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 2024  dicembre 01 Domenica calendario

A Milano una mostra sulla decapitazione

Per amore o decapitazione, perdere la testa in mostraRidateci le nostre teste, protestava il popolo Maori mettendo in allarme qualche anno fa gli antropologi francesi del Musée de l’Homme. E infiniti possono essere i modi per perdere la testa: per un amore travolgente, oppure smarrendo il lume della ragione.
Esiste anche la figura del Folle per amore di Dio, come san Francesco. Ma non manca l’orrore, quello delle teste mozzate. Un regista di culto dalle tinte forti, come si vide nel Cattivo tenente e nell’horror Vampiri a New York, il proteiforme Abel Ferrara, ha trovato un luogo insolito per la performance Bleedings (sanguinamenti).
La location sarà infatti la galleria milanese BKV Fine Arte, nata pochi mesi fa, che ha inaugurato la tremenda ma intrigante rassegna Perdere la testa. In questi ultimi decenni di guerre e di fondamentalismo religioso quante volte abbiamo visto un carnefice esibire come un orrido trofeo la testa del nemico (o di un innocente)? Così la mostra troverà un assist il prossimo 20 dicembre con la rappresentazione del poeta Gabriele Tinti e di Abel Ferrara.
Recitando le poesie di Tinti, il regista americano eseguirà una pop-up performance ispirata alle opere esposte: l’intenzione, però, è esorcizzare la violenza che ribolle nel mondo. Un’opera, dunque, con funzioni apotropaiche, come certi oggetti sacri.
La mostra è dedicata a dipinti che hanno per tema la “decollazione”. Molte di queste opere fanno parte della collezione di Luigi Koelliker che le teneva esposte nel corridoio del Palazzo dove raccoglieva la sua vasta collezione, e che oggi è la sede della Galleria milanese BKV Fine Art, in via Fontana 16. Seguendo un intrigante fil rouge che lega antico e contemporaneo, vengono esposte 64 fra dipinti e sculture, dedicati al sacrificio del Battista e alle storie di David e Golia e di Giuditta e Oloferne.
Tre diversi modi di rappresentare un sacrificio il cui emblema pittorico sembra essere Caravaggio, che per ciascun soggetto ci ha dato un capolavoro: al Battista dedicò la grande tela ora a Malta, il suo unico dipinto firmato; alla Giuditta e Oloferne il quadro conservato a Palazzo Barberini: e alla Galleria Borghese la sua ultima opera, il David e Golia, dove pare essersi autoritratto all’acme della disperazione.
Il tema del Battista è il più rappresentato, ben 45 opere esposte una vicino all’altra come nelle antiche quadrerie. La testa deposta su un vassoio, talvolta rialzato, ne fa un oggetto sacrale o, paradossalmente, una “natura morta”.
Il modello per alcuni fu il quadro del lombardo Andrea Solario, discepolo di Leonardo, che ebbe fortuna quando, pare, il sovrano francese Luigi XII lo prese per oggetto votivo. In mostra vi sono alcune teste dei seguaci di Solario, altre sono dei seguaci di Bernardino Luini, una tela pare si debba alla mano di Ambrogio Figino.
Intense per la forza con cui contrastano il senso della morte, le teste del Battista di Luca Cambiaso e di Daniele Crespi. Ed è su questa strada che si muoveva nel 1968 Giovanni Testori, come scrittore ma anche come pittore: sono presenti, così, due suoi acquarelli eseguiti quando lavorava al testo teatrale Erodiade.
In altri disegni esposti nel 1987 a Parigi, la testa pareva una medusa che allunga i capelli come tentacoli serpentini; ma, ecco, diventava un groviglio di rivoli sanguinolenti, che colano sullo sguardo dello spettatore trasformandolo in Erodiade. Testori si avvicinò a questo tema tragico scrivendo sulla pittura compulsiva e tormentata di Francesco Cairo la cui Erodiade, mossa da un sentimento erotico del macabro (tra i seguaci del Cairo, uno ha ficcato un chiodo nella lingua del Santo, tanto per rendersi ancora più sadico e orrendo), segnò uno dei primi saggi del critico, accolto da mille polemiche.
Varie altre opere sono poi di scuola fiamminga, romana, napoletana, spagnola, emiliana. Si chiude, al piano superiore, con la testa di Golia del regista Julian Schnabel, preceduta da opere secentesche di Domenico Fetti e altri; mentre di Giuditta e Oloferne parlano le tele di Dosso Dossi, Giuseppe Vermiglio, Claude Vignon.
Per finire col nostro tempo, c’è anche la Giuditta in terracotta di Arturo Martini, il cui stile si distacca però da tutto il resto. In ogni caso, ce n’è abbastanza per “perdere la testa” dalla meraviglia.