Corriere della Sera, 28 novembre 2024
Così è nato l’accordo tra Israele e Hezbollah
«Quanto le devo?». «Nulla. Lei è ospite». La settimana scorsa, Amos J. Hochstein è entrato in uno Starbucks di Beirut e ha bevuto un caffè. Ma al momento di pagare, alla cassa gli han sorriso: da lei, vogliamo solo la pace. La guerra non è finita, i libanesi lo sanno, e non fanno certo sperare le nuove armi da 680 milioni di dollari che l’amministrazione Usa ha stanziato last minute per Israele. Ma che Hochstein ce la facesse a raggiungere almeno una tregua, dopo mesi di navette diplomatiche, lo pensavano solo il suo barista di Beirut e il suo protettore politico, Joe Biden. A 51 anni invece, una lunga esperienza nel Deep State energetico americano, Hochstein ha dimostrato d’essere l’uomo che fa parlare libanesi e israeliani. C’era già riuscito due anni fa, chiudendo la lite del confine marittimo fra i due Paesi: una questione decennale che nascondeva il desiderio di sfruttare il più grande mammellone energetico del Mediterraneo, proprio al largo di queste coste.
Guerre & gas sono da sempre la ragione sociale delle mediazioni di Hochstein. Anche se questo è stato un negoziato più drammatico e faticoso degli altri. Per ragioni politiche e affettive. «Una guerra lungo il confine Libano-Israele non sarebbe contenibile», aveva detto l’inviato americano dopo il 7 ottobre, quando si stava aprendo il fronte ed erano ormai chiare le intenzioni degli Hezbollah. Per evitare la catastrofe, occorrevano pazienza, flessibilità e un impegno non comune di decine di missioni. Chi, se non lui, per fermare l’escalation?
«Mi sono innamorato del Libano», disse trent’anni fa il giovane Hochstein a un suo compagno di studi, dopo il primo viaggio nel Paese dei Cedri: «Sono molto attratto da quel popolo». Nato a Gerusalemme e figlio d’americani, «ebreo ortodosso moderno», tre anni di militare nell’Idf, quattro figli da una ricercatrice universitaria della Georgetown, una bellissima casa a Washington, Hochstein non ha mai avuto doppio passaporto e questo gli ha sempre permesso di muoversi liberamente in Libano, cosa vietata ai cittadini israeliani. «Io la considero un inviato della Casa Bianca – gli disse un giorno il ministro libanese Habib – e non guardo alla sua parte israeliana». Ci han sempre guardato, invece, a Gerusalemme: il premier Bibi Netanyahu una volta lodò il ruolo di Hochstein nella ricucitura dei rapporti con la Turchia di Erdogan e con la Giordania.
Momento di rottura
Alla notizia della Cpi il premier era furioso, sono serviti tre giorni di mediazioni
Lobbista, businessman, vicesegretario di Stato, consigliere presidenziale per le politiche energetiche, guardato con sospetto dai diplomatici di professione: l’esperienza di Hochstein nel gas & petrolio è risultata spesso fondamentale. Oltre a Biden, se ne sono avvalsi John Kerry, Hillary Clinton, Barack Obama. L’architetto della tregua libanese ha lavorato su mille dossier, dalla Corea del Nord all’India. Ha rivestito ruoli diversissimi: nelle campagne per i democratici, per un dittatore sanguinario come Nguema, padre padrone della Guinea Equatoriale, come stratega della potente Cassidy & Associates e per i texani di Tellurian. Per scoprire la vera storia degli odi fra Biden e Putin, bisogna trivellare anche nelle memorie «petrolifere» di Hochstein. Che in Ucraina s’è occupato di gas (ricordate gli affari del figlio del presidente Usa?) ed è finito pure nell’inchiesta sullo scandalo Trump-Zelensky, quando The Donald fu indagato per avere chiesto di spiare Biden Jr. Da consigliere della Naftogaz, il colosso di Kiev rivale della Gazprom russa, gestì il più grande arbitrato commerciale di sempre, 100 miliardi di dollari. Uomo-ombra di molte crisi, fu lui a far saltare il South Stream, il gasdotto Russia-Turchia-Italia che doveva aggirare l’Ucraina; a lui si rivolse Biden per chiudere il North Stream 2, la pipeline Russia-Germania; ancora lui, a ricucire col saudita Mohammed Bin Salman dopo l’uccisione del giornalista Khashoggi.
Energia diplomatica, diplomatico dell’energia. Attento ad ascoltare tutti, per la questione libanese Hochstein s’è incontrato coi nuovi consiglieri di Trump. E quanto a Netanyahu, ha giocato su uno scambio: l’ok alla tregua solo dopo un esplicito «no» di Parigi – che all’inizio aveva invece detto «sì» – al mandato di cattura della Corte penale internazionale. Non è stato facile: il premier israeliano era furioso con Macron, Hochstein ha dovuto mediare tre giorni, fino alla minaccia di lasciare il tavolo. Hochstein sperava in due tregue parallele, in Libano e a Gaza, ma s’è trovato davanti il muro della destra israeliana. «A volte è più facile muoversi con gli Hezbollah», avrebbe confidato. Vero: una mattina l’hanno fotografato in sneaker mentre faceva il turista tra le rovine di Baalbek. Indisturbato, lui ebreo e mezzo israeliano. In un’area sotto il controllo dei filoiraniani. Senza scorta, senza paure. Chi poteva trovare questa piccola pace, se non uno così?