La Stampa, 27 novembre 2024
Intervista a Ornella Muti
«Ma che me dai del lei?». Col suo sguardo fulminante dietro ai grandi occhiali tartarugati, e quel gesto naturale di tirarsi indietro i capelli visto in tanti film, Ornella Muti sfonda ogni distanza con l’interlocutore come fa sullo schermo con lo spettatore. Non si direbbe, ma fra tre mesi compirà 70 anni, e ieri ha ricevuto il Premio Stella della Mole al Torino film festival in occasione del cinquantenario di Romanzo popolare di Mario Monicelli, in cui nel 1974 recitò con Michele Placido e Ugo Tognazzi.
Che ricordo ne ha?
«Quel film è una pietra miliare per me. Affronta il tema dell’adulterio nella società operaia dell’epoca. Nella mia carriera ho oscillato tra lavori più o meno impegnati. È stato difficile sopportare il peso dell’estetica, nonostante io abbia girato tanti film per le donne. In quel caso mi chiamò Monicelli, ma ero incinta e mia madre gli scrisse per declinare l’offerta. Lui rispose che non lo avrebbe detto a nessuno e che mi avrebbe protetta. Andò così».
Come si trovò con lui?
«Non era uno facile, era secco, senza sbavature. Sapeva sempre chi doveva fare cosa e come, non perdeva tempo. Una grande scuola. Mi diceva “tu sei Disneyland". Placido non sapeva che ero incinta per cui ci furono alcune difficoltà pratiche nelle scene, ma niente di grave».
Cos’è per lei la bellezza?
«Un dono con dei lati negativi, per esempio si deve lavorare di più per farsi apprezzare. Però non mi sono mai sentita perfetta. Ho sempre avuto una grande insicurezza, poi ho capito che ognuno è quel che è e non serve nascondersi o uniformarsi. Anche come attrice più si è naturale, non vittima del personaggio, più si porta la propria verità allo spettatore».
Come trova il cinema di oggi?
«Ho avuto la fortuna di lavorare in un certo cinema. Monicelli, Scola, Risi... non ci sono più e oggi ci si accontenta di quel che c’è. Vedo ancora bravi professionisti, ma io ho un’età diversa e la mia partecipazione è minore. Il cinema mi ha già impegnato l’adolescenza, dandomi un lavoro, il bilancio è positivo. Non vivo di ricordi perché ho una grande famiglia che mi tiene ancorata al presente».
Va spesso al cinema?
«Poco, vorrei vedere Parthenope di Sorrentino perché mi incuriosisce come divida il pubblico, in compenso porto i nipoti a teatro».
Perché ha detto che non si sente femminista?
«Ho fatto e condivido molte battaglie per le donne, ma non mi piace definirmi così. Mi sembra strano categorizzare qualcosa che ci appartiene naturalmente, come il proteggerci e l’essere noi stesse. Ci è servito il MeToo dall’America per farci unire su qualcosa e incutere timore agli uomini. Ho sempre creduto nella forza delle donne, nel lottare per noi, ma non mi piace appartenere a un movimento».
Oltre ai film d’autore lei è celebre per quelli di Castellano e Pipolo con Adriano Celentano, che ricordo ha di lui?
«Non abbiamo avuto più contatti da allora. Del resto mi avrebbero tagliato mani e piedi. Conservo fantastici ricordi. Adriano era molto divertente. Non faceva ridere solo me, ma tutto il set. A volte non riuscivano a battere il ciak perché erano piegati in due».
Ci fu una storia nonostante foste entrambi impegnati?
«Lui così dice e io non smentisco».
Ora ha un compagno?
«No, sono single da molti anni. Non ho più trovato la persona giusta. Mi vorrei innamorare, ma non è successo».
Cos’ha capito degli uomini?
«Non vorrei dire cattiverie, a volte sono incavolata con loro. Col tempo mi rendo conto che non sono sempre onesti con le donne. Per fortuna non tutti mi hanno deluso. Con il padre dei miei figli per esempio conservo un bellissimo rapporto».
E dell’amore cos’ha capito?
«Niente, è sempre una nuova avventura».
Segue la politica?
«Me ne sono sempre tenuta lontano perché non ci credo tanto. Concordo con il film Il trasformista di Luca Barbareschi. La politica spesso non è onesta».
Non si sente né di destra né di sinistra?
«Non sono mai stata niente, ma sono convinta di essere più di sinistra perché mi batto per la gente e credo nell’uguaglianza. Però non mi piace essere definita di sinistra, come per il femminismo, sono una persona che crede nell’umanità».Va a votare?«No, spesso non voto. Non saprei chi votare. Il più pulito c’ha la rogna. E poi le campagne elettorali sono piene di promesse».
Ha scelto di vivere in campagna?
«Ho avuto un’azienda vinicola con un’amica enologa e poi sono rimasta nell’Alto Monferrato. Un posto bellissimo con tramonti meravigliosi. Curo i fiori, farò l’orto. Abito con mia figlia Naike, il suo compagno, due cani, due gatti e due maiali. Vado spesso a Roma per i miei altri due figli e quattro nipoti. Sono una nonna e la considero una forma d’arte. Nel tempo libero scrivo copioni e faccio teatro nei paesini».
Cosa le ha dato la vita da nonna dopo quella da diva?
«L’essere amata per quello che sono, il dono più grande dopo che tanta gente mi si è avvicinata per la mia immagine».