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 2024  novembre 28 Giovedì calendario

I due giorni da bigamo di Raffaele Fitto

Per due giorni Fitto sarà politicamente bigamo: ministro di «Giorgia» e vice di «Ursula». Con la premier italiana sarà oggi a Cagliari, con la presidente europea si vedrà a Bruxelles la settimana prossima.
Fino a venerdì sera, quando si dimetterà dal governo, il «Fitto di prima» assolverà al suo ruolo nell’esecutivo: stamattina accompagnerà Meloni in Sardegna per la firma del patto di coesione con la Regione, in attesa di tornare a Roma per preparare l’arrivo della sesta rata del Pnrr ed esaminare gli ultimi dettagli in vista della settima. Ma il «Fitto di dopo» è già formalmente in carica, dato che il Parlamento europeo ha votato la fiducia a von der Leyen. E ieri nessuno ha notato differenze nel suo atteggiamento: come fosse ancora a Montecitorio, infatti, ha seguito il dibattito accennando appena un sorriso quando i suoi avversari gli hanno dato del «fascista».
Sapeva che i suoi accusatori – alla fine dei loro interventi – sarebbero andati a complimentarsi con lui, sussurrandogli un «lo so che farai bene». E così è stato. Perché il «Fitto di dopo», come il «Fitto di prima», è vaccinato al gioco politico. Ed era consapevole che quell’epiteto gridato nell’Emiciclo di Strasburgo era in realtà un messaggio che gli eurodeputati mandavano ai loro elettori nazionali. Così i socialisti tedeschi, in vista del voto in Germania, si sono astenuti sulla nuova Commissione per rivitalizzare la base dell’Spd. E i popolari spagnoli sono stati polemici con von der Leyen per la scelta di Ribera, perché scommettono che a Madrid «Sanchez non reggerà, si dovrà dimettere e si andrà presto alle elezioni».
Tutto calcolato. Infatti, quando è stato annunciato il risultato delle votazioni, nell’Aula è stato notato lo sguardo d’intesa con la presidente della Commissione: pare avessero azzeccato entrambi i numeri alla vigilia della conta. E tanto basta per capire il rapporto tra i due, se è vero che – in attesa del nuovo bilancio pluriennale – «Ursula» ha affidato al «Fitto di dopo» il tesoretto del governo europeo che sta nel dipartimento della Coesione. Così come «Giorgia» aveva dato al «Fitto di prima» la gestione del tesoretto italiano, che sta nel Pnrr. E allora «grazie Meloni» e «grazie von der Leyen», ha scritto nella sua pagina Facebook il vice presidente esecutivo. Che ha citato il «prezioso sostegno» di Mattarella e premiato Gentiloni «per il lavoro svolto in questi anni».
È il metodo diccì, tornato di moda come le vecchie formule politiche italiane: le maggioranze a geometrie variabili, le astensioni tecniche, le assenze pilotate. Ecco perché, mentre si sbriciolavano i socialisti, si assottigliavano i liberali, si disimpegnavano i verdi, e si spaccavano persino i Conservatori, i numeri per la Commissione sono apparsi più che sufficienti. Cinque anni fa, infatti, von der Leyen superò la prova della fiducia per appena nove voti: quelli dei cinquestelle. Non ci fosse stato «Giuseppi» non ci sarebbe mai stata «Ursula».
Il «Fitto di dopo» non dovrà calarsi in un nuovo ruolo, perché è lo stesso del «Fitto di prima». Semmai alle novità (non solo lessicali) dovranno abituarsi gli europarlamentari di Fratelli d’Italia. Raccontano, per esempio, che Fidanza quasi ci rimanesse secco ieri. È stato quando il capo del Ppe Weber – alludendo al partito di Meloni – ha detto con tono trionfale: «Il centro si allarga. Con il loro voto abbiamo conquistato la parte europeista dell’Ecr». E mentre Strasburgo diventava una provincia d’Italia, il «Fitto di dopo» esortava le forze del Vecchio Continente a dare «una prova d’unità», di fronte «alle sfide cruciali da cui dipende il nostro futuro». E giurava sul «pieno rispetto dei Trattati a difesa dell’interesse comune europeo». Frasi che sembravano copiate da qualche discorso di De Gasperi.
Ma il «Fitto di prima» ha ancora qualcosa da fare prima di lasciare il governo. Sono le ultime istruzioni alla struttura tecnica con cui ha gestito la revisione e poi l’attuazione del Pnrr. Una sorta di «pilota automatico» che fra quarantotto ore lascerà in eredità a Meloni. Tra ipotesi di interim e divisione del dicastero, una cosa è certa: la premier non spacchetterà quel team.