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 2024  dicembre 01 Domenica calendario

In Siria ci sono circa 300 italiani

Vanno via tutti, tranne i missionari e i diplomatici, finché è possibile lasciare la Siria in condizioni di sicurezza. L’Italia coordina con l’Onu l’evacuazione di connazionali e funzionari stranieri, riferiscono fonti della Farnesina. Le Nazioni Unite hanno avviato un’evacuazione da Aleppo verso Damasco, con un primo convoglio di auto – compresi mezzi con alcuni italiani a bordo – già in viaggio per uscire dalla città. Altri pullman dell’Onu sono in attesa di uscire. L’ambasciata a Damasco, dove è presente il nuovo ambasciatore Stefano Ravagnan, in stretta collaborazione con la presidenza del Consiglio, è in contatto con il gruppo e riceverà i connazionali, in maggioranza con doppia cittadinanza. Una volta arrivati a Damasco, a seconda delle circostanze che si saranno create, si valuterà se proseguire la permanenza nella capitale o uno spostamento altrove.
«In Siria ci sono circa 300 italiani, la metà a Damasco, mentre ad Aleppo siamo attorno ai 120. Non ci sono pericoli per i nostri connazionali, anche perché i ribelli hanno detto in maniera chiara che non toccheranno e non faranno operazioni ostili nei confronti della popolazione civile, e hanno detto anche non faranno azioni ostili nei confronti degli italiani, in modo particolare, e neanche dei cristiani, visto che Aleppo ha una fortissima presenza cristiana», rassicura il ministro degli Esteri, Antonio Tajani.
Per questo un certo numero di religiosi ha deciso di rimanere ad Aleppo, contando sui buoni rapporti stabiliti dai frati francescani con tutte le comunità etnico-religiose presenti sul territorio e Ravagnan è in contatto con loro. Vengono aiutati i religiosi che vogliono uscire e l’ambasciatore è anche in contatto con il vescovo, che sta bene e, nella misura del possibile, protetto.
«Si vede che le cose sono state preparate prima da parte dei turchi e dei ribelli. I cristiani di Aleppo temono che la guerra duri molto e che ci siano molti morti», afferma al Tg1 il vicario apostolico di Aleppo, Hanna Jallouf.
Si sta cercando di organizzare la messa domenicale nelle chiese di Aleppo, ma i cristiani anche oggi per la maggior parte resteranno chiusi in casa perché, spiegano, «non è prudente spostarsi, visto che la situazione è confusa e i ribelli islamisti hanno preso possesso di tutte le strutture statali della città». Intanto, «si sta pregando e si chiedonno preghiere perché vi sia un dialogo politico per evitare che vi siano altri combattimenti e non si torni allo stato di guerra che abbiamo vissuto gli anni scorsi».
Dopo tre giorni di attacchi e la conquista della città da parte delle «milizie cosiddette dell’opposizione», l’arcivescovo maronita di Aleppo Joseph Tobji spiega all’agenzia Fides che «ora tutto tace. La città è come sospesa. E nessuno ci dice niente». La nota positiva è che «dopo i combattimenti, per ora non ci sono spargimenti di sangue, grazie a Dio. Ci sono arrivate delle voci sull’arrivo delle truppe dell’esercito siriano ma di certo non c’è nulla. Stiamo vivendo nell’insicurezza».
Mentre per ora la sua chiesa rimane aperta, si celebrano le messe e non risultano esserci stati attacchi diretti contro obiettivi collegati alle comunità cristiane, «per ora noi siamo tranquilli ma non sappiamo cosa accadrà», spiega monsignor Tobji.
Nonostante le sfide, le comunità religiose locali continuano a fornire sostegno ai fedeli e ai giovani residenti che sono stati affidati alle loro cure, anche se il conflitto minaccia la loro sicurezza, fa sapere ad Aiuto alla Chiesa che Soffre padre Hugo Alaniz, dell’Istituto del Verbo Incarnato, missionario argentino. Il coordinatore dei progetti dell’ufficio di Pro Terra Sancta ad Aleppo, Anton, attende ancora per prendere una decisione definitiva. Per ora, «ho chiuso l’ufficio e sono andato a casa, non sappiamo se scappare o rimanere, alcuni dei nostri colleghi hanno già lasciato la città per paura dei combattimenti». Del resto, «tutti stanno chiudendo».