Corriere della Sera, 28 novembre 2024
Gaza non vede la tregua
Il clan di Yasser Abu Shabab è sempre stato potente al di qua e al di là della frontiera. È rimasto potente in questi quattordici mesi di guerra, ha solo cambiato traffici. I beduini della tribù Tarabin si estendono in quello che gli storici egiziani chiamano lo «scatolone di sabbia» e Benjamin Netanyahu ha definito «il Far West sul nostro confine Sud». Perché prima che Hamas togliesse con le armi il dominio su Gaza all’Autorità palestinese, prima che il premier israeliano ordinasse l’offensiva in risposta ai massacri del 7 ottobre di un anno fa, Abu Shabab manovrava sigarette e armi, droga e medicine nei tunnel che passavano sotto il deserto, sotto le barriere del valico di Rafah con l’Egitto, percorreva le piste che attraversano la penisola del Sinai.
Adesso il suo gruppo si è dato agli assalti per strada: armato di Kalashnikov, il volto coperto dal passamontagna nero, attacca i convogli di aiuti umanitari. Una settimana fa i paramilitari di Hamas hanno cercato di eliminarlo, hanno ammazzato una ventina dei suoi, lui il giorno dopo ha voluto dimostrare chi controlla il passaggio bruciando un camion pieno di carburante e bloccando quelli con il cibo da distribuire alla popolazione affamata.
Le Nazioni Unite – rivela il quotidiano Financial Times — sostengono in un rapporto interno che queste bande operano soprattutto nelle aree sotto il controllo totale delle truppe israeliane, i soldati lascerebbero correre le auto lanciate all’inseguimento. Di 109 Tir entrati nella Striscia attorno al 20 di novembre 98 sono stati saccheggiati. La farina, l’olio, il riso riappaiono sul mercato nero a prezzi 100 volte più alti rispetto a prima del conflitto. Mentre l’inverno è arrivato presto e le mareggiate hanno spazzato le tende degli sfollati accampati nell’area di Al Mawasi, lungo il Mediterraneo.
Il presidente Joe Biden ripete che dopo la tregua raggiunta nello scontro tra Israele e l’Hezbollah libanese tutti gli sforzi dei diplomatici americani saranno indirizzati a spingere per il cessate il fuoco a Gaza, dove i terroristi palestinesi tengono ancora 97 ostaggi israeliani, oltre la metà sarebbe morta in cattività. I suoi tempi non coincidono con quelli di Netanyahu che sembra aspettare l’insediamento di Trump alla Casa Bianca il 20 di gennaio.
Anche se l’amico Donald resta imprevedibile pure per il primo ministro più longevo nella Storia del Paese, al potere 13 degli ultimi 15 anni. Nell’autobiografia Bibi – My Story racconta di come abbia convinto il leader al primo mandato a ritirare il sostegno di Washington per un futuro Stato palestinese. Gli ha parlato di golf, gli ha mostrato la mappa di Manhattan, ha semplificato la complessità del conflitto e del Medio Oriente alla sua dimensione.
Non è detto che il secondo Trump sia altrettanto malleabile. Sarebbe rimasto scioccato – racconta la testata digitale Axios — quando Isaac Herzog, il presidente israeliano, gli ha spiegato durante una telefonata che una quarantina tra i rapiti il 7 ottobre era ancora in vita. O non ha prestato attenzione ai riassunti dei suoi consiglieri o ne ha prestata troppa ai resoconti di Netanyahu. Che – accusano i famigliari dei sequestrati – allontana e rinvia la possibilità di una pausa nei combattimenti con Hamas in cambio del rilascio dei prigionieri.
Perderebbe gli alleati oltranzisti nella coalizione di estrema destra: pianificano di ricostruire le colonie a Gaza, già proclamano che il caos e i saccheggi dimostrano la necessità della presenza militare israeliana. Almeno per tutto l’anno prossimo ammette qualche generale, per sempre sperano gli ultrà messianici.