, complessivamente, 110 mila addetti in ricerca e sviluppo. Il dato riflette una crescita straordinaria, soprattutto negli ultimi due anni. Oltre a rappresentare una forza lavoro imponente, l’enorme squadra di ricerca e sviluppo presidia la frontiera dell’innovazione.
In questo processo di crescita, Byd è divenuto un attore tecnologico cinese che opera come integratore di mercati, con un ruolo pratico e simbolico paragonabile solo a quello di Huawei. È la punta dell’iceberg della crescita automobilistica cinese, ma è una punta dell’iceberg in grado di competere direttamente con un’azienda un tempo derisa dalle imprese automobilistiche tradizionali e che, a sua volta, fino a pochi anni fa, non prendeva sul serio Byd e le sue auto. Si tratta, ovviamente, di Tesla.

Carta di Laura Canali – 2020 
Tesla e Byd ci invitano a guardare ancora il mondo in un’ottica fisica e materiale: come una serie di fabbriche, di strutture produttive. Tesla ha stabilito la sua produzione su scala globale con fabbriche in Nord America, Europa e Asia. Le principali gigafactory di Tesla si trovano negli Stati Uniti (California, Nevada, Texas), in Germania (Berlino) e in Cina (Shanghai). Quest’ultima attualmente è la più produttiva, con una capacità di 750 mila veicoli all’anno. Tesla progetta, tra l’altro, l’apertura di una fabbrica in Messico. Anche se l’azienda di Musk continua a crescere in volumi, Byd recupera terreno, non solo con una maggiore diversificazione geografica, ma anche con la presenza strategica in mercati emergenti. Impressionante è, come è prevedibile, la capacità produttiva di Byd in Cina, con oltre venti stabilimenti, tra cui quattro solo nella città di Shenzhen. La presenza di Byd si sta estendendo in altre aree, con investimenti pianificati in Indonesia, Messico, Thailandia, Turchia, Ungheria e Brasile. Qui Byd ha acquisito un ex impianto della Ford a Camaçari, nello Stato di Bahia, dove dovrebbe iniziare a produrre entro il 2025.
Una vecchia fabbrica di Ford acquisita dai cinesi in Brasile, terra di Fordlandia 11, ci conduce a una caratteristica importante dei due giganti dell’auto del XXI secolo e li unisce al percorso materiale e sociale che possiamo rivivere attraverso i lavori di Berta: le trasformazioni del fordismo. Paolo Gerbaudo ha osservato che Byd ha un’identità fordista 12, grazie alla sua struttura produttiva integrata verticalmente che ricorda le caratteristiche dell’azienda simbolo nella prima fase novecentesca dell’industria delle industrie. Byd controlla quasi tutte le fasi della produzione, dai semiconduttori alle batterie, fino alle componenti delle auto. L’azienda fondata da Wang Chuanfu possiede non solo le fabbriche per assemblare le automobili, ma opera anche le miniere per garantire una filiera sicura e stabile. Come Ford faceva con l’acciaio e la gomma nelle sue enormi proprietà e concessioni brasiliane, Wang ha espanso il controllo aziendale su ogni elemento chiave del processo produttivo, il che permette a Byd di mantenere un significativo vantaggio competitivo riducendo i costi di intermediazione e garantendo un flusso costante di innovazione alimentato dal suo enorme capitale umano.
Questa furiosa innovazione privata è avvenuta nel contesto della politica industriale cinese: dal fin troppo famigerato programma Made in China 2025 ai supporti del governo centrale e delle realtà locali, la crescita di Byd si è inserita in una strategia nazionale volta a sviluppare e dominare le tecnologie verdi. Dentro questo processo, dove al supporto statale si è affiancata in modo decisivo una concorrenza interna feroce e spietata, Byd ha divorato la crescita del mercato cinese. Ciò è avvenuto, in pochi anni, nel contesto di un processo strutturale per cui le aziende automobilistiche cinesi hanno conquistato la loro quota interna dentro un mercato che le società tedesche, forse convinte che i cinesi fossero imbecilli, pensavano fosse il bengodi su cui avrebbero fatto i profitti futuri, grazie alle numerose joint venture, agli investimenti in Xinjiang e alle assicurazioni politiche di Pechino, che ovviamente aveva tutti gli interessi a fare un doppio e triplo gioco.
Carta di Laura Canali – 2024 
La stessa Tesla ha introdotto nelle sue operazioni diversi elementi di integrazione verticale, con una variante della strategia che ha permesso a SpaceX di umiliare tutte le aziende spaziali tradizionali. Tesla vuole controllare sempre di più le varie fasi della produzione, dalla fornitura al trattamento delle materie prime fino alla fabbricazione finale, riducendo i costi e mitigando i rischi associati a fornitori esterni. In questo cammino rientrano passaggi come l’accordo con Magnis Energy13 per la fornitura di grafite, componente essenziale per le batterie agli ioni di litio; l’attività in materia di permessi e costruzioni, per esempio per gli impianti di raffinazione del litio nello Stato più amato da Musk, il Texas 14; oltre al controllo su componenti elettronici critici, per diminuire il potere commerciale delle aziende dell’ecosistema dei semiconduttori. Questa strategia non solo riduce i costi, ma consente a Tesla di reagire più rapidamente ai cambiamenti tecnologici e di mantenere una forte competitività nel mercato globale. Il computer su ruote di Tesla si muove velocemente, anche se i suoi annunci sono sempre più veloci e roboanti della realtà. Tassello essenziale di questo puzzle è l’investimento sull’intelligenza artificiale.
Carta di Laura Canali – 2023 
3. Marx è Dio, Wang Chuanfu è il suo profeta: in questa frase, il chimico della provincia di Anhui sostituisce Henry Ford, protagonista della citazione originaria, opera di Alexandre Kojève 15. Nei materiali della conferenza tenuta a Düsseldorf nel 1957 e propiziata da Carl Schmitt, il filosofo burocrate si esibisce in una breve storia sociale e geografica del capitalismo. Sul piano dei rapporti sociali, l’intelligenza dei capitalisti come Ford sta nella comprensione dell’importanza di dividere i benefici del sistema coi lavoratori, per proteggere il loro stesso potere di mercato dalle contraddizioni e dalla rivoluzione sociale. Sul piano dei rapporti tra entità politiche, Kojève lancia un misterioso concetto, il colonialismo datore, che deriva dalla sua esperienza di architetto del commercio internazionale: proprio come Henry Ford, i più ricchi devono «dare» per assicurare il proprio mercato e la propria stabilità. Spassosa è la pagina kojeviana sull’impero mongolo del suo presente, dove «duecento milioni di russi altamente industrializzati coabitano con settecento milioni di asiatici tecnicamente arretrati» 16, se letta con gli occhiali dell’economia di guerra dell’attuale Federazione Russa in rapporto con la soverchiante capacità manifatturiera ed elettronica cinese.
D’altra parte, le pagine di Kojève contengono l’essenziale, come mostra il seguente passaggio: «Non bisogna dimenticare che l’industrializzazione dei paesi sottosviluppati è diventata oggi una sorta di mito mondiale, e che finora questo mito si è realizzato in grande soltanto fuori del mondo occidentale. Penso alla Cina, che forse dalla lontana Europa si vede molto male, ma che ad esempio dall’India si scorge con una certa chiarezza» 17.
Byd è la realizzazione in grande di tale mito mondiale, con tutte le sue conseguenze. Comprese quelle che investono i computer su ruote. Quando Jensen Huang di Nvidia interviene all’inizio del 2015 al Consumer Electronics Show (Ces) di Las Vegas, annuncia che le «auto del futuro saranno i supercomputer più avanzati al mondo» 18. Non sappiamo se Sergio Marchionne abbia ascoltato quel discorso o l’abbia preso sul serio, ma nel suo documento manifesto del 2015 sui requisiti di capitale dell’industria automobilistica la connettività/autonomia è una delle forze che aumentano tali requisiti 19. Anche se le aspettative dell’autonomia si materializzano con lentezza rispetto alle previsioni di ricavi di aziende come Nvidia, il computer su ruote è comunque una realtà, in termini di requisiti crescenti di elettronica delle auto: sempre più valore che, dentro l’oggetto automobile, si sposta verso l’elettronica e chi domina la sua filiera. Verso l’ecosistema dei semiconduttori, nuova industria delle industrie di questo scorcio di secolo 20.
La grande discontinuità, rispetto alle sfide strutturali intuite dal genio finanziario di Marchionne, riguarda tre passaggi connessi: la crescita di un grande mercato che avviene più in fretta del previsto, la conquista di quel mercato in termini inaspettati da parte di attori interni e non da attori tradizionali, il capitale dispiegato nella costruzione di questo dominio. Ritroviamo questi passaggi nella storia di Byd, come paradigma principale delle dinamiche avvenute in Cina che scuotono il resto del mondo. In parallelo, la storia di Byd è anche quella dell’inseguimento cinese nell’elettronica. Il ruolo di Byd nell’industria dei semiconduttori è diventato sempre più centrale, grazie alla furia dell’espansione e dell’integrazione verticale e alla leva del mercato interno 21.
Con la crescente domanda di chip per veicoli elettrici e l’intensificarsi delle tensioni geopolitiche tra Cina e Stati Uniti, Byd ha usato la crescita della propria scala per investire nell’elettronica, assumendo una posizione significativa come leader nel mercato dei semiconduttori automobilistici. La strategia della creatura di Wang Chuanfu si articola in investimenti in nuovi impianti produttivi, acquisizioni strategiche e in una capacità industriale che mira all’indipendenza.
Nel 2023, Byd ha completato la prima fase di un imponente progetto da 1,4 miliardi di dollari a Shaoxing, nella provincia di Zhejiang 22. L’impianto si concentrerà sulla produzione di dispositivi di potenza e prodotti microelettronici. L’acquisizione di fabbriche dismesse è un altro tassello della strategia. A Chengdu, l’azienda ha rilevato un progetto di fabbrica di semiconduttori abbandonato dal gruppo Unigroup, investendo circa 1,59 miliardi di yuan per riprenderne lo sviluppo: in quanto capofiliera e azienda simbolo della capacità manifatturiera e tecnologica cinese, Byd va in soccorso dei progetti abortiti e dà a essi nuova vita 23, inserendoli nella propria scala produttiva.
Torniamo al fordismo e all’integrazione verticale: la creatura di Wang Chuanfu costruisce e gestisce gli impianti che le permettono di controllare direttamente la produzione di chip, fondamentali per i propri veicoli elettrici. Ad esempio, Byd ha iniziato la produzione in un nuovo impianto dedicato ai semiconduttori al carburo di silicio, per migliorare l’efficienza dei veicoli elettrici, in particolare nelle versioni più avanzate dei modelli di punta. Lo scopo di Byd è non dipendere da altri attori specializzati di questo segmento della microelettronica, come gli europei e gli statunitensi, ma di aumentare gradualmente la propria quota di mercato, per poi stritolare i concorrenti con la propria scala, se e quando sarà necessario, in coordinamento col resto dell’ecosistema cinese. 
Non va dimenticato, in questo scenario, il ruolo svolto dal governo cinese per spingere l’industria dei semiconduttori nella lunga marcia – o, se vogliamo, nella pluriennale partita a Go – con Washington sull’industria abilitante per eccellenza della nostra vita digitale. In quest’ottica, è evidente che la concentrazione degli apparati statunitensi sulla limitazione delle capacità cinesi nella parte più avanzata della microelettronica abbia lasciato scoperto proprio l’ambito in cui Pechino ha potuto fare più leva sulla propria capacità di mercato: la microelettronica meno «avanzata» (le virgolette sono obbligatorie perché l’aggettivo è piuttosto stupido) per usi industriali e automobilistici, appunto. Cruciale, in quest’ambito, è la spinta politica all’internalizzazione della filiera, che aderisce alla furia di Byd. L’obiettivo governativo è che entro il 2025 il 25% dei semiconduttori utilizzati dai produttori di auto cinesi provenga da fornitori locali 24.
Nel 2023, la Cina è diventata il più grande esportatore mondiale di auto, superando il Giappone, e il governo è determinato a sostenere questa crescita con una filiera di componenti che, se non è integralmente cinese, ha l’ambizione di avvicinarsi il più possibile all’obiettivo. E, al contrario del segmento che fa concorrenza a Nvidia, ci riesce più facilmente. Lo sviluppo di standard tecnologici per l’industria dei chip automobilistici è diventato una priorità per Pechino, che ha annunciato un piano per stabilire oltre 30 standard critici entro il 2025, con l’obiettivo di raggiungere una maggiore competitività internazionale. Per fare il prezzo, fare la filiera, fare gli standard. Non va dimenticato che non stiamo parlando semplicemente dell’auto elettrica: ogni auto, oggi, è un computer su ruote in cui l’elettronica estrae una parte fondamentale del valore complessivo.
Durante la Gtc (Gpu Technology Conference) di Nvidia del 2024, Jensen Huang, ormai acclamato molto più di una star di Hollywood, ha elencato le aziende con cui Nvidia collabora. Tra di esse, c’è anche la partnership strategica che integra le soluzioni di Nvidia nelle flotte di veicoli di Byd: per esempio, la piattaforma Nvidia Drive Orin e la prossima evoluzione della piattaforma, chiamata Drive Thor. È una collaborazione che non si limita a soluzioni di software per i veicoli, ma si estende anche a prodotti basati sull’intelligenza artificiale nel cloud, utilizzando le infrastrutture di Nvidia e le piattaforme Isaac e Omniverse per lo sviluppo di strumenti avanzati come la pianificazione delle fabbriche virtuali e la gestione del retail, per migliorare la qualità e l’efficienza dei suoi processi produttivi, della logistica, delle vendite. Nella partita a Go tra Pechino e Washington, c’è anche la collaborazione tra i suoi campioni.
Carta di Laura Canali – 2024 
4. Nella battaglia asiatica sull’auto non esiste solo la Cina, realtà senz’altro dominante. Altri attori vogliono partecipare al banchetto. Si pensi al caso di VinFast, fondata nel 2017 dal miliardario vietnamita Pham Nhat Vuong. VinFast si è rapidamente affermata in Vietnam: ha iniziato la produzione di veicoli elettrici nel 2021, cogliendo l’opportunità offerta dal cambiamento strutturale dell’industria automobilistica globale verso l’elettrificazione. La società ha puntato a capitalizzare questa transizione, cercando di posizionarsi come una nuova forza emergente, in competizione diretta con giganti come Tesla e Byd. Con il supporto finanziario di Vingroup, conglomerato controllato da Pham Nhat Vuong, VinFast ha lanciato una serie di modelli elettrici e ha annunciato piani per espandersi in 50 mercati internazionali entro il 2026, tra cui l’apertura di un impianto da 4 miliardi di dollari in North Carolina, che dovrebbe creare 7.500 nuovi posti di lavoro e una capacità produttiva annua di 150 mila veicoli. L’impianto è stato presentato come un segno del successo dell’azienda e come simbolo della crescente influenza del Vietnam sul mercato automobilistico globale.
Le enormi ambizioni di VinFast hanno già incontrato la prova della realtà 25. Croce e delizia della logica del conglomerato è che, in Vietnam, la maggior parte delle vendite di VinFast non è stata generata da clienti esterni, ma da altre società affiliate al fondatore, come la compagnia di taxi elettrici Green and Smart Mobility e il gruppo immobiliare Vinhomes. Le difficoltà internazionali sono emerse in modo evidente negli Stati Uniti. Dopo aver portato oltre 3 mila auto nel mercato statunitense nel 2023, solo 265 veicoli sono stati registrati, evidenziando una domanda asfittica. Le auto simbolo del sogno vietnamita sono rimaste invendute nei porti o nei concessionari, costringendo l’azienda a offrire sconti significativi, che in alcuni casi hanno reso la VinFast VF8 il veicolo in leasing più economico degli Stati Uniti.
Inoltre, le recensioni della stampa automobilistica specializzata negli Stati Uniti sono state pessime, per usare un eufemismo. Le difficoltà operative di VinFast hanno avuto un impatto anche sulla sua posizione finanziaria. Dopo aver debuttato al Nasdaq attraverso una fusione con una Special Purpose Acquisition Company (Spac), le azioni di VinFast hanno inizialmente visto un’impennata, con la capitalizzazione di mercato che ha superato in breve tempo i 200 miliardi di dollari. Tuttavia, lo slancio si è rapidamente esaurito, con un crollo delle azioni che ha toccato il 95% in pochi mesi. Deludenti anche i risultati dell’offerta di obbligazioni per finanziare l’espansione in corso. Nonostante le difficoltà, VinFast continua a puntare su ambiziosi obiettivi di crescita nel breve periodo. È difficile credere che vengano realizzati, anche perché le disponibilità di VinGroup non sono infinite. Eppure, in questi attori asiatici c’è la determinazione a entrare nei mercati e a scommettere sul proprio successo, in rapporto con i governi. 
Il caso Vinfast ci conduce al ruolo dell’integrazione economico-commerciale nell’agglomerato dell’Asia orientale. Si tratta già di una supply chain fortemente integrata, che domina i processi manifatturieri mondiali. In questo contesto, il mercato automobilistico del Sud-Est asiatico è uno dei principali fronti di espansione per i produttori automobilistici e per la mobilità sostenibile. Un circuito ampio, dove le aziende cinesi e i loro avversari cercano il loro posto al sole, vedendo nella crescita della regione l’opportunità per consolidare la loro presenza e capitalizzare sulle nuove domande. Vinfast e i suoi successori, legati alle fortune accumulate dai vari oligarchi indo-pacifici nell’immobiliare, nelle materie prime, nelle reti distributive e nelle infrastrutture, sgomitano e cercano spazio.
Come sempre, c’è anche Byd. Paesi come Indonesia, Thailandia, Vietnam, Filippine e Malaysia stanno vedendo un aumento significativo della domanda di mobilità elettrica, grazie a una combinazione di incentivi governativi, preoccupazioni ambientali e crescita di una classe media disposta a investire in tecnologie più sostenibili. Secondo le stime, le vendite di veicoli elettrici nella regione sono aumentate del 900% tra il 2022 e il 2023, con la Cina alla guida. A partire dal 2022, Byd ha avviato le sue operazioni in Thailandia, espandendosi successivamente in Malaysia e nelle Filippine nel 2023, seguite da Indonesia e Vietnam nel 2024, un’espansione accompagnata dal significativo aumento della rete di vendita e assistenza. In Indonesia, Byd ha lanciato i suoi primi modelli di auto elettriche nel gennaio 2024: una manovra commerciale verso un mercato in crescita 26, ma anche una strategia per far leva sul ruolo dell’Indonesia come produttore di nichel.
Carta di Laura Canali – 2024 
In Vietnam 27, Byd si scontra col fattore politico dei complessi rapporti sinovietnamiti, ma anche con la presenza di un attore come VinFast, che gode del sostegno nazionale e controlla la rete di infrastrutture di ricarica, in parte accessibile solo per i veicoli VinFast. Byd non può proporre in Vietnam vetture competitive con VinFast in termini di prezzo, e per farlo dovrebbe avviare una produzione locale consistente, che dovrebbe essere a sua volta benedetta dai comunisti vietnamiti. In questo modo VinFast and Furious, pur ammaccata, può continuare a utilizzare la leva del mercato e della supply chain vietnamita. Oltre a VinFast, Byd nella regione compete non solo con Tesla, ma anche con Hyundai, che ha una presenza ben radicata e sta cercando di rafforzare la sua posizione con il lancio di nuovi modelli a prezzi competitivi, soprattutto in Indonesia. A limitare il successo di Tesla c’è la barriera del prezzo, che continua a incidere nei mercati Asean, se non per le geografie più ricche come Singapore.
Per riprendere ancora Kojève, dall’India il mito della Cina si coglie con una certa chiarezza. Soprattutto da parte dei miliardari indiani ansiosi di riconvertirsi in nuove industrie, per prendere la fetta della torta in crescita del loro mercato. In questa prospettiva possiamo leggere i piani abortiti di Byd sulle fabbriche in India 28, il reclutamento da parte del gruppo Reliance di Ambani dei manager della stessa Byd 29 e soprattutto il tentativo di un altro gruppo indiano, Tata, di posizionarsi nei semiconduttori. L’accordo siglato da Tata con la taiwanese Psmc per una fabbrica a Dholera, in Gujarat, prevede l’inizio della costruzione nel 2024 e 20 mila posti di lavoro tra diretti e indiretti, con l’automotive come primo mercato di riferimento 30. L’India vuole essere un nuovo riferimento per la manifattura su scala, collaborare e competere coi gruppi taiwanesi, e coinvolgere investitori stranieri con una logica di ecosistema: in questo senso va letto l’accordo tra la stessa Tata e Tokyo Electron 31, azienda giapponese che è uno dei leader globali della filiera dei macchinari per semiconduttori.
5. La Tesla che corre per le strade di quest’episodio di The Fast and the Furious, quando viene smontata da abili meccanici, si rivela anche come oggetto e prodotto cinese. Il mercato cinese è il secondo più grande per Tesla dopo gli Stati Uniti e rappresenta una storica opportunità di crescita, su cui Musk ha continuato a puntare. La gigafactory di Shanghai, inaugurata nel 2019, è divenuta rapidamente il centro di produzione più grande dell’azienda. La presenza di Tesla in Cina è stata un’arma a doppio taglio: da una parte, opportunità commerciale e di scala e velocità produttiva per Musk; dall’altra, secondo una strategia perfezionata con Apple, opportunità per la supply chain cinese di apprendere e scalare grazie alla presenza di Tesla.
La storia recente di Tesla in Cina è, pertanto, anche una storia di competizione feroce con Byd, Xpeng e gli altri attori. Musk si è dato da fare direttamente per rafforzare la presenza dell’azienda nella Repubblica Popolare, anche con un viaggio personale per incontrare l’attuale premier cinese, Li Qiang, con cui ha collaborato proprio per la fabbrica di Shanghai. Tema centrale è il lancio del sistema Fsd (Full Self Driving). La sua introduzione, prevista per il 2025, potrebbe dare a Tesla un vantaggio competitivo significativo, anche rispetto ai concorrenti cinesi. Come è ovvio, le relazioni tra Tesla e il governo cinese sono delicate. Le normative cinesi richiedono che tutti i dati raccolti dai veicoli siano conservati localmente, obbligo che Tesla ha rispettato creando server dedicati in Cina. Musk cerca comunque l’approvazione per trasferire alcuni di quei dati all’estero, anche per integrarli nelle attività generali di Tesla sull’intelligenza artificiale.
Tutto ciò si intreccia con lo sviluppo di Dojo 32, il supercomputer progettato per accelerare lo sviluppo delle funzionalità di guida autonoma e migliorare le capacità di apprendimento automatico del software Fsd. Dojo, lanciato nel 2023, è in grado di elaborare enormi volumi di dati video raccolti dai milioni di veicoli Tesla sulle strade, utilizzando reti neurali avanzate per migliorare le prestazioni. Il sistema Fsd richiede ancora una supervisione umana, mentre una profonda evoluzione di Dojo secondo Musk potrebbe consentire a Tesla di compiere il salto verso un’autonomia di livello superiore rispetto a quella che utilizza la combinazione di sensori e radar. Quando si valuta la figura di Musk e il suo impatto sulla tecnologia e la politica mondiale, spesso si dimentica che Musk è l’ideatore di OpenAi e che il suo distacco dall’azienda avviene perché voleva integrare la start-up proprio in Tesla 33. Non a caso, uno dei ricercatori di OpenAi con le migliori credenziali scientifiche, Andrej Karpathy, va a lavorare a lungo sull’intelligenza artificiale in Tesla, prima di tornare in OpenAi. Musk vuole rendere l’ecosistema di guida autonoma di Tesla sempre più avanzato, all’interno di una spinta verso l’automazione e la robotica che considera centrale. L’obiettivo finale di Musk per Tesla (progetto per lui comunque in certo modo ancillare rispetto a SpaceX) è che venga riconosciuta, anche per ragioni di valutazione, come un’azienda basata sull’intelligenza artificiale applicata alla robotica e alla manifattura su vasta scala, più che semplicemente sulla produzione di veicoli elettrici.
Nel cuore del progetto c’è quindi una logica di razionalizzazione, che di certo oltrepassa lo spirito che Berta, da cui siamo partiti, attribuisce alla hybris californiana nel 2016. Tuttavia, proprio questo apre un problema cinese per Musk tutt’altro che irrilevante: come farà Tesla a chiedere al Partito comunista un pieno accesso al mercato cinese 34, compresa la possibilità di prendere i dati e metterli in uno dei suoi megacluster statunitensi, nello stesso mondo in cui gli Stati Uniti chiudono il loro mercato al software automobilistico cinese, a ogni variante di computer su ruote cinese che è «minaccia alla sicurezza nazionale» per il provvedimento dell’amministrazione Biden del 23 settembre 2024? 35.
Carta di Laura Canali – 2024 
C’è un problema fordista che la Cina deve considerare: per progredire, il consumatore deve esistere. Nel momento in cui i consumi cinesi rallentano per le difficoltà economiche, il consumatore va cercato altrove. Solo che si viene accusati di «sovraccapacità» dagli Stati Uniti, anche in modo preventivo. Per questo, è cruciale combattere e vincere la battaglia asiatica più ampia. Inoltre, il mercato europeo è ancora grande. Mentre i cinesi danno per perduto il mercato statunitense, dell’Europa hanno ancora bisogno, almeno nel medio periodo dell’ulteriore crescita asiatica. Così, le auto di Byd spuntano letteralmente anche nelle vetrine di Piazza Duomo. I lemming tedeschi di Volkswagen, che hanno pianificato la crescita dei loro profitti nell’enorme mercato cinese, vedono che tali profitti scendono, perché il consumatore cinese compra Byd e gli altri prodotti nazionali. Scioccati dalla realtà, non sanno come rispondere. L’insuperata dottrina finanziaria (non produttiva) di Marchionne insegna che serve troppo capitale 36 per risposte adeguate, pertanto – mentre inizia una nuova guerra dei dazi – gli europei sono in trappola 37.
6. In una scena dopo i titoli di coda di questo capitolo di The Fast and the Furiouscompare un inserto comico finale. Com’è prevedibile, riguarda l’Europa. Il direttore dell’Institute for European Policymaking dell’Università Bocconi, Daniel Gros, raccomanda di non seguire le conflittuali sirene della rinascita manifatturiera 38: a suo avviso, proprio la scelta della riduzione della capacità produttiva statunitense ha reso possibile il successo dell’intelligenza artificiale, nonostante dipenda essa stessa – come qualunque aspetto di elettronica avanzata – dalla manifattura. Nel caso dell’intelligenza artificiale, che è letteralmente un insieme di data center, la dipendenza è plurima.
Grazie alle osservazioni di Gros, dobbiamo dunque credere che Andy Grove 39, il manager che ha costruito il gigantesco successo di Intel negli anni Novanta, si fosse rincretinito nei suoi ultimi anni: guarda caso, non faceva che parlare del cambiamento della struttura manifatturiera del mondo e delle sue conseguenze politiche, delle fabbriche, dell’inazione verso la Cina, del ruolo di Foxconn. Di certo, le conseguenze politiche, pratiche, imprenditoriali delle supply chains tecnologiche saranno colte meglio da Gros, in virtù della sua esperienza quarantennale nelle politiche economiche europee.
Dagli scritti di Gros si apprende anche la necessità di evitare qualunque misura di protezione e sostegno dell’industria automobilistica europea. Gros bacchetta la falsa credenza, di cui è vittima anche Mario Draghi 40, che qualche milione di posti di lavoro abbia un qualche valore, che ci debba importare dell’esistenza di Wolfsburg, delle altre fabbriche di auto, dell’elettronica, della struttura delle supply chains. Invece di inseguire questo passato che non passa, fatto di fantasie di industrie e di industrie delle industrie, potremmo specializzarci in altri settori emergenti, consoni alla nostra civiltà avanzata: per esempio, le gelaterie gourmet oppure le lezioni di yoga per cani e gatti. Quando, nella logica dell’arsenale, già perseguita dai geni pazzi statunitensi come Palmer Luckey 41, dovremo convertire le fabbriche in armamenti per esigenze belliche, potremo fare riferimento proprio alle macchine delle gelaterie o agli apparecchi acustici, ovviamente prodotti in Cina o in Vietnam. Gli spettatori hanno già lasciato la sala, mentre nelle strade del Pacifico prosegue la sfida.
 
Note:
1. P. Drucker, The Concept of the Corporation, New York 1946, The John Day Company.
2. G. Berta, «Accornero, l’operaio che diventò professore», Il Sole-24 Ore, 23/10/2018.
3. Id., Che fine ha fatto il capitalismo italiano?, Bologna 2016, il Mulino, p. 37.
4. Ivi, p. 24.
5. Ivi, p. 28.
6. Ivi. p. 31. Sull’auto e la Silicon Valley, si veda anche Id., L’enigma dell’imprenditore (e il destino dell’impresa), Bologna 2018, il Mulino.
7. La migliore ricostruzione è A. Herman, Freedom’s Forge: How American Business Produced Victory in World War II, New York 2012, Random House.
8. Riprendo qui A. Aresu, A. Prina Cerai, «Byd e Catl: al cuore dei Prometei cinesi dell’elettricità», Le Grand Continent, 30/8/2023.
9. Il video è disponibile su YouTube.
10. J. Reed, P. Waldmeir, «The quiet man of cars», Financial Times, 3/11/2008.
11. G. Grandin, Fordlandia: The Rise and Fall of Henry Ford’s Forgotten Jungle City, New York 2009, Metropolitan Books.
12. P. Gerbaudo, «The Electric Vehicle Developmental State», Phenomenal World, 11/4/2024.
13. Si veda «Australia’s Magnis in deal with Tesla to supply graphite for electric vehicle batteries», Reuters, 20/2/2020.
14. Si veda Z. Visconti, «Tesla Lithium Refinery construction making progres», Teslarati, 11/3/2024.
15. A. Kojève, «Capitalismo e socialismo. Marx è Dio, Ford il suo profeta», in Id., Il silenzio della tirannide, Milano 2004, Adelphi.
16. Cito da Id.«Il colonialismo nella prospettiva europea», Adelphiana, 20/4/2003.
17. Ivi, p. 16.
18. Si veda l’intervento del 5/1/2015, disponibile su YouTube.
19. S. Marchionne, «Confessions of a Capital Junkie», Autonews, 29/4/2015, p. 6.
20. Rimando a A. Aresu, Il dominio del XXI secolo, Milano 2022, Feltrinelli.
21. In generale, su questo tema, si veda T.P. Huang, «BYD semi growth», TP’s Substack, 11/6/2024.
22. Si veda L. Kang, «BYD Semiconductor’s new $1.4 billion project sees completion of phase 1», Cnevpost, 29/11/2023.
23. «BYD, Huahong Take On Abandoned Semiconductor Fab Projects in China’s Chengdu», Yicai, 8/12/2023.
24. C. Ting-Fang, L. Ly, S. Tabeta, «China asks carmakers to use up to 25% local chips by 2025», Nikkei Asia, 16/5/2024.
25. Per un’analisi approfondita delle difficoltà di VinFast, si veda «What’s going on with VinFast», Hunterbrook, 21/4/2024.
26. N. Shibata, I. Damayanti, «Indonesia EV competition heats up with VinFast and BYD debuts», Nikkei Asia, 20/2/2024.
27. L. Le, «Vietnam is the latest battleground in BYD’s bid to dominate Southeast Asia’s EV market», Rest of the World, 7/8/2024.
28. Si veda «Exclusive: BYD tells India partner it wants to drop $1 billion EV investment plan, sources say», Reuters, 28/7/2023.
29. Si veda «Exclusive: India’s Reliance Infra weighs EV push, taps ex-BYD exec, sources say», Reuters, 6/9/2024.
30. Come indicato nel comunicato di Tata.
31. A. Onishi, R. Hanada, «India’s Tata enlists Tokyo Electron in semiconductor push», Nikkei Asia, 10/9/2024.
32. R. Bellan, «Tesla Dojo: Elon Musk’s big plan to build an AI supercomputer, explained, TechCrunch, 3/8/2024.
33. Su questo passaggio, rimando a A. Aresu, Geopolitica dell’intelligenza artificiale, Milano 2024, Feltrinelli.
34. «Tesla plans to launch Full Self-Driving service in China and Europe in early 2025, Global Times, 5/9/2024.
35. Si veda «FACT SHEET: Protecting America from Connected Vehicle Technology from Countries of Concern», The White House, 23/9/2024.
36. La posta in gioco è mostrata in P. Bricco, «Il declino produttivo tedesco e l’ambiguità dei patti con la Cina, Il Sole-24 Ore, 21/9/2024; Id., «Settore strategico, i due piani incrociati e i rischi per l’Europa, Il Sole-24 Ore, 25/9/2024.
37. A. Aresu, «Sanzionismo, malattia senile del globalismo», Limes, 4/23, «Il bluff globale», pp. 131-142.
38. D. Gros, «Europe’s Geoeconomic Competitiveness Challenge, Project Syndicate, 10/5/2024.
39. Nato nel 1936 come Gróf András István nella Budapest da poco abbandonata da János Lajos Neumann, divenuto Johnny von Neumann.
40. D. Gros, «Draghi report on Europe’s competitiveness falls short», Politico, 2/10/2024.
41. Su questo approccio, rimando ancora a A. Aresu, Geopolitica dell’intelligenza artificiale, cit.
 
 
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