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 2024  novembre 28 Giovedì calendario

La sposa del re che prese il velo e divenne santa

Sole, indomite, avventurose: così recita il sottotitolo del libro Donne medioevali di Chiara Frugoni. E sul fatto che per realizzarsi esse abbiano dovuto far ricorso a una forza e una tenacia senza uguali, sfidando una società maschile «violenta e guerriera», non vi è dubbio. Quasi sempre, infatti, il loro era un destino già scritto: matrimonio o convento. Ciononostante, molto si dibatte sulla posizione delle donne nella “età di mezzo”, costellata di figure straordinarie e tutt’altro che dipendenti dall’altrui volere. Ci sono state sovrane quali Teodolinda, Galla Placidia, Matilde di Canossa, Adelaide di Susa, Eleonora d’Aquitania; scrittrici come Christine de Pizan e Anna Comnena; mistiche quali Ildegarda di Bingen e Guglielma di Milano; legislatrici al pari di Eleonora d’Arborea; sante come Chiara d’Assisi e Giovanna d’Arco (di tutte abbiamo scritto in queste pagine). Spesso sono state molte cose insieme, poliedriche più di quanto potremmo esserlo oggi. Tanto da far riflettere sui ruoli che le donne hanno avuto allora. È vero, naturalmente, che per esercitare un’autorevolezza effettiva bisognava essere nate al vertice, o divenire figure di riferimento nel campo religioso. O magari essere delle “outsider.” Ma semplificare è sbagliato. Il Medioevo non ha rappresentato “un intermezzo” fra due epoche, bensì un periodo lunghissimo e vario, pieno di fasi diverse. Tradizionalmente viene diviso in Alto (dal 476 d.C., anno della caduta dell’Impero Romano d’Occidente, sino al Mille) e Basso (che arriva al 1492, scoperta dell’America). Sono parametri per fissare dei limiti cronologici, sponde metaforiche. Ma il Medioevo non è stato – solo – l’epoca buia e isolata alla quale si è fatto riferimento per tanto tempo. Collegato alla fase precedente e alla successiva, è attraversato da sprazzi di luce e momenti di tenebre, da personaggi di luce e d’ombra.Fra le figure di luce, ve n’è una che è passata dal trono al convento, lasciando una traccia importante (a proposito di multitasking). E viene oggi festeggiata come santa il 13 agosto. Si tratta di Radegonda di Poitiers. Nata nel 518 d.C. a Erfurt (dove, nel 1808, avverrà l’incontro di Napoleone con lo Zar Alessandro I), era figlia del re di Turingia Bertario. I monarchi franchi Teodorico I e Clotario I riuscirono poco dopo a conquistare la Turingia. Erano figli di Clodoveo I, fondatore della dinastia merovingia e battezzato nel 496. Rimasta orfana, Radegonda fece – come scrisse il vescovo Gregorio di Tours – «parte del bottino che re Clotario si portò via». Molto bella, colpì Clotario, che decise di sposarla. Inoltre, egli intendeva legittimare le proprie conquiste. Mandò la ragazza in un monastero, perché le fosse impartita un’istruzione adatta. Una decisione indicativa: il sovrano era violento e crudele, ma voleva che la moglie avesse una preparazione di livello.Riluttante, Radegonda dovette quindi sposare Clotario I. Non fu un rapporto felice. La regina si spese per diffondere il cristianesimo fra i sudditi, diede assistenza ai poveri e agli ammalati, mantenne uno stile di vita ascetico. A un certo punto il marito fece assassinare l’unico parente rimastole, l’amato fratello. La misura era colma e lei decise di prendere il velo. Secondo la leggenda, Clotario sulle prime lo accettò, poi cambiò idea e la fece inseguire dai soldati. La donna fuggì, attraversando un campo d’avena le cui spighe crebbero all’improvviso, nascondendola agli inseguitori. Di certo Radegonda si recò dal vescovo di Noyon, Medardo, e gli disse che «mutato l’abito, la consacrasse al Signore». Lui rifiutò, temendo la reazione del re. Allora lei si velò da sola e gli disse che «Dio gli avrebbe chiesto conto del suo rifiuto, perché non proteggeva la sua pecorella». Medardo cedette e la ordinò diaconessa (una donna che si dedicava ai malati e ai poveri, oltre che a certi uffici liturgici).Dopodiché Radegonda fece molti viaggi, donando averi e gioielli ai monasteri e ai poveri. Poi si ritirò nella tenuta di Saix nel Poitiers, che le era stata donata dal marito, dove si occupò dei bisognosi e degli infermi, soprattutto lebbrosi. E spesso, guarendoli. Clotario fece costruire per lei il monastero di Notre-Dame, sempre a Poitiers. Radegonda si chiuse lì, costringendosi a digiuni e castighi. Continuò la sua opera, raccolse molte reliquie, fra cui un frammento della Croce. Il monastero divenne celebre ma Radegonda non volle esserne badessa, preferendo Agnese di Poitiers. E morì nel 587.Di lei scriverà, in una biografia splendidamente miniata di cui parla la Frugoni, il letterato Venanzio Fortunato (nato a Valdobbiadene), che andò a visitare il convento, restò lì e fece da consigliere a Radegonda. La dipingerà, forse in modo un po’ agiografico, come una «nuova Marta», in grado di unire «contemplatio e actio» e operare miracoli. Altra biografa di Radegonda sarà la monaca Baudovinia, che riuscirà a descrivere con più attenzione al lato umano quella regina capace di consacrarsi a Cristo e al tempo stesso «preoccuparsi per la pace e la salvezza della patria». Temi che appaiono attuali a distanza di secoli.