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 2024  novembre 28 Giovedì calendario

Beirut in festa nel primo giorno di tregua

Nel primo giorno di tregua, più ci si avvicina al cratere di Beirut e più si avverte l’eccitazione della folla. Ci si inoltra nei vicoli sconclusionati di Dahieh avanzando tra carcasse d’auto e rovine che una volta erano palazzi di quindici piani e oggi fanno da proscenio al carosello sciita. Che rumore fa un cessate il fuoco? Fa il rumore della guerra, perché sparano per aria col fucile come mai avevano fatto prima. E ha i suoni di un traffico esagerato ma per una volta allegro, i clacson delle macchine con le bandiere di Hezbollah al finestrino, le quattro frecce accese e i bambini sorridenti nel bagagliaio, le sirene della polizia, le panetterie che offrono ai passanti i baklawa, i dolcetti dei matrimoni, e mettono a tutto volume la canzone patriottica “La ragione non muore mai” che a un certo punto dice «torniamo sopra il cielo di Beirut». E sopra il cielo di Beirut non si sente più il ronzio del drone israeliano.Al centro del cratere, nell’agglomerato disfatto di Haret Hreik dove Hezbollah nascondeva il quartier generale che l’aviazione israeliana ha reso la tomba del suo leader Nasrallah, le persone si rivedono dopo settimane e dicono «grazie a dio sei salvo, auguri per questa vittoria». È diventato il saluto di rito, la formula per il day after, buona anche per i messaggi sul telefono. Quattrocentodiciotto giorni e quattromila morti dopo, sulle macerie di Dahieh cantano e scrivono vittoria. Ma se Hezbollah sostiene di aver vinto, e Netanyahu sostiene di aver vinto, esattamente chi è che ha perso?Una scena vista nel pomeriggio a Dahieh, quartiere Tayuni di fronte alla pineta, via Alame. Un uomo di nome Ismail, 50 anni, e una donna che si chiama Amina, sulla trentina. Ismail è tornato al suo appartamento al quinto piano di un edificio alto, ha riportato le tre figlie, la moglie edieci valigie che chissà come è riuscito a trasportare con un viaggio solo. A settembre erano sfollati nel villaggio druso di Alay. Ismail vota Hezbollah e spiega perché tutti hanno una gran voglia di fare il segno della vittoria con le dita. «La resistenza ha bloccato il piano di Netanyahu che voleva creare una zona cuscinetto a sud. Netanyahu aveva detto che avrebbe distrutto Hezbollah e non ce l’ha fatta, aveva promesso che avrebbe cambiato il Medio Oriente e invece in Libano tutto è uguale a prima». Non proprio tutto e non proprio uguale. Dirimpetto al suo palazzo, fuma un cumulo di macerie calde. La donna di nome Amina è in ginocchio, sta baciando i calcinacci. Li porta alla bocca e mormora: «Questi detriti non valgono lo stivale di un combattente…». Ecco un’altra cosa che fanno i libanesi, algiorno uno della tregua: chi ha casa ci torna, chi non ce l’ha più ne bacia i resti e aspetta la chiamata di Hezbollah.Il giro di telefonate è già cominciato. Amina l’ha ricevuta questa mattina. «Una voce sconosciuta ha detto: “Siamo di Hezbollah, stiamo facendo il censimento delle abitazioni distrutte dai sionisti”. Devo mandare la carta d’identità e i documenti catastali, faranno come nel 2006». Diciotto anni fa, al termine dei 34 giorni di offensiva israeliana, Hezbollah promise di ricostruire Dahieh e i villaggi del sud. E lo fece, coi soldi dell’Iran.Il primo giorno è festa e ingorgo che paralizza il Libano. Nella Bekaa la metà degli sfollati sono già rientrati, segnala il governatorato. In tutto erano 1,2 milioni, si calcola che un terzo si sia messo in macchina subito dopo le 4 di notte, l’ora stabilita per il silenzio delle armi preceduta però dall’attacco finale dei jet israeliani: cento bombe hanno colpito i valichi di passaggio con la Siria, una presunta fabbrica segreta di missili, diverse sedi dell’associazione finanziaria Al-Qard al-Hasan legata al Partito di Dio, una delle quali a Hamra, che negli anni Settanta era la Via Veneto di Beirut, strada di caffè, poeti e rivoluzioni.Sulla strada del sud che collega la capitale a Sidone si è formata una coda di 30 chilometri, vista al tramonto dalla collina è un rumoroso fiume dorato. C’è un modo per capire la provenienza di chi è al volante di quei veicoli: se sul tetto ha tre, quattro, a volte cinque materassi, vuol dire che arriva dai centri sfollati di Beirut o di Tripoli; se ha valigie che sbucano dal bagagliaio, era in albergo o ospite di amici al Nord.È tregua senza libertà assoluta di movimento: non si può attraversare il Litani, il fiume che da sempre scorre tra una guerra e una pace. Ordine di Netanyahu, le truppe israeliane sono ancora in posizione e hanno due mesi di tempo per ritirarsi. Questa è ancora la fase di prova dell’accordo, lo stress test dei nervi dei belligeranti, alla prima violazione il cannone torna a sparare. «L’Idf avverte i residenti di non andare oltre il Litani tra le 5 del pomeriggio e le 7 del mattino». Troppo pericoloso tornare ora in quei borghi al confine e poi tornare a fare cosa, se sono villaggi sciiti sono rasi al suolo, se sono cristiani, invece, sono intonsi. A Khyam, quattro km dalla frontiera, i soldati israeliani hanno sparato a due giornalisti, uno dell’AssociatedPressl’altro diSputnik, che sono finiti in ospedale. Il sindacato della stampa libanese definisce l’episodio la prima violazione dell’accordo. Il carosello però non si è fermato, la tregua regge.In Libano, tuttavia, i fatti assumono valori differenti a seconda della comunità religiosa che li esprime. E infatti ad Ashrafieh e negli altri quartieri dei cristiano-maroniti di Beirut non c’è aria di gran festa. Certo, sono contenti che ha smesso di piovere esplosivo, però non parlano di vittoria. «Come fa Hezbollah a dire di aver vinto quando gli hanno ucciso il capo, devono ritirarsi dal sud e hanno spaccato il fronte con Gaza», è il ragionamento che fa chi non ha mai sostenuto la resistenza armata. «Allora perché sono entrati in guerra per Gaza, se ora l’hanno mollata?». A Beirut soltanto nelle tregue i combattenti e gli osservatori capiscono che questa guerra è senza fine e non potrà esserci vittoria se non a parità di sconfitte. Lo scriveva Mahmud Darwish nel 1982. Siamo ancora lì.