Corriere della Sera, 1 dicembre 2024
Siria in fiamme, il doppio gioco turco
Perché è scattata ora l’offensiva?I ribelli si sono preparati da mesi e hanno atteso il momento più propizio, con i tre principali alleati del regime in difficoltà – Iran, Hezbollah – o perché impegnati su altri fronti, ossia la Russia in Ucraina. L’attacco era stato quasi annunciato, presentato come la «risposta all’aggressione» (i continui bombardamenti da parte dei lealisti sulle zone abitate). Ora vogliono ristabilire l’autorità su ciò che hanno perduto dopo anni di feroci combattimenti.
2 Chi sono i ribelli?
La realtà principale è rappresentata dagli ex qaedisti di Hayat Tharir al Sham (Hts), guidati da un veterano, Abu Muhammad al Jolani, che ha portato il movimento su una linea pragmatica. E secondo fonti libanesi sarebbe rimasto ucciso in un raid russo. A seguire una miriade di formazioni, comprese alcune filo-turche e jihadiste, così come gli uzbeki e i musulmani cinesi (uiguri) o militanti caucasici. Interessante la mossa tattica di Hts che ha «intestato» l’assalto al «comando» al Fatah al Mubin, un modo per ridurre frizioni, contrasti e «gelosie» creando una sigla-bandiera.
3 Come hanno sfondato le linee?
Ampio uso di droni-kamikaze che hanno inciso molto sui lealisti, almeno due veicoli-bomba con kamikaze, forse dei tunnel per infiltrarsi, missioni eseguite con determinazione da due unità speciali, la Asaib al Hamra e la Saraya al Harari. Le unità di Assad sono apparse demotivate, incapaci di tenere le posizioni, private di un appoggio più esteso di russi e iraniani. Le difficoltà locali si sono sommate a problemi cronici di apparati pensati per reprimere. Certamente Bashar Assad è molto più debole – sul piano interno e internazionale – rispetto al passato, fino a ieri controllava circa il 60 per cento del suo territorio.
4 Quale ruolo svolge la Turchia?
Ha dialogato negli ultimi tempi con Damasco ma, al tempo stesso, ha permesso alle milizie amiche di partecipare alla spallata per poi manovrare sul piano diplomatico. Un classico di Erdogan: giocare su tutti i tavoli. Sono note le ambizioni di Ankara che vuole esercitare una grande influenza su una parte del Paese e, allo stesso tempo, punta a contrastare i separatisti curdi. Quest’ultimi si sono mobilitati scontrandosi con gli insorti per il controllo dell’aeroporto di Aleppo. Una posizione particolare quella dei curdi che appoggiano Assad ma agiscono insieme agli americani nel Nord-Est in chiave anti-Califfato. Il Pentagono dispone di numerosi avamposti in Siria, presenza minore rispetto a Mosca che conta sui porti per la sua flotta (Latakia, Tartus) e la base di Khmeimim, i due punti che stanno a cuore di Putin per la proiezione verso il Mediterraneo e nello scacchiere. La Casa Bianca, in questa fase, si è dedicata al negoziato sul Libano, arduo che possa avere presa su attori convinti che la forza paghi.
5 E Israele?
L’Idf con la guerra in Libano e centinaia di raid in Siria ha fiaccato lo schieramento di Hezbollah, ha eliminato preziosi consiglieri iraniani, ha reso più instabile il dispositivo governativo, ha distrutto depositi/fabbriche di armi. Tuttavia, è difficile pensare che Tel Aviv auspichi un trionfo totale della ribellione islamista, anche se da quando è nata la rivolta ha stabilito un modus vivendi che ha evitato scontri diretti. Chi si dedica ai retroscena arriva a ipotizzare un accordo tra nemici – Turchia, Israele —, magari con coinvolgimento delle monarchie sunnite del Golfo (il Qatar ha finanziato Hts), per avere un nuovo assetto che ridimensioni il peso degli ayatollah.
6 Quali altre incognite?
Da capire fin dove i ribelli potranno spingersi e poi gestire i settori liberati. Inoltre, devono mantenere la coesione: proprio il frazionamento delle tante fazioni è stato il tallone di Achille degli oppositori. Senza dimenticare che lo Stato Islamico ha rialzato la testa nel Paese moltiplicando le incursioni. Sullo sfondo c’è il rischio di una Siria divisa in cantoni.