Corriere della Sera, 28 novembre 2024
«La mia vita da capotreno, aggredito un giorno sì e uno no»
Un suo collega è stato accoltellato, a un altro hanno rotto il naso, a un altro ancora hanno fatto saltare due denti, una capotreno si è presa due schiaffoni, ma la casistica è infinita: frattura del polso, sputi, insulti, oggetti tirati addosso, spintoni... A lei cos’è capitato?
«Io lavoro sui regionali. Ho subito due aggressioni: una poche settimane fa e un’altra nel 2021».
Conseguenze gravi?
«In quella recente ho rimediato fratture a due dita, l’altra volta mi aggredirono a pugni in tre, parai un paio di colpi ma qualcuno lo presi. E finii in ospedale...».
L’uomo che parla vuole rimanere anonimo. Diciamo solo che ha 37 anni e da cinque fa il capotreno per Trenitalia. Condivide la vita con una compagna, niente figli, un passato da guida alpina e consulente di bilancio dopo aver provato prima Giurisprudenza («ma non era quello che volevo») e poi Economia e Commercio («ho cominciato a lavorare e mi sono fermato a un passo dalla laurea»).
Da dove arriva la scelta di fare il ferroviere?
«Sono figlio d’arte. Mia madre faceva quello che adesso equivale al secondo del capotreno sull’Intercity, mio nonno era capotreno pure lui e anche suo padre lavorava sui treni: faceva il frenatore».
Il ragazzo egiziano che ha accoltellato il suo collega è stato arrestato e si è scoperto che aveva già aggredito un uomo un anno fa. Lei che cosa pensa di questo crescendo di episodi sui treni?
«Guardi, io credo che sul treno viaggi lo specchio della società che si trova fuori dal treno. Io carico medici, imprenditori, barboni, drogati... La soluzione al problema è da cercare fuori e in alto. È un problema sociale, non di treno. Ovviamente molto dipende dal tipo di passeggeri che la linea serve».
A proposito di differenze, è vero come sostengono alcuni che gran parte dei problemi viene dagli immigrati?
«Un capotreno che fa il suo lavoro e vede nella carrozza certe situazioni le “battezza”, come diciamo noi. Per capirci: un gruppo di ragazzetti nordafricani fra i 16 e i 25 anni che fa casino lo battezzi. Poi magari non succede nulla ma certe situazioni di povertà e di emarginazione sociali le vedi subito ed è chiaro che chiedere un titolo di viaggio, lì, può voler dire aprire un conflitto. Questo vale anche per bande di ragazzini italiani alterati ma io – che sono il contrario del razzismo e delle idee rigide di certa destra – mentirei se negassi che il problema è più presente con alcuni gruppi di persone come gli extracomunitari».
Lei è stato sfortunato con due aggressioni in cinque anni o questa è la norma?
«Le dico solo che ho un collega che fra sputi, schiaffi, spintoni e barattolo di yogurt lanciato in testa è stato aggredito quattro volte quest’anno. Un altro amico capotreno un paio d’anni fa si prese un pugno in faccia. Ho parlato l’altra sera con quel ragazzo a cui hanno rotto il polso... Fra noi, alla fine, ci sentiamo, ci scambiamo informazioni via chat su quel che accade, sui rischi, sulle situazioni da tenere d’occhio».
Gli altri passeggeri intervengono in caso di tensione?
«Succede, ma raramente. Una volta un signore diede un ceffone a un ragazzo che aveva spintonato una signora per sedersi per primo: in quel caso succede che devo lavorare per evitare la rissa fra loro».
Le capita di avere paura?
«Diciamo che dopo la prima aggressione ho fatto fatica a riprendere servizio, è stata dura. Più che paura provo qualcosa che non so definire esattamente: fra lo scoramento e la triste consapevolezza che il mondo va così, al di là e al di fuori del treno. E comunque gli episodi che accadono o che vedi accadere poi te li porti appresso a lungo...».
In che senso?
«Il mio primo episodio l’ho chiuso un anno fa, con un risarcimento di meno di mille euro, tra l’altro. Pochi giorni fa sono stato a deporre in tribunale per un fatto avvenuto nel 2021, a marzo ci tornerò sempre come testimone. E al momento sto facendo la fisioterapia per le due dita fratturate a ottobre...».
Le aggressioni verbali?
«Credo che in generale un capotreno veda sputi, minacce e insulti almeno una volta al mese, su alcune linee anche una volta a settimana».
Esiste l’opzione lasciar correre per non rischiare?
«Io parlo per me: verifico i titoli di viaggio delle persone, sempre. Ma se devo fare controlli su biciclette e monopattini evito: sono convinto che ne troverei non in regola i tre quarti. Lo ritengo un problema marginale, nelle condizioni in cui lavoriamo. Ho preso anche dei richiami verbali da un mio istruttore per questo».
Rapporti con l’azienda?
«Sono iscritto al Fast-Confsal, non sono un aziendalista. Ma in tutta sincerità dico che quello che l’azienda può fare lo fa»