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 2024  novembre 28 Giovedì calendario

Il papà di Ramy: “No alle violenze ma su quella notte vogliamo la verità”

Scorre le foto del figlio sul cellulare e continua a ripetere il suo nome. «Ramy». C’è lui al lavoro in cantiere col caschetto in testa che sorridente gli fa una videochiamata, a cavallo davanti alle piramidi che con le braccia simula un aeroplano, loro due abbracciati davanti al Duomo.«Ramy rideva sempre», dice Yehia Elgaml, 61 anni, suo padre. In Italia da 17 anni, a Milano da quindici, sempre al Corvetto. Prima muratore, poi nelle pulizie. I suoi occhi sono lucidi, ancora increduli, cercano conferma dell’accaduto in quelli della sua avvocata, Barbara Indovina. «Tutto questo non è ancora arrivato al cervello», dice. «E nemmeno al cuore. Ramy era il mio sangue, un pezzo di me».
Yehia, come sta la sua famiglia?
«Mia moglie Farida piange sempre, la madre è così. Ramy era il figlio più piccolo. Io gli dicevo sempre: tu mi piaci molto, vivo con te da tanti anni, come con Farek, l’altro mio figlio che vive con noi. Gli altri due, più grandi, Mustafa e Farida – si chiama come mia moglie – sono rimasti in Egitto. Ramy è arrivato qui a 8 anni, è cresciuto qui. Si sentiva più italiano che egiziano, non parlava quasi nemmeno l’arabo. Si sentiva italiano, dentro».
Cosa ne pensa dei disordini di piazza degli ultimi giorni?
«Io non voglio questo. Siamo lontani da quello che è successo. Io ho mandato dei messaggi ai ragazzi. Ma non sono tutti amici di Ramy quelli che hanno fatto i casini. Sono anche marocchini, tunisini, non so da dove vengano. Ramy aveva un gruppo ristretto di amici. Ai ragazzi dico di stare a casa, di andare a scuola: basta con la violenza di strada e contro la polizia. Questo va contro la ricerca della verità per Ramy, non va bene così. Ho rispetto della legge italiana. Le ricerche proseguono a 360 gradi e questo ci dà più sicurezza».
Crede ci saranno ancora rivolte?
«Il Corvetto ora mi pare più tranquillo. Hanno fatto casino per chiedere giustizia. Non sono cattivi».
Ha parlato con il sindaco Sala?
«Mi ha chiamato, mi ha detto che aveva letto il mio appello di pace. Mi ha ringraziato. Mi ha invitato da lui. Io voglio solo sapere cos’è successo quella notte. Se Ramy ha fatto qualcosa di male, lo voglio sapere. Se non l’ha fatto, lo voglio sapere. Ho fiducia nella giustizia. Ma basta violenze. Ramy non lo avrebbe voluto. Io vivo lì, il Corvetto è il mio quartiere, è casa mia, l’Italia è il mio Paese. Io ho sempre voluto vivere qui. E quando avremo la verità, faremo una manifestazione di pace tra i ragazzi di tutti i quartieri. Un cammino per la pace, vogliamo far vedere agli italiani il lato positivo».
Che idea si è fatto di quella notte?
«Io non lo so. Lui per me era tutto il mondo. Era sempre vestito bene, profumato, ci teneva, gli piacevano i vestiti, spendeva quasi tutto lo stipendio lì».
Com’era Ramy in casa?
«Simpatico, sorrideva sempre, gli piaceva guardare le partite di calcio assieme, lui tifava la Juve. Voleva vedere sempre il calcio, giocava anche».
Chi vi ha avvisati?
«Alle 5 del mattino mi hanno suonato al citofono. Erano due amici di Ramy, mi hanno detto: “Per favore vieni con noi, Ramy ha fatto un incidente, è in ospedale”. Sono arrivato al Policlinico, ho trovato tante persone lì, piangevano. Ho chiesto: “Ramy è morto?”. Mi hanno detto sì».
Secondo lei perché sono scappati in motorino dai carabinieri?
«Io non lo so. So che erano in moto, volevano fare un video da pubblicare. Lui tornava dalla festa di compleanno della fidanzata, le ha mandato una storia dal motorino con scritto “ti amo”. Forse l’amico che guidava si è spaventato perché non aveva la patente, forse».
Ramy aveva studiato qui?
«Sì, elementari, medie, poi l’istituto tecnico Bertarelli-Ferraris. Fino alla terza. Poi ha lasciato perché voleva lavorare. Ed è andato a lavorare come operaio ed elettricista con Giovanni, il marito della sua maestra a scuola con la quale era molto legato».
Quando lo ha visto l’ultima volta?
«Sabato sera, prima di uscire. Mi ha detto: “Papà esco un po’ con la mia fidanzata e gli amici”. Mi ha detto che tornava alle due, massimo alle tre. Ma non è arrivato mai. Con lui ci vediamo in paradiso».