Corriere della Sera, 29 novembre 2024
Gabriele Gravina si candida a un terzo mandato alla Figc
«M i ricandido». Due sole parole, semplici e dirette, dopo una lunga riflessione. Gabriele Gravina ha scelto il Corriere per annunciare che il 3 febbraio proverà a essere rieletto presidente della Federcalcio. «Non è stata una decisione facile, ma molto ponderata». Resta in campo per rispetto delle componenti che lo appoggiano concretamente, in attesa di capire le mosse della serie A e per non darla vinta a chi ha provato a metterlo all’angolo: «Certe forme di aggressione che ho ricevuto nelle ultime settimane, e che non hanno precedenti in un Paese civile come l’Italia, non mi hanno impedito di andare avanti. Si è fatto di tutto per indurmi a non candidarmi. Ma non mi conoscono. Ho la capacità e la serenità di andare a testa alta e la coscienza a posto. Non ho commesso nessun reato. Sono rispettoso delle leggi e sono pronto a sottomettermi al giudizio della giustizia italiana. Però è inaudito tutto quello che mi sta accadendo. La Procura di Perugia, il Gip e il Riesame di Roma certificano che sono stato vittima di attività di dossieraggio illecita portata avanti da personaggi che hanno malanimo verso di me. Nonostante questo, si è imbastito un processo mediatico che mi lascia molto perplesso».
Presidente Gravina tra fare un passo avanti e uno indietro ha scelto di farne uno in avanti. Perché?
«Sono stato tentato più volte di chiudere la mia esperienza in Figc e lo avevo confidato ai responsabili delle componenti che mi hanno sempre sostenuto. Però avevo un impegno morale con loro. Bisogna completare un percorso condiviso. Sono stato combattuto, non è stata una decisione facile, ma è stata responsabile».
C’è un’inchiesta penale aperta: non è il momento migliore per candidarsi.
«Ci ho pensato. Il pm per due volte ha fatto richiesta di sequestro dei beni e per due volte è stata rigettata. Sono uscito indenne sul piano giudiziario, eppure sono stato infangato».
L’inchiesta non è chiusa, c’è chi ha letto le carte e parla di rinvio a giudizio.
«Ho fiducia nella giustizia e sono certo che la colata di fango si esaurirà. Nello Statuto è previsto che non ci si possa candidare con una condanna per una pena superiore a un anno passata in giudicato. Per adesso non c’è neppure la conclusione dell’indagine. Sono una persona perbene che ha dato molto al calcio e vuole continuare a farlo».
D’accordo presidente, ma cosa succederà se il finale dell’inchiesta non le fosse favorevole?
«Stiamo parlando di una vicenda che, se dovesse andare avanti, porterà una sentenza tra qualche anno. Anche se spero di chiuderla prima. Il reato di auto riciclaggio è completamente infondato. Se non mi candidassi farei il gioco di chi mi vuole male. Le componenti che mi supportano sono a conoscenza dei tempi dell’inchiesta e dei rischi, e mi hanno detto di andare avanti. Non ho nulla da temere. E non posso accettare che qualcuno mandi in giro documenti falsi».
Cinque componenti sono dalla sua parte, manca però la Lega di serie A.
«Non sottovaluto l’importanza della serie A. Nel mese che manca alla scadenza del deposito della candidatura lavorerò con i presidenti rispettando le loro priorità. Non ne faccio una questione quantitativa, se la facessi dovrei dire che l’82 per cento vota Gravina e il 18 non si sa. Ma io voglio condividere il percorso con la Lega di A come con tutti gli altri».
In Lega si parlerà della sua candidatura. Secondo lei l’ala moderata riuscirà a prendere il sopravvento?
«Più di qualcuno, anche influente, ha espresso consenso sul sottoscritto. Però adesso è giusto che si concentrino sulla scelta della loro governance. La Lega di A ha acquisito, grazie al nostro intervento e non a una legge dello Stato, un’ampia autonomia. Secondo me parleranno della candidatura quando avranno risolto le questioni interne».
Per quanto riguarda la riforma dello Statuto su autonomia e rappresentanza non è stato troppo prudente? La serie A pretende giustamente di più.
«Ha portato a casa il miglior risultato possibile. Siamo andati oltre lo Statuto della Premier, che ha un diritto di veto: io l’ho tolto. Prima la Lega aveva un peso minore. Ora è leader tra quelle professionistiche. Se ne sono accorti tutti quei presidenti che hanno deciso di non impugnare la riforma».
Del Piero è uscito allo scoperto: crede a una sua candidatura?
«Non entro nel merito. Alex è stato un grande campione e ha dato tanto al calcio mondiale e alla maglia azzurra. Ho tentato di coinvolgerlo in Federcalcio, ma i suoi impegni lo hanno sempre portato in giro per il mondo. Però ci vuole qualcuno che ti candidi. E vale anche per lui».
Qual è il risultato di cui è più orgoglioso?
«Aver contribuito a dare stabilità al sistema devastato dalla pandemia attraverso la distribuzione di 162 milioni di euro alle componenti. Cio è stato possibile grazie a una buona gestione federale. E poi, aver difeso l’autonomia della Figc dalle ingerenze. Il cambiamento dobbiamo governarlo noi. Per quanto riguarda la parte tecnica l’Europeo 2021, la gioia più grande degli ultimi 18 anni, ma anche il lavoro sulle Nazionali giovanili che ha portato al premio Burlaz della Uefa: la Spagna lo aveva vinto 8 volte, noi mai. Siamo sulla strada giusta».
E cosa non rifarebbe?
«Potevamo fare meglio in Germania, anche io. Nella preparazione si è generata un po’ di confusione e non siamo stati in grado di dare il giusto supporto a Spalletti. Poi ho una macchia enorme: i Mondiali. Però i rigori non li tiro io…».
Lo choc dell’eliminazione dall’Europeo ha generato uno Spalletti nuovo?
«Dopo la disfatta ci siamo presi una settimana di tempo, poi ci siamo rivisti anche con Buffon e abbiamo fatto autocritica ognuno per le proprie competenze. Luciano, già la sera dell’eliminazione, era pronto a rimettere il mandato, è una persona molto seria, lavora 7 giorni su 7 e lo apprezziamo sempre di più. La sua permanenza sulla panchina azzurra non è mai stata in discussione».
Si parla spesso del rapporto politica e sport: la prima sta provando a invadere il campo?
«Siamo aperti ai miglioramenti, ma niente ingerenze. L’autonomia dello sport è un principio fondamentale, tra calcio e politica è necessario un rapporto di collaborazione. Non possiamo essere la cenerentola delle istituzioni, siamo una delle principali industrie. In questi ultimi 20 anni non abbiamo mai ricevuto né sostegno, né supporto. Per ogni euro che riceviamo ne restituiamo 19,7: un ottimo affare per il Paese. Il calcio mantiene tutto lo sport italiano. Da 6 anni aspettiamo l’1% sulle scommesse da investire sui vivai e stadi, ma servono anche la tax credit, le sponsorizzazioni da betting, il pieno adeguamento sulla disciplina dell’apprendistato e una normativa chiara che protegga i vivai stessi».
I suoi detrattori sostengono che non ha la forza di smuovere la politica.
«Non è questione di forza, ma di buon senso. Se le cose non si fanno perché c’è Gravina, allora qualcuno lo dica chiaramente».
Ultima domanda: qual è la qualità migliore per guidare la Federcalcio?
«La dedizione. Devi sviluppare uno spirito di servizio e diventare un punto di riferimento trasversale».