Il Messaggero, 1 dicembre 2024
Parla la volontaria che aiuta i malati terminali
ROMA «La morte è un tabù che nel 2024 va sfatato». Con queste parole, Cinzia Novallet, 68 anni, sintetizza la sua missione di volontaria, che da oltre vent’anni la vede accanto ai pazienti terminali. Dopo aver iniziato nel 1998 all’Ospedale Regina Elena di Roma, da più di un anno è responsabile dei volontari del “Circolo San Pietro Volontari Hospice” del Centro di Cure Palliative della Fondazione Sanità e Ricerca. Qui, Cinzia si dedica con passione e discrezione ad assistere chi si trova nell’ultimo stadio della vita, svolgendo un ruolo fondamentale in un ambito sempre più sotto pressione. Le cure palliative, infatti, sono oggi difficili da garantire, principalmente a causa della crescente carenza di volontari.VOCAZIONE«Ho intrapreso questa strada grazie alla volontaria che ha seguito mio padre fino alla fine dei suoi giorni. Questo mi ha fatto capire quanto sia importante esserci perché è lì che siamo più vivi. Quando è morto, ho deciso di restituire ciò che avevo ricevuto, dedicando il mio tempo a chi ne aveva bisogno», racconta Cinzia, il cui sorriso maschera l’emozione di un impegno che dura da più di due decenni. Da allora, la volontaria ha affiancato i pazienti terminali con dedizione, senza mai avere paura di affrontare la morte. «Pochi vogliono fare questo servizio. Morire fa paura. Un secolo fa però si diceva addio a questo mondo circondato dai propri cari, oggi spesso si muore in solitudine, come se fosse una vergogna», riflette la donna, che ogni giorno accoglie i pazienti terminali con un sorriso e un ascolto attento. «Noi siamo lì per loro, abbiamo tempo per loro. Ma soprattutto raccogliamo le loro confidenze».Da anni, la responsabile fa parte di un team di circa venti persone che si alternano in tre turni per assistere i pazienti dell’Hospice. Ma la situazione è ben più complessa di quanto possa sembrare. «Abbiamo oltre 120 malati a domicilio, ma non possiamo seguirli. Sarebbe necessario un numero maggiore di volontari». Nonostante l’impegno incessante e la fondamentale presenza degli operatori, c’è una difficoltà intrinseca: il dolore psicologico che ne deriva quando ci si affeziona a qualcuno. Questo è un aspetto che frena molte persone nel diventare volontari. «Siamo continuamente monitorati da psicologi specializzati. Il carico emotivo è pesante quando si fa un lavoro come il nostro», aggiunge la responsabile. Quando Cinzia inizia il suo percorso come volontaria, negli anni ’90, il contesto era diverso. «All’inizio, non parlavo di quello che facevo. La gente avrebbe pensato che fossi matta o santa, ma oggi posso dire con certezza che chiunque potrebbe farlo. Perché dà una grande gioia aiutare queste persone nel momento più delicato della loro vita».I GIOVANI«Le nuove generazioni sarebbero perfette per questo tipo di ruolo, ma oggi sono molto impegnate. Il volontariato nelle cure palliative richiede un impegno costante e profondo, qualcosa che non tutti sono disposti a garantire». La difficoltà di attrarre ragazzi però è evidente e necessaria. «Non hanno ancora sperimentato appieno il concetto di morte, e questo li rende più distanti da esperienze simili a quelle che viviamo qui dentro», aggiunge Novallet.I DATILe parole di Cinzia sono in linea con i dati preoccupanti forniti dalla Federazione Cure Palliative. Tania Piccione, responsabile dell’organizzazione, conferma: «La crisi nel volontariato delle cure palliative è un fenomeno che non possiamo più ignorare. Dalla pandemia, abbiamo registrato una riduzione del 26% con una ripresa molto lenta nel 2022». Ma non si tratta solo di numeri. «La mancanza di una solida formazione e di una diffusione adeguata di questa cultura tra le nuove generazioni è il vero nodo da sciogliere» aggiunge la presidente. Il problema però resta. «Molte regioni italiane non hanno ancora implementato un programma di formazione specifico e omogeneo per tutto lo stivale, nonostante l’esistenza di una norma dal 2020». Ma ciò che pesa è la disparità nell’accesso alle cure: «Solo un adulto su tre accede, e la situazione è peggiore per i bambini, con solo il 25% che riceve le terapie». Ogni anno in Italia, circa 500.000 adulti e 35.000 bambini necessitano di cure palliative, ma solo una parte riesce ad accedervi. «Il 38% delle ASL non dispone di un’equipe specializzata per questo. Se non affrontata con urgenza, questa situazione potrebbe compromettere la qualità della vita di molti» conclude Piccione. Il tema è stato recentemente discusso anche con il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, che ha ricevuto al Quirinale una rappresentanza del mondo delle Cure Palliative. In quell’occasione, Mattarella ha sottolineato come l’Italia, pur essendo tra i Paesi più avanzati in questo settore, debba affrontare ancora delle criticità.