Libero, 1 dicembre 2024
La ricostruzione di Notre Dame
Hanno scelto le querce con i tronchi più grandi, col diametro di almeno un metro, per ricostruire la guglia della cattedrale di Notre Dame andata a fuoco nell’incendio del 2019 e che aprirà al pubblico il prossimo 7 dicembre. A contribuire alla rinascita della cattedrale sono stati negli ultimi cinque anni almeno duemila tra operai, architetti, restauratori e restauratrici – anche italiane – che hanno lavorato con abnegazione per far splendere nuovamente un monumento della cristianità europea.
Uno dei simboli più iconici della ricostruzione è la nuova guglia, una replica esatta di quella progettata nell’800 dall’architetto Eugène Viollet-le-Duc. La guglia originale, in legno e piombo, era crollata durante l’incendio, quando le fiamme l’avevano divorata, facendo crollare parte del tetto e della volta della cattedrale. Nei primi mesi dopo il disastro, era stato proposto un concorso internazionale di architettura per progettare una nuova guglia moderna, con idee che spaziavano da strutture in vetro e acciaio a soluzioni futuristiche. Tuttavia, alla fine si è optato per una ricostruzione fedele all’originale, mantenendo l’integrità storica dell’edificio gotico. Nonostante la fedeltà al passato, la cattedrale presenta anche elementi di design moderno. L’artista e designer francese Guillaume Bardet è stato incaricato di progettare l’arredamento interno, compreso una fonte battesimale minimalista, che rappresenta un contrasto con lo stile gotico ricco di dettagli della cattedrale.
La cattedrale – ha detto il presidente Macron nella sua visita che ha anticipato la consacrazione del 7 dicembre – «è stata riparata, reinventata, ricostruita». E non senza polemiche da parte di intellettuali che hanno accusato: non facciamo di Notre Dame un gonfiabile per il sollazzo dei turisti.
Ma la forza simbolica di quella cattedrale è tale da non temere troppo la decadenza dell’Occidente contro la quale si uccise proprio all’interno della chiesa nel 2013 lo storico e scrittore Dominique Venner. Un suicidio ad imitazione del seppuku di Yukio Mishima ma che non poteva in alcun modo fermare la storia e far tornare la Francia che lo scrittore rimpiangeva: «Il paese dell’albero e della foresta, della quercia e del cinghiale, della vigna e dei tetti aguzzi, delle chanson de geste e delle favole, dei bimbi biondi dallo sguardo chiaro, del solstizio d’inverno e di Santa Giovanna, dell’azione ostinata e dei folli sogni, delle conquiste e della saggezza».
In tanti si sono chiesti perché il rogo di Notre Dame commosse il mondo intero, perché la sua ricostruzione non è avvertita come un qualunque restauro ma come la sopravvivenza di un simbolo. Usciva nel 1978 il provocatorio libro di Régine Pernoud Luce del medioevo nelle cui pagine si spiega che le cattedrali condensano tre elementi: meraviglia, luce e preghiera. La cattedrale è un mondo che ci comunica questo messaggio, un messaggio di elevazione.
La cattedrale è anche un simbolo di quell’identità europea di cui tanto si dibatte, ancora una volta per andare oltre le algide questioni economiche. Simbolo comunque radicato nel nostro immaginario di europei disillusi e disincantati. Nei giorni successivi al rogo su Avvenire Luigino Bruni annotava: lì si trovano le nostre radici. Le radici dell’umanesimo europeo. Le radici cristiane che il politicamente corretto vorrebbe affumicare con un logorante razionalismo laico.
Franco Cardini ha dedicato un libro alla spiegazione di questo filo ideale che tutti ci lega alle cattedrali, e in particolare alla cattedrale di Notre Dame a Parigi (Notre Dame, il cuore di luce dell’Europa, Solferino editore). Quel pomeriggio del 15 aprile 2019 Cardini si trovava a Parigi. Era il lunedì santo, sei giorni prima della Pasqua. Vide sgomento quell’«enorme fiammifero» alto su Parigi. Vide la flèche schiantarsi. E pianse. Pianse perché Notre Dame è lo specchio della storia d’Europa. Carica di segni e di storia, a cominciare dal luogo in cui fu edificata, dove sorgeva un tempio di origine druidica consacrato a Iside. La prima pietra del cantiere fu posta nel 1163, alla presenza di Papa Alessandro III. I lavori si conclusero nel 1351. Subì ammodernamenti barocchi nel XVII secolo. I danni maggiori li apportò la Rivoluzione, che fece scempio degli oggetti in bronzo, di ori e argenti e opere d’arte.
Artefice della rinascita della cattedrale fu Victor Hugo con il suo romanzo storico Notre Dame de Paris (1830), di cui quella «vasta sinfonia di pietra» era protagonista indiscussa. Il successo del libro, sottolinea Cardini, «si tradusse immediatamente in una passione travolgente per quell’immensa cattedrale troppo a lungo considerata come un ingombrante residuo di una vecchia superstizione». Passione che condusse a un lungo restauro grazie al quale Notre Dame si popolò nuovamente di garguglie, chimere, meduse. Creature fantastiche tra le quali spicca lo Strige, immortalato da Charles Meryon in una incisione popolarissima in cui l’uccello malefico sovrasta Parigi dall’alto.
Quel rogo rese tutti consapevoli del fatto che stava andando in fiamme la nostra storia. «Guardando la gente attonita e disperata ch’era attorno a me – scrive Cardini – ho sentito di poter parafrasare – sostituendo l’Europa all’Italia – lo Ezra Pound dei Pisan Cantos. Io credo nell’Europa e nella sua impossibile rinascita».
Quella cattedrale, come tutte le cattedrali, è uno speculum mundi. Orientata in modo che il suo ingresso si apra a ovest e l’altare troneggi ad est. Essa è figura della Gerusalemme terrena. Una volta entrato, il fedele vi percorre, come in pellegrinaggio, il cammino dall’Occidente del peccato che si lascia alle spalle fino all’Oriente dell’altare. Itinerario di salvezza, liturgia di raccoglimento.
La cattedrale esalta anche la centralità di Maria e l’iconologia mariana che proprio a partire dal XII secolo si diffonde nell’intera Europa. Maria signora e regina il cui culto si estende a tutto il popolo cristiano grazie agli Exempla di Cesario di Heisterbach e al poema Miracles de la Vierge di Gualtiero di Coincy. Al culto della Vergine si legavano i pellegrinaggi ai santuari mariani, subito teatro secondo la devozione popolare di miracoli. Notevoli furono anche le “crociate edilizie” che cominciarono nel 1145 quando migliaia di pellegrini normanni arrivarono al santuario di Notre Dame a Chartres nell’intento di aiurtare a costruire le torri sul lato ovest della cattedrale. Per alcuni mesi uomini e donne si prestarono volontariamente a spingere pesanti carri di pietre lungo il declivio su cui sorgeva Chartres flagellandosi nel frattempo e cantando inni in onore della Vergine.
Trasportare le pietre per le cattedrali era un atto di devozione ma soprattutto avevano grande importanza i tagliapietre che obbedivano al mastro muratore. Ildegarda di Bingen descrive le virtù della pietra che sono in numero di tre: l’umidità, la palpabilità e la forza ignea. Le pietre non sono masse inerti ma rappresentano per Ugo di San Vittore i fedeli «quadrati e fermi» per la loro fede e stabilità. Ebbene le cattedrali sono scrigni di pietre e vetrate policrome.
In Francia ogni paese va fiero della sua cattedrale. E la più amata resta quella di Reims, dove i re venivano unti col sacro crisma e assumevano il potere di guarire le scrofole secondo quanto ricostruito da Marc Bloch nel mirabile libro I re taumaturghi. Infine la cattedrali sono anche libri di pietra, la Bibbia del popolino ignorante. «Il bestiario pauroso e mirabile che vi circonda – annota Franco Cardini – vi rimanda ai vostri vizi, ai vostri peccati, alla linea d’ombra che avete attraversato, alla speranza della luce che vi aspetta. Sembra favoloso, lontano, esotico: invece è vicino, ti sta dentro, sei tu con le tue paure e i tuoi rimorsi e l’angelo è lì, per aiutarci a dominarlo e a vincerlo».