La Stampa, 1 dicembre 2024
Parlano i frati che restano nell’inferno di Aleppo
«Sono appena caduti due missili vicino a noi, devo andare a vedere come stanno le suore. Può richiamarmi più tardi? E speriamo in bene». Padre Hugo Alaniz, sacerdote dell’istituto del Verbo Incarnato, missionario – di origine argentina – in Siria, ci ricontatterà un paio d’ore dopo. È uno dei religiosi che, mentre tutti cercano comprensibilmente di fuggire, ha deciso di restare ad Aleppo, città ormai conquistata dai jihadisti. Con il vescovo francescano Hanna Jallouf, vicario apostolico per i cattolici di rito latino, è andato «a trovare alcune delle nostre comunità e continueremo i nostri giri nelle prossime ore – ha raccontato all’Agenzia Fides – Per ora tutti stanno bene, grazie a Dio». E poi al telefono con La Stampa, in pieno «coprifuoco», racconta della confusione, del terrore, e del fiato sospeso con cui si vive in queste ore drammatiche e incerte. «Le ennesime».
Padre Alaniz, com’è la situazione?«Gruppi armati provenienti da Idlib hanno iniziato ad assediare la città a Ovest, dove si trovano le università e il vicariato latino in cui viviamo noi, sacerdoti del Verbo Incarnato, insieme al vescovo dei latini, monsignor Jallouf. Questa zona è abitata da poche famiglie cristiane, perché molte sono fuggite già all’inizio della guerra, nel 2011. Vicino al vicariato ci sono le Suore Carmelitane e le Missionarie della Carità, che accudiscono 65 anziani. Il nostro lavoro pastorale si concentra dall’altra parte della città, in un quartiere povero, dove abbiamo una piccola chiesa, quella dell’Annunciazione. Venerdì, quando i guerriglieri si sono avvicinati – un missile è caduto a 500 metri dalla zona universitaria – abbiamo trasferito i giovani che ospitiamo nella residenza universitaria in un rifugio più sicuro, sotto terra, nella parte opposta della città. Io sono rimasto qui, insieme al Vescovo, anche per essere vicino alle Suore Carmelitane e a quelle di Madre Teresa».
E poi com’è andata?«Venerdì è stata una giornata terribile: scontri cruenti, spari ovunque. Prima di mezzanotte abbiamo saputo che i miliziani avevano preso la zona; al mattino presto, era caduta anche l’altra parte della città. Oggi quasi tutta Aleppo è in mano loro».
Lei con il Vescovo ha attraversato Aleppo: che cosa ha visto?«La paura è tanta, e cresce anche per ciò che non si vede ma si immagina. Io e monsignor Jallouf abbiamo visitato alcune comunità e le suore che lavorano con noi nella chiesa dell’Annunciazione. Sulle strade abbiamo visto immagini del presidente Assad strappate e bandiere siriane a terra. E, soprattutto, corpi di soldati uccisi, lasciati in bella vista come avvertimento. Noi ci siamo avvicinati e abbiamo pregato vicino a quei cadaveri. È una situazione estraziante».
Quali membri della Chiesa sono rimasti? E perché siete rimasti?«Praticamente tutti i membri delle Chiese sono ancora qui. Siamo religiosi, stiamo vicini alla nostra gente, ed è giusto così. Ci hanno anche proposto di spostarci a Damasco per essere più al sicuro, ma non è il momento di andare via. Siamo pastori, lasciare le nostre “pecore” sarebbe un tradimento della nostra missione».
Di che cosa ha più bisogno la popolazione in questo momento?«Di tutto. Già prima di questo attacco le persone vivevano nella miseria, con stipendi di 20-25 euro al mese, insufficienti anche per sopravvivere. Con il terremoto del 2023 c’è stata una piccola apertura per l’ingresso di aiuti, ma erano poche gocce in un mare di necessità. Oggi, con l’economia bloccata, non so come faremo. La gente ha bisogno di viveri, medicine, lavoro. E dignità».
[Dalla cornetta si sente una forte esplosione. Padre Hugo si interrompe: «Ha sentito? È un missile. Sarà caduto a poche centinaia di metri da qui].
Come si potrà uscire da questo incubo?«Non lo so. Ci sono troppi interessi politici ed economici dietro questa guerra. È come quando un animale sta per morire: gli avvoltoi iniziano a volteggiare sopra di lui, aspettando la fine. Noi preghiamo per la pace, ma una pace senza giustizia non è possibile. Il mondo deve lavorare per la giustizia, altrimenti tutto questo continuerà».
Quale tipo di sostegno vi aspettate dalla comunità internazionale?«Non servono soluzioni calate dall’alto, dettate dagli interessi dei Paesi ricchi. Chiediamo disperati, oltre a iniziative per salvarci da bombe e occupazione, la fine del blocco economico per permettere alla nostra gente di lavorare e vivere con dignità. Non vogliamo elemosine, ma la possibilità di guadagnarci il pane quotidiano».
Qual è il vostro timore più grande?«Oltre all’apprensione per la vita delle persone, temiamo la scomparsa della Chiesa locale. Questa terra è culla della fede cristiana, ricca di storia e significato. I primi cristiani sono usciti da qui, così come alcuni dei primi Papi. Se oggi noi siamo cristiani, è anche grazie a loro. La nostra paura più grande è che questa Chiesa, madre della fede, possa sparire».
L’attacco vi ha colto di sorpresa?«Sì e no. La situazione era relativamente tranquilla, ma già piena di sofferenze e minacce. Ma nessuno poteva immaginare una cosa del genere».
Gli jihadisti sono entrati troppo facilmente? Qualcuno ha responsabilità di omissione o negligenza?«Non sono in grado di rispondere, non è il mio compito giudicare, ma solo testimoniare le tragedie che vediamo e affrontiamo».
Lei ha speranza?«Sì. La trovo nella preghiera, nell’Avvento che inizia oggi e che porta al Natale».