Robinson, 1 dicembre 2024
La segretario di Mussolini racconta...
Mentre la parola fascismo ritorna prepotentemente nel dibattito pubblico della nuova America trumpiana, dal fascismo italiano delle origini arrivano nuove carte che completano il quadro della formidabile macchina del consenso costruita dal dittatore. Questa volta sotto la lente degli studiosi non sono il cinema, la radio, la fabbrica delle immagini che contribuirono a edificare il monumento a Mussolini, ma una istituzione dello Stato, la segreteria particolare della Presidenza del Consiglio, un ufficio già esistente nell’Italia liberale che sotto il duce cambiò natura e missione divenendo uno strumento prezioso per la propaganda fascista. Non si possono sedurre le masse, entrate per la prima volta nella storia, senza un contatto diretto e personale con gli individui che ne fanno parte. E la segreteria serviva proprio a questo, a tessere la storia d’amore tra Mussolini e gli italiani – moltissime le italiane – rispondendo meticolosamentealle lettere che ogni giorno arrivavano a valanga sul tavolo del dittatore. Missive scritte per invocare un sussidio, una prebenda, un lavoro o un avanzamento in carriera, un posto letto in ospedale, un atto di giustizia, una benevolenza per sé o per i propri cari, anche solo una fotografia con la firma o un saluto per un battesimo. Ma compaiono anche le lettere della disperazione e della fame, sempre più aspre nei toni e nella rabbia man mano che ci si addentra nella guerra folle voluta dal duce, tra numerose grida di dolore e rari cenni di dissenso, quasi sempre a firma femminile oppure anonimi.Grazie al lavoro archivistico di Linda Giuva, che ha esaminato per la prima volta i carteggi “ordinari” ( quelli “riservati” già da tempo resi pubblici in diverse ricerche), e grazie al lavoro di contestualizzazione storica a opera di Giovanni De Luna, il volume getta nuova luce sia sugli italiani che scrivevano al dittatore sia sulla costruzione del mito popolare del capo del fascismo, che è insieme padre di famiglia, re taumaturgo e condottiero, figura spogliata della modernità con cui veniva percepita dalle classi dirigenti. Con un Mussolini al principio insolitamente prudente nel dosare le celebrazioni esaltate, meditata strategia per preparare il terreno all’ipertrofia dell’ego e al culto della personalità. E a proposito del pater familias, tra le tante acquisizione di questa ricerca colpisce l’inedito ruolo esercitato da Edda nella costruzione mitografica. Alla figlia prediletta faceva capo un’altra segretaria particolare che gestiva regalie in nome della giovane donna molto presente nell’immaginario collettivo per carattere e intraprendenza. Le lettere a lei indirizzate potevano anche sollecitare un suo intervento su storie sentimentali fallite o su matrimoni riparatori mancati. E le note riservate di sua eccellenza Edda Mussolini – coniugata al conte Gian Galeazzo Ciano – restituivano tutta l’insofferenza della nobildonna verso le noiose beghe del popolo – “Buon Dio. L’onore si tira in ballo sempre dopo…” – più protesa a far valere in pubblico il suo carisma di donna nuova, salvo poi ammettere nel dopoguerra forse anche a sua discolpa la propria tradizionalissima e privilegiata condizione di figlia e moglie del fascismo. L’archivio della sua segreteria particolare sarebbe stato poi fuso nell’archivio paterno, simbolo di un sodalizio affettivo molto forte, seppure destinato a sfociare nella tragedia (il marito Ciano fucilato nel 1944 per il suo voto contro il duce nell’ultima seduta del Gran Consiglio).La condizione femminile raccontata da questo archivio sembra sospesa tra tradizione (molta) e modernità ( poca). Perché sono tantissime le scritture delle donne, un fenomeno eccezionale per gli archivi pubblici che riflettono gli squilibri di genere davanti al potere, ma le lettere a Mussolini rivelano quasi sempre un ruolo subalterno, la donna non chiede mai per sé stessa ma per il marito disoccupato, i genitori malati, il figlio disperso in guerra. E solo quando ricopre il ruolo di capofamiglia chiede per sé un lavoro o il riconoscimento di diritti maturati, rivolgendosi con devozione o abbandonandosi ad ammiccamenti sessuali.Lo studio della segreteria particolare e della sua organizzazione interna permette anche di ricostruire il mutamento nel rapporto tra Mussolini e la burocrazia statale, al principio ignorata – nel 1922 il segretario particolare viene scelto tra i fedelissimi, non tra gli alti dirigenti pubblici – e poi recuperata con l’attribuzione nel 1941 dell’ufficio a un grand commis quale Nicola De Cesare. Il malessere crescente della popolazione probabilmente indusse il dittatore ad affidarsi a un alto burocrate e non alla classe dei gerarchi sospettabili di corruzione. De Cesare rese più efficiente il servizio, ma la sua direzione sarebbe durata solo due anni, travolta dal crollo del fascismo nel silenzio assoluto di chi fino all’ultimo aveva giurato al duce fedeltà eterna