Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2024  novembre 29 Venerdì calendario

Quel che resta di Hezbollah

Messaggi di Hezbollah per inquilini smarriti. «Siamo entrati in questa casa, abbiamo usato una pinza, una sveglia, uno stivale, abbiamo preso dei petti di pollo, sette caramelle, una busta di candele, 30 pasticche di antidolorifici, lo shampoo e quattro pomodori. Nota bene: abbiamo cambiato la serratura della porta». Scritto a mano nella cucina di Abu Jawad. Riappropriatosi del suo appartamento di Nabatieh Fawqa appena due ore dopo l’inizio del cessate il fuoco, il poliziotto 53enne Abu Jawad ha appurato immediatamente che non aveva le finestre del salotto ma una promessa accanto al frigo. «Vi verrà tutto rimborsato, contattate il responsabile del villaggio». Firmato: i miliziani di Dio.Scusate per il disagio, stavamo facendo la guerra contro Israele e ci siamo presi il vostro stivale. Vallo a sapere perché uno solo. Il ritorno in massa al sud degli sfollati libanesi non riserva solo sorprese pessime. Quando la casa è ancora in piedi capita di trovare un segnale che dice che Hezbollah è passato di lì. «Perdonateci se abbiamo usato la vostra acqua e le forchette…». Questo l’hanno trovato su un pezzo di cartone in un bilocale vicino a Rmeish. Accanto c’era una mazzetta di 300 dollari, la pigione non richiesta (ma apprezzata) per l’immobile riadattato a temporanea base logistica per miliziani.Non è estrema cortesia né il nuovo galateo bellico, in realtà lo impone l’Islam che dice di non usare la roba degli altri senza permesso. Ma calato nel Paese semidistrutto da un conflitto in cui è stato trascinato da una fazione sola, è anche il modo con cui il Partito di Dio si compra il consenso degli scontenti, dei dubbiosi e, ora, dei senza tetto.Per arrivare da Beirut a Nabatieh Fawqa, il villaggio di 20 mila persone sopra Nabatieh, ci vogliono tre ore. Il tempo del tragitto è triplicato da quando è cominciata la tregua e centinaia di migliaia di persone hanno intasato la via costiera con macchine inzeppate con due mesi di vita da sfollati: valige, materassi, sacchi, bandiere con la faccia di Nasrallah, branchi di figli tenuti in braccio sul sedile davanti perché dietro non c’è posto. Che poi a chiamarla tregua ci vuole fantasia: solo ieri, mentre il fiume di famiglie e veicoli scendeva a Tiro e ancora più a sud, oltre il fiume Litani, droni, jet e carri armati israeliani hanno colpito nove villaggi nei pressi della Linea Blu e pure a Bissarieh, vicino a Sidone, che è molto più a nord rispetto alla zona rossa in teoria ancora vietata. «Movimenti sospetti di Hezbollah, si stavano riarmando», è la sintetica giustificazione ufficiale dell’Idf che, al giorno tre, fa capire che trattasi di tregua armata, fragile quanto le finestre del salotto di Abu Jawad.«Nel palazzo abito io, i miei duefratelli e mia madre di 90 anni», racconta, impegnato nel velleitario tentativo di spazzare via dal pavimento tre dita di polvere e detriti. «Lei era la più difficile da tenere a bada quando eravamo sfollati a Sidone. Un incubo, impossibile far capire aquella donna che qui fino a tre giorni fa combattevano». E bombardavano. Nabatieh Fawqa, che si trova a 4 km in linea d’aria dalla cittadella israeliana di Metulla, è stata bersagliata da 60 missili: ora si presenta come un relitto urbano su cui penzolano liane elettriche che non sono pericolose solo perché non arriva più né luce, né gas, né acqua. Nonostante ciò, il capovillaggio sostiene che il 70 per cento degli abitanti sia tornato, infischiandosene dei divieti emesso dall’Idf e dall’esercito libanese. «Non chiederò il rimborso a Hezbollah per le mie cose perdute», specifica Abu Jawad. «Sarà Allah a ripagarci». Allah, o più probabilmente l’Iran.Hezbollah sta promettendo di ricostruire gli alloggi, di risarcire i danni, di pagare gli oggetti usati, lascia mazzette di dollari e numeri di telefono da contattare. Non ha bisogno di reperire i soldi perché li ha già. In arabo si chiama khoms, significa “un quinto”: è l’obolo di solidarietà che gli sciiti lavoratori versano almarjaa, ossia la guida spirituale (gli ayatollah Khamenei e al-Sistani sono i due più popolari), ed equivale a un quinto dei risparmi. Moltiplicato per gli sciiti praticanti nel mondo, sono miliardi di dollari che Khamenei ha detto userà per ridare ai libanesi le case distrutte da una guerra cominciata per appoggiare Hamas e ispirata da Teheran.Forse è questo che rassicura, almeno un po’, la famiglia di Ali el-Ezzi, seduta sui frantumi del proprio appartamento accanto alla moschea di Nabatieh Fawqa. «Siamo arrivati stamani». Ali, 55 anni, succhia da un narghilé posizionato sui calcinacci, sua moglie Dana gira lo sguardo per non far vedere le lacrime al forestiero. Da settembre vivevano a Tripoli in albergo. «Siamo tornati per restare, dormiremo in tenda qui davanti anche se la notte è gelida. Non è più il tempo di fuggire».Poco lontano, in una casa miracolosamente intonsa e di nuovo abitata, un foglio di quaderno è fissato allo sportello della credenza con le calamite souvenir di un viaggio in Beligio. «Abbiamo preso l’olio, i ceci, gli spaghetti, un pacco di biscotti e tolto un filo elettrico dalla radio. Nota bene: la porta di legno è rotta, è stato un raid molto potente. Contattate i nostri fratelli del villaggio per essere rimborsati». E per dimenticare chi ha sparato il primo missile.