il Fatto Quotidiano, 27 novembre 2024
Reportage dal Corvetto
Arrivando da via dei Cinquecento all’incrocio con via dei Panigarola l’asfalto diventa nero, sempre più nero. Sono i resti degli incendi di poche ore prima. Cocci di bottiglie, candelotti lacrimogeni della polizia, fuochi d’artificio. I cassonetti carbonizzati sono stati portati via, ma le tracce della guerriglia urbana restano evidenti. Lungo i muri dei rioni popolari del Corvetto le scritte sono ovunque. Solo un nome: Ramy Elgami, 19 anni origini egiziane. Che qui in via Mompiani abitava, che qui è cresciuto e che a dieci minuti da qui, all’angolo tra via Quaranta e via Ripamonti, domenica mattina è morto dopo che il T Max guidato da un altro ragazzo è caduto.
Ramy non ha avuto scampo, non aveva il casco, lo aveva perso durante un lungo inseguimento con i carabinieri. Dal centro di Porta Venezia fino a qua. “Sono stati loro (i carabinieri) a urtare la moto, loro lo hanno fatto volare, loro lo hanno ucciso”. Questo si ascolta al Corvetto tra gli amici di Ramy. Fin da subito, pochi minuti dopo lo schianto. La rabbia nei confronti dello “sbirro”, la rabbia di una periferia dimenticata dalla nuova epopea edilizia milanese, ha fatto il resto. E in due giorni le strade del quartiere sono state messe a ferro e fuoco. Ragazzi giovanissimi, seconde e terze generazioni, nati in Italia da genitori stranieri hanno devastato e attaccato la polizia.
Il Corvetto come le b anlieue parigine? Qualcuno ne è convinto. Refrain d’obbligo ogni qualvolta la periferia di Milano batte un colpo, urlando: ci siamo anche noi. Perché, in fondo, quello che sta avvenendo oggi al Corvetto, in passato, ma per motivi differenti, è andato in scena nella Seven zone di San Siro oltre piazza Selinunte. Intanto la Questura
Gli amici del 19enne “Non sono d’accordo con chi fa casino – dice Nadir – ma oggi vi vedo tutti qua e allora penso che abbiano fatto bene”
chiede rinforzi.
Al Corvetto piove. Il cielo grigio è più pesante del solito. Oltre via dei Cinquecento si anima il mercato che prende almeno tre strade. Davanti al bar con via Dei Panigarola, Nadir, 25 anni, seconda generazione di origine tunisina, giubbotto militare, capellino e cappuccio, beve un tè freddo e chiacchiera. Ha un po’ di barba, studia e lavora. Vive qui da anni. “Certo se ti trasferisci qua e vieni a vivere nelle popolari non ti troverai molto bene, però io che ci sono cresciuto e conosco, è una bella zona, ti dico la verità”. Nadir a domanda, risponde. Non attacca, spiega e le immagini della rivolta quasi sfumano: “Io, Ramy l’ho visto crescere, conosco molto bene suo fratello che è più grande, noi qua ci sentiamo una famiglia, viviamo nello stesso quartiere, se non fosse così non ci staremmo muovendo in questo modo”. Nadir è chiaro: “Vogliamo la verità, vogliamo che sia fatta luce, che la si smetta con le coperture”. Lui non ha dubbi, come il suo amico accanto, alto quanto una pertica, cappuccio e tuta d’ordinanza. Mi mostra una chat con un ragazzo che domenica mattina a suo dire avrebbe ripreso tutto, ma poi i carabinieri gli avrebbero fatto cancellare il video. “Fra – si legge – ho solo questo video, quello mi ha fatto cancellare tutto, fra uno era proprio morto, poi non so... ci fanno: vi prendiamo a manganellate, le solite stronzate e vi portiamo in questura. Fra comunque noi abbiamo visto gli ultimi trenta secondi di inseguimento”. Quelli decisivi secondo Nadir, quelli che non darebbero scampo alle colpe dei carabinieri.
Nadir si accende una sigaretta e ora anche i ragazzi prima silenziosi si mettono in cerchio ad ascoltare. “Io – prosegue Nadir – non mi rispecchio certo con quelli che hanno fatto casino, trovo che sia inutile. Però ti dico questo: svegliandomi oggi e vedendo voi giornalisti, trovo che a questo punto in questo Stato questo sia il modo giusto, senza dirti che ne prenderò parte, il mio pensiero sta cambiando, questo penso sia l’unico modo a questo punto, perché altrimenti non avremmo avuto modo di parlare”. L’amico di Nadir, che indossa un grosso anello dorato, aggiunge: “Sicuramente non è una cosa giusta non fermarsi all’alt dei carabinieri, ma che siano stati sbattuti poi, quando a seguito dell’inseguimento uno dei due ha perso il casco, lo trovo ancora più sbagliato, vedo che stai scappando e mi sbatti pure all’aria, lo trovo scorretto e il fatto che non si siano fermati è secondario. Ramy quella sera era con noi in un locale di Porta Venezia. È andato via perché doveva andare dalla ragazza in zona Garibaldi. La collanina che hanno trovato era della fidanzata, si era solo rotta”. E se Nadir racconta che qua “è una bella zona”, non pare affatto d’accordo una signora italiana, giaccone nero e cagnolino bianco al guinzaglio: “Qui non si vive più – inizia – qui dalle sette di sera conviene stare in casa. A quell’ora iniziano a spacciare. Sono tutti ragazzini. Che vanno in giro con i monopattini elettrici. Molti sono della zona, altri vengono da fuori”.
Poco più in là, il panificio della signora Carla: qui al Corvetto c’è addirittura dal 1939. Stesso punto di vista: “Ci sentiamo abbandonati, oggi sembra che esista solo il centro di Milano, ma ci sono anche le periferie”. Del resto a un primo sguardo del quartiere e dopo gli scontri della notte prima, non si intravede polizia né camionette. La zona si mostra solo nel suo estremo degrado. E però il punto è un altro. È la morte di Ramy. E la ricerca della verità per un fratello. Forse anche vendetta. Di certo anche un pretesto per riscattarsi, per far sentire che anche questi ragazzi esistono. “Giustizia per Ramy”: con questo titolo girano video su Tik Tok. Ma è su questo asfalto annerito di via dei Cinquecento che si comprende come questa vicenda, al di là della morte drammatica di un ragazzo di appena 19 anni, sia l’ennesima cartina di tornasole per comprendere dove sta andando Milano.
I ragazzi, Nadir in testa, confermano che non ci saranno altri disordini. E però, tra gli investigatori avanza una ipotesi inquietante: la saldatura tra le rivolte dei ragazzi per Ramy ed elementi dell’anarchismo milanese che proprio qui al Corvetto hanno storiche radici. Uno scenario di questo tipo, se al momento non ancora confermato, potrebbe far salire la tensione e non solo al Corvetto, ma anche in altre zone dove la lotta per la casa e le occupazioni sono sempre micce pronte a essere innescate.