La Stampa, 28 novembre 2024
Cairo vuole vendere il Torino
«Io non voglio rimanere a tutti i costi, i ventenni finiscono...». Sembra un sfogo, sotto i colpi di una contestazione popolare che non conosce soste o confini, ed invece l’uscita di Urbano Cairo è tanto ragionata quanto programmata. Il Toro può cambiare presidente e il primo a confermarlo è proprio il patron granata, che ha scelto un evento della sua Rcs ("Sport Industry Talk” ieri al MAXXI di Roma) per lanciare quei segnali d’addio che tanti tifosi invocavano da tempo. «Io non voglio rimanere a vita al Torino – ha aggiunto Cairo -, ma credo sia giusto lasciarlo a qualcuno più ricco e più bravo di me. Quando sono arrivato non c’erano neanche i palloni: ora vorrei lasciarlo a qualcuno con quei 20-30 milioni che io non ho e per cui non voglio indebitarmi». In poco meno di un mese, dunque, il presidente è passato dalle nette smentite su qualsiasi ipotesi di trattative («È stupido chiedermi se vendo: ho sempre detto che il Toro non voglio cederlo», disse lo scorso 3 novembre dopo la sconfitta casalinga con la Fiorentina) ad una pubblica riflessione sulla fine della sua era granata.Al netto dell’oscuro (ed evitabile) riferimento al ventennio, il messaggio è chiaro e di fatto può far venire alla luce quella trattativa che da mesi coinvolgerebbe Red Bull e il Comune (in chiave stadio Grande Torino) per un avvicendamento societario. Cairo ha preso il Toro nel settembre 2005 in Serie B dai lodisti, che avevano fatto rinascere il club dopo il fallimento di Cimminelli, e proprio domenica eguaglierà (per numero di giorni) la presidenza dell’indimenticato Orfeo Pianelli. Impossibile confrontare le due epoche, non solo per i risultati ottenuti sul campo dai due, ma da lunedì Cairo sarà il patron più longevo di una società che il giorno dopo taglierà il traguardo dei 118 anni di vita.La storia scorre senza sosta, ma Cairo sembra aver superato il punto di non ritorno. La contestazione esplosa questa estate, dopo un mercato al ribasso e lo smantellamento della difesa (in primis l’addio di Buongiorno) con la cessione last minute di Bellanova che ha fatto infuriare persino il tecnico Vanoli, non si è mai placata nonostante l’ottima partenza in campionato. Anzi, per la prima volta ha compattato l’intera tifoseria e la brutta sconfitta nel derby, 24° ko sui 31 disputati in questi 19 anni, ha fatto il resto. Domenica scorsa, contro il Monza, è andata in scena una nuova protesta con lo sciopero del tifo. Anche questo può aver inciso sulla scelta del patron di fare un passo indietro: non solo mancando l’appuntamento allo stadio, ma anche aprendo all’ipotesi di una cessione del club. Una tecnica già utilizzata nel recente passato (nel triennio di B dal 2009 al 2012), valida per tenersi buona una tifoseria ancora alle prese con gli incubi del fallimento, ma che ora assume tutta un’altra prospettiva. Evidentemente Cairo ha capito che il rapporto non si può più ricucire con la gente del Toro (emblematico quello striscione “Cairo: basta!” appeso da un privato sul suo terrazzo di piazza San Carlo, nel cuore di Torino) e sta cercando una via d’uscita.In attesa di eventi, il Toro ora deve rialzarsi sul campo per evitare di finire invischiato nella lotta salvezza dopo aver fatto solo 4 punti nelle ultime 8 giornate. Dopo 13 stagioni consecutive in Serie A sarebbe un’onta per Cairo e anche un problema economico, visto quanto può essere devastante una retrocessione per i conti. A maggior ragione per una società che ha chiuso l’ultimo bilancio (quello al 31 dicembre 2023) con 9,56 milioni di euro di perdite e ha un patrimonio netto di appena 4,3 milioni, mentre i debiti totali sono 159,3 milioni (erano 143,4 milioni nel 2022). «Ci sono state stagioni migliori e peggiori, ma da 13 anni siamo stabilmente in Serie A. Spesso ci portano l’esempio dell’Atalanta – ha commentato Cairo -: è vero, loro hanno l’X Factor. E pensare che stavo per prendere Gasperini nel 2015 quando stava per andare via Ventura, ma il Genoa non lo lasciò venire». Fosse stata solo una questione di allenatore.