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 2024  novembre 28 Giovedì calendario

Gino Cecchettin si sente umiliato dagli avvocati di Turetta

«Mi sono sentito umiliato, è stato un ulteriore schiaffo», dice Gino Cecchettin, il papà di Giulia, dopo aver letto e visto le sintesi dell’arringa difensiva degli avvocati di Filippo Turetta. Offeso dalla citazione di Pablo Escobar – «Perché confrontare Filippo con un boss, che senso ha?» – offeso dalla descrizione del killer come «un ragazzino di 22 anni», offeso da quell’espressione «vediamo un po’ come va», usata per dimostrare l’assenza di premeditazione, o dalle «pugnalate alla cieca» evocate per cercare di smontare l’aggravante della crudeltà. Offeso perché «la memoria di Giulia è stata umiliata».Martedì 3 dicembre Gino sarà in aula per la sentenza: «La richiesta dell’ergastolo? Non è un reato parlarne, bisogna basarsi sui fatti commessi, mi fido della giustizia».Giovanni Caruso e Monica Cornaviera, legali dello studente di Torreglia, intanto ribattono: «Come difensori siamo assolutamente certi di non aver travalicato in alcun modo i limiti della continenza espressiva e di non aver mancato di rispetto a nessuno. Abbiamo solo svolto il nostro dovere in uno Stato di diritto».Gino Cecchettin, all’indomani dell’arringa si è sfogato sui social. Non è usuale da parte sua.
«Ho sentito le parole degli avvocati e sono stato male. Sono cosciente del fatto che il diritto alla difesa è una cosa sacra. Però io sono il papà… Il mio punto di vista, così come quello dei miei figli Elena e Davide, è diverso da tutti gli altri in questo mondo».
Cosa le ha fatto più male?
«Non lo so neanch’io… Non volevo nemmeno rilasciare dichiarazioni. Sono stato male».
Turetta è stato definito “un ragazzino di 22 anni”. Sua figlia Giulia, è stato detto, “non aveva paura di lui”.
«Ecco…».
Le ha dato fastidio il tentativo di cancellare aggravanti come la premeditazione e la crudeltà?
«Quella frase, “vediamo un po’ come va”. Oppure: “Ha colpito alla cieca…”. Sta nel ruolo dell’avvocato fare il possibile per smontare le aggravanti. Però ci sono metodi e metodi. Tante cose che l’avvocato ha detto non mi hanno ferito, ma alcune sì».
Perché?
«Perché ha pensato solo a Filippo e non a noi. Invece doveva pensare anche a noi. Le sue parole possono fare bene a Turetta ma ferirci. E noi abbiamo già sofferto tanto».
È infastidito dal riferimento a Pablo Escobar?
«Capisci che è un punto di vista totalmente sbagliato. Perché confrontare Filippo con un boss di un cartello della droga?».
Il 3 dicembre ci sarà la sentenza. Sarà presente?
«Ci sarò come cittadino. Al di là delle parole, che mi possono ferire o meno, a me interessa capire come va a finire. Quindi ci sarò. Penso sia doveroso nei confronti di chi ha lavorato a questo caso e per rispetto della Corte».
Il pm Andrea Petroni ha chiesto l’ergastolo. Qual è il suo giudizio?
«Come faccio a rispondere? Non ho studiato giurisprudenza. Anche quando mi parlano di aggravanti e attenuanti non so giudicare. Non è il mio lavoro. Magistrati e avvocatil’hanno chiesto, e io mi fido della giustizia: questo deve fare un cittadino».
Gli avvocati di Turetta, però, oltre a giudicare la pena massima “inumana e degradante” dicono che bisogna pensarci bene prima di infliggerla a un imputato di 22 anni.
«Ma certo che bisogna pensarci bene. Basandosi però sui fatti che una persona ha commesso. Non su altre cose. L’ergastolo è contemplato dalla legge, non è un reato parlarne. Comunque sono d’accordo: prima di dare l’ergastolobisogna pensarci, e chi fa questo di mestiere penso che ci abbia pensato bene. Hanno lavorato tutti egregiamente da questo punto di vista, parlo del pm e della sua squadra».
Lei ha detto che il suo impegno va avanti fuori dalle aule di giustizia. Presto incontrerà il ministro dell’Istruzione Giuseppe Valditara?
«Ci stiamo organizzando. Il senso è quello di fare un confronto, dati alla mano, per capire cosa si può fare. Abbiamo alcuni punti in comune che condividiamo. La violenza penso vada condannata da tutte le parti, e bisogna trovare un percorso comune per combatterla».
Anche con la Fondazione Giulia Cecchettin.
«Dobbiamo lavorare tanto per poter avanzare una proposta il prima possibile. Ce n’è tanto bisogno».