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 2024  novembre 27 Mercoledì calendario

I fratelli D’Innocenzo su Dostoevskij e altro

Fabio e Damiano D’innocenzo, come siete cambiati realizzando la vostra prima serie, Dostoevskij, un noir al termine della notte da oggi disponibile su Sky e Now? 
Abbiamo radicalizzato il modo di lavorare, forse in risposta a chi dava per scontata una nostra normalizzazione per rispettare alcune presunte regole da serie tv: fare coverage con inquadrature non indispensabili, illuminare molto per sopravvivere sugli schermi 4k e sugli smartphone, prendere attori/attrici che fossero già noti per gonfiare i numeri degli spettatori di passaggio. 
Fareste una seconda stagione?
Unicamente se Sky avesse un clamoroso interesse commerciale nel proseguire. Su questo rifiutiamo ogni sentimentalismo artistico: Sky ha già scommesso tanto su qualcosa di inusuale, realizzato con un linguaggio feroce e libertino, pensato come una miniserie autoconclusiva. E sì, ci sono tantissimi orizzonti che restano aperti all’epilogo, e sono ghiotti. Si può quasi dire che il vero Dostoevskij inizi proprio nel suo finale. Di sicuro non ci piacerebbe bissarne il tono: la seconda stagione ideale è un western urbano, un noir di Hong Kong e un buddy movie alla Schlesinger.
Perché Filippo Timi per protagonista?
Ha fatto i provini migliori. All’inizio, nell’ambiente del cinema dove parlano tutti quelli che non fanno nulla, circolavano voci strane come: «Filippo Timi non può fare una serie di mesi sul set. È una primadonna. È uno stronzo. Non ci vede. Balbetta». Non ci hanno spaventato, Filippo è l’attore più generoso con cui abbiamo lavorato.
Perché infliggere al suo Enzo Vitello il video della figlia – glielo manda lei stessa – che si fa prendere da due uomini neri?
Continua a sembrarci qualcosa di molto coerente nel rapporto di bisogno/rifiuto di Ambra verso Enzo. È insito nella politica emotiva della loro relazione: scavare la buca più profonda possibile.
Il Male esiste?
Ognuno di noi vuole essere felice. La metà di noi per essere felice fa male agli altri. L’altra metà per essere felice fa male a se stesso. Spesso queste due metà sopravvivono nella stessa persona.
Voi l’avete provato?
Quando da bambino vedi coetanei ridere di un compagno di classe che si è cagato nei pantaloni capisci che c’è qualcosa che non va. Nasciamo col sesto senso che mettere alla berlina gli sconfitti ci allontani dal nostro personale fallimento. È vero il contrario, ma spesso lo si scopre troppo tardi, quando si è già diventati “vincitori”. 
Gli addetti ai lavori, qualcuno almeno, vi apostrofavano “Fratelli Gucci”: oggi che il vostro stilista prediletto Alessandro Michele ha cambiato maison, siete i “Fratelli Valentino”?
Il male di cui si parlava: ferire per essere un po’ più vicini alla propria felicità portando tutti giù. Ma non ci caschiamo, abbiamo capito il trucco. Dopo La terra dell’abbastanza ci dicevano – alle spalle – “possono raccontare bene solo la periferia da cui provengono”. Dopo Favolacce: “Sì ma guardate come si vestono, Gucci, colori, chi si credono”. Guai a essere pure belli. Quando vestivamo con tute non ci chiamavano certo “Fratelli Legea”. Dopo America Latina in molti, con un segreto sospiro di sollievo: “Non hanno vinto nessun premio a Venezia. Daje forte”. Sono malignità di persone che di noi hanno conosciuto solo le spalle.
Con i soldi del cinema che vi siete presi? E che vi siete persi?
Ci siamo comprati una casa. Persa invece la paura di passare la notte al binario 1 di Termini per mancanza di alternative, di scavalcare il tornello della metro senza manco sentirci in colpa.
Petrolio?
Stiamo pensando a molti autori italiani e no. Petrolio è una possibilità. Ci piacciono molto anche Dissipatio H.G. di Morselli, i racconti di Tommaso Landolfi, Gog di Giovanni Papini. Volponi, D’arrigo, Bilenchi, Moresco. Tra gli stranieri Ageev, Gombrowicz, Gaddis, Vollmann, la Acker. Non neghiamo insomma che vorremmo il nostro prossimo film provenisse dall’abbrivio per un libro amato.
Una commedia? 
Ne abbiamo appena consegnate due come sceneggiatori.
La vostra più grande ispirazione? E maledizione?
Le cose che da bambini ci facevano sognare: l’impegno, la felicità di una cosa fatta bene. L’amore per un lavoro sudato. La maledizione è rendersi conto che esiste anche un lavoro senza quel tipo di impegno. E che spesso frutta pure di più.
Il Dostoevskij scrittore che vi piace di più? 
Trattenendo il fiato: quello de Le notti bianche.
La serie Dostoevskij dove vi piace di più?
Nei suoi otto lunghi piani sequenza che puntellano la storia.
Per Bazin sesso e morte non si possono filmare, per voi?
Sicuramente possono essere filmati e ancora più sicuramente possono essere cannati. Tra le due attività la morte ha il vantaggio di essere più repentina e, al contrario del sesso, non ha un prima e un dopo ugualmente interessanti. 
Nella evoluzione delle specie arbasiniana – belle promesse, soliti stronzi, venerati maestri – dove vi collocate?
Venerati stronzi.