Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2024  dicembre 01 Domenica calendario

Pelicot il racconto drammatico della figlia


PARIGI. Ha scelto la forma del diario Caroline Darian per raccontare l’orrore vissuto dalla madre Gisèle Pelicot, che per circa dieci anni è stata drogata a sua insaputa dal marito Dominique prima di essere violentata da decine di sconosciuti. Uomini di tutte le età, provenienti dagli ambienti più disparati e reclutati su Internet dal coniuge della vittima, che riprendeva gli stupri archiviando poi i video nel suo computer. Sull’affaire Mazan, così ribattezzato dal nome della cittadina del sud della Francia dove avvenivano le violenze, si è aperto un processo tre mesi fa, nel quale sono stati chiesti 20 anni per il marito della vittima e pene tra i 4 e i 18 anni per la cinquantina di uomini sospettati di aver preso parte agli stupri (per i quali quasi tutti si dicono innocenti, sostenendo che lo stato alterato della vittima non era evidente).
IL PROCESSOStupro di gruppo in Francia, i figli di Gisèle Pelicot contro il padre: “Sei il demonio”. In aula foto della figlia nudaUgo LeoMa la figlia di Gisèle ha deciso di raccontare la tragedia che si è abbattuta sulla sua famiglia scioccando l’opinione pubblica d’oltralpe già due anni fa, con un libro che uscirà in Italia a febbraio per Utet dal titolo più che emblematico: E ho smesso di chiamarti papà.
È la cronaca del crollo dei Pelicot, che nel 2020 scoprono all’improvviso di aver vissuto con un mostro senza mai accorgersene. Ogni capitolo racconta un giorno ben preciso del dramma, cominciato quando Dominique è stato colto in flagrante mentre stava facendo dei video sotto le gonne di alcune donne in un supermercato. Da lì le denunce, l’arresto e il rinvenimento da parte degli inquirenti delle registrazioni tenute nel computer e su chiavi Usb, dove appare Gisèle in stato comatoso subire violenze delle quali non ha nessun ricordo. Un vaso di Pandora che una volta scoperto ha portato alla luce un sottobosco di mostruosità, emerse una dopo l’altra quasi come a comporre un puzzle raccapricciante. Caroline e i suoi due fratelli mettono insieme i pezzi, capiscono perché la madre negli ultimi anni si sentiva spesso sfinita, aveva perso peso e avvertiva continui dolori che la costringevano a periodiche visite ginecologiche. La causa erano i centinaia di rapporti non protetti subiti sotto l’effetto di un mix di tranquillanti, dai quali la vittima ha anche contratto il papillomavirus. Caroline parla dello choc iniziale, che gli ha causato anche dei ricoveri in psichiatria, al quale si è accompagnata fin da subito la rabbia nei confronti del carnefice, passato dall’essere un padre-marito-nonno ideale ad un violentatore seriale, abile nel mascherare l’orrore di cui era responsabile dietro un muro di bugie.
LA VIOLENZA DI GRUPPOCaso Pelicot, parla l’avvocato del “diavolo”: “È un processo sul concetto di stupro”Danilo CeccarelliL’autrice, che nella vita è dirigente di un’importante azienda, sospetta di essere anche lei una vittima a causa di alcune foto che la ritraggono nuda scoperte negli archivi incriminati. «La sola differenza tra lei (Gisèle, ndr) e me è la mancanza di prove», ha detto Caroline durante un’udienza, prima di definirsi come la «grande dimenticata» del processo.
Il libro è soprattutto un modo per sensibilizzare l’opinione pubblica al problema della «sottomissione chimica» utilizzata come arma da stupro. L’autrice, che ha firmato con un cognome di fantasia per evitare di usare quello del padre, vuole trasformare il «fango» vissuto dalla mamma in «materia nobile», affinché si acquisti maggiore consapevolezza sui pericoli legati ad una minaccia che va ben al di là dei rischi di cui si parla generalmente. Perché «questo flagello sconosciuto dal grande pubblico non si limita alla droga dello stupratore messa in un bicchiere» ma viene anche dai nostri «armadietti per le medicine», spiega la figlia di Gisèle, ricordando che sonniferi, ansiolitici e altre sostanze psicoattive «sono all’origine di molte aggressioni sessuali». L’importante è avere i mezzi legali e sanitari per riconoscerle. Per questo è necessario sostenere le vittime, «troppo spesso terrorizzate, zittite dalla paura ma anche ostacolate dal peso della vergogna e della colpevolezza». E in tal senso la giustizia deve svolgere il più importante dei ruoli, come dimostra proprio il caso di Gisèle Pelicot. La donna 72enne dopo aver rifiutato il processo a porte chiuse al Tribunale di Avignone è diventata l’emblema di questa lotta volta a cambiare lo sguardo della società su casi simili, dimostrando un coraggio e una forza d’animo esemplari. «Mia madre, come tante altre donne, non è colpevole di niente», scrive Caroline, nell’attesa della sentenza che dovrebbe arrivare entro il 20 dicembre.