Avvenire, 1 dicembre 2024
Venezuela e il ritorno di González
«Il 10 gennaio mi insedierò a Caracas, nei tempi e nei modi previsti dalla Costituzione». Ne è sicuro Edmundo González Urrutia, anche se il rientro in patria potrebbe costargli la prigionia. La sua vittoria all’elezione presidenziale del 28 luglio è stata riconosciuta dagli Usa e da altri Stati dopo la pubblicazione dei verbali dell’elezione – con il 67% dei voti a favore – da parte del Centro Carter, tra i pochi osservatori internazionali ammessi ai comizi. L’autorità elettorale (Cne) ha già proclamato presidente Nicolás Maduro, ma a chi ora gli chiede come farà a tornare dall’esilio madrileno, l’ex-diplomatico risponde che «i segreti non si svelano». Una situazione in evoluzione e di cui il vincitore del premio Sakharov della Ue ne parla con Avvenire.
González, come farà a insediarsi?
Il 10 gennaio segnerà un punto di svolta per il Venezuela. Il mio insediamento simboleggerà non solo l’inizio di un nuovo governo, ma la speranza di un cambiamento pacifico, con istituzionalità e rispetto. Sono persuaso della possibilità di una transizione ordinata. Cercheremo di garantire che il tutto avvenga sotto l’arco costituzionale e, soprattutto, con il sostegno popolare. Non stiamo improvvisando: c’è un piano concreto che coinvolge diversi attori nazionali e internazionali.
Ci sono quindi delle trattative in corso? Con quali settori?
Stiamo sostenendo conversazioni con rappresentanti internazionali per garantire sostegno nella transizione. Dialogo non vuol concessione, ma ricerca di consensi in favore del Paese. Il mio obiettivo è assicurare che nessuno rimanga escluso da questo processo storico. Il futuro del Venezuela dev’essere costruito dai venezuelani, a partire dalle nostre differenze ma con uno scopo comune.
Quali possibilità reali avete di portare a buon fine le trattative?
Le possibilità sono reali, ma dipendono della volontà di tutti gli attori. Benché le sfide siano enormi, confido nella capacità dei venezuelani di ricostruire il nostro Paese. In tal senso, il sostegno popolare è un pilastro, ma lo è anche la nostra abilità di raggiungere accordi. Poi, il Venezuela ha tutto ciò che serve per rialzarsi: talento, risorse e una popolazione resiliente. Credo che, con buona fede e fermezza, questa sfida sia un’opportunità per la rinascita del Paese.
A cosa darebbe priorità una volta insediato comne presidente?
Le mie priorità assolute saranno rendere stabile l’economia e dare attenzione all’emergenza umanitaria. Cioè: garantire l’accesso ad alimenti, medicine e servizi essenziali per tutti. In parallelo, lavoreremo per il ripristino delle istituzioni democratiche, della giustizia e dello Stato di diritto; porteremo avanti una riforma economica volta a creare posti di lavoro, attirare investimenti e ridurre la povertà. Un governo non deve ridursi ad amministrare crisi, ma dev’essere un motore di soluzioni.
Ma c’è chi afferma che lei consegnerà il Venezuela nelle mani delle forze neoliberiste una volta salito al potere a Caracas...
Certe affermazioni risentono di mancata conoscenza della realtà o tentativi di distorcere la nostra visione. Qui non si tratta di ideologie, ma di politiche che funzionino. Il nostro progetto è basato sull’equilibrio: un mercato dinamico che generi opportunità, con uno Stato presente che garantisca diritti e protegga i più vulnerabili. Il Venezuela ha il suo contesto e le sue soluzioni. Il mio impegno è con i venezuelani – così come quello di tutti i Paesi con cui abbiamo parlato – non con etichette.
Quali prospettive potrebbe aprire il risultato del voto in Usa?
La relazione con gli Stati Uniti è fondata sul rispetto reciproco. Credo fermamente in soluzioni sovrane e nate dal dialogo.