Corriere della Sera, 28 novembre 2024
Le beghe interne al governo Meloni
Prima osservazione: il governo non andrà in crisi solo perché FI ha votato sulla Rai con le opposizioni, in disaccordo con FdI e Lega che volevano tagliare il canone della tv di Stato. Seconda: in Europa FdI e FI hanno fatto eleggere la Commissione di Ursula von der Leyen. La Lega, invece, si è espressa contro con tutta l’estrema destra del gruppo filo Putin e filo Trump dei Patrioti europei. Terza considerazione: la maggioranza reggerà, ma appare divisa appena due giorni dopo l’aperitivo della riconciliazione a casa della premier Giorgia Meloni.
La fotografia armoniosa che abbozzano gli esponenti della coalizione è dunque un tentativo di negare la realtà. Anche perché è stato proprio Palazzo Chigi, ieri mattina, a far sapere che «l’inciampo della maggioranza sul tema del taglio del canone Rai non giova a nessuno». La parola «inciampo» può essere letta in molti modi. In prevalenza è stata interpretata come una reprimenda rivolta al vicepremier Antonio Tajani, che in realtà aveva sempre detto «no» alla richiesta leghista in quanto fuori dal programma del governo.
Non a caso Tajani si è affrettato a precisare che «non c’è stato nessun inciampo. È un emendamento, non un affare di Stato», rivendicando la coerenza di FI. Ma la piccola crepa che si è aperta lascia intravedere tensioni latenti da tempo. E alimenta anche la tesi di chi descrive i rapporti tra Meloni e la famiglia Berlusconi come tutt’altro che idilliaci. Uno degli effetti collaterali della riduzione del canone sarebbe stato infatti quello di provocare un calo degli introiti pubblicitari anche per le reti Mediaset.
È possibile, tuttavia, che la decisione della premier di unirsi alla proposta leghista sia stata obbligata: una concessione a Matteo Salvini per non aprire un altro fronte con la Lega. Si tratta di una scommessa necessaria e insieme azzardata, tuttavia. La coalizione di destra sembra destinata a convivere con una conflittualità strutturale. Lo schieramento che ieri a Bruxelles ha eletto la Commissione Ue è lo specchio di contraddizioni che attraversano tutti i partiti; ma che spiccano nel campo governativo dell’Italia.
La compattezza del «no» a von der Leyen dei Patrioti europei è pesante. E permette al presidente del Pd, Stefano Bonaccini, di girare a Palazzo Chigi la domanda provocatoria su chi sia «anti italiano» per non avere votato Raffaele Fitto. Era l’accusa rivolta al Pd, che ha appoggiato la Commissione con un paio di defezioni. Il «no» di Salvini è vistoso anche perché von der Leyen ha ricevuto consensi da una parte dei conservatori: quelli di Meloni. Ma non c’è da sorprendersi: il nemico dei «Patrioti» sono il Ppe e l’altra destra: nella scelta tra Nato e Putin e tra Europe agli antipodi.