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 2024  novembre 27 Mercoledì calendario

I bipolari in Italia sarebbero un milione

«Francesca è fra quei pazienti che, quando non vengono trattati, li trovi sui cornicioni dei palazzi, se arrivi in tempo»: il professor Rosario Sorrentino, «neurologo prestato alla psichiatria» per sua definizione, serra gli occhi, tira un respiro. Francesca, nome di fantasia, lui l’ha salvata e, ora, l’ha raccontata in un romanzo che esce oggi per Compagnia Editoriale Aliberti. Il titolo è Due di me e il sottotitolo è «romanzo bipolare». Si stima che possano essere un milione gli italiani affetti da questo disturbo, spesso non diagnosticati ma sempre altalenanti tra euforia e depressione, tra maniacalità e istinti suicidi. Racconta Sorrentino: «Francesca riconosce in sé Francesca A e Francesca B, che si danno il cambio senza preavviso. La sua preferita è la prima, che trabocca di vita, sempre in movimento, che tutto sa e tutto fa, capace di non dormire per giorni, grazie a un’energia inesauribile. Ma che, se la contraddici, s’imbestialisce, ti si scaglia contro. La seconda è quella depressa che tenta di uccidersi».
Perché dopo due best seller, su panico e rabbia, ha scelto di scrivere di disturbo bipolare?
«Perché se ne parla a sproposito, si dice di qualcuno che “è bipolare” per insultarlo e si fa poco per abbattere lo stigma del disturbo mentale che qui è doppio, perché c’è quello sociale e quello che si autoinfligge il paziente, vergognandosi. Poi, perché il disturbo bipolare, se curato male, ha un impatto altissimo su chi ne soffre e sulle loro famiglie: nelle fasi di umore espanso, prevalgono comportamenti disinibiti, privazione di sonno, eccessi di alcol, droghe e spese. Infine, ne scrivo perché è diagnosticato troppo tardi: in media, a dieci anni dall’insorgenza».
Come arriva da lei Francesca?
«La sua è la storia di una paziente tipica, scritta con molta verità e molta fantasia. Il disturbo è già presente in famiglia, nel padre, e lei ha il terrore di ereditare i suoi sbalzi d’umore. Perciò, quando a vent’anni emergono i primi sintomi, rifiuta la diagnosi e rifiuta il litio e i farmaci prescritti. A un certo punto, tenta il suicidio, ma fallisce».
E qui si affida a lei?
«No. Va invece da una psicologa freudiana che le sembra il messia, perché le chiede se deve prendere i farmaci, e la freudiana: se lo scordi, dobbiamo ascoltare il suo dolore, prenda invece dei fiori di Bach. Francesca tornerà dal neurologo solo dopo cinque anni d’inferno».
Nel 2021, lei ha pubblicato con Vallecchi Intervista a Freud. L’avversione per i freudiani non si è placata?
«Nessuna avversione, ma per alcune diagnosi, i farmaci sono la terapia di prima scelta. Perché soffrire inutilmente? Poi, può essere utile affiancare una psicoterapia comportamentale cognitiva, ma limitarsi a colloqui psicanalitici può ritardare la diagnosi ed essere pericoloso perché nei bipolari il rischio di suicidio è quindici volte maggiore che nella popolazione generale».
Perché Francesca, come tanti, teme il litio?
«Per la paura di perdere la versione euforica di sé. Invece, il litio è il farmaco che più riduce le ideazioni autolesive e suicidarie: stabilizza lo squilibrio chimico che c’è nel cervello a carico di trasmettitori come noradrenalina, dopamina, serotonina... Ognuno ha il suo dosaggio e io con umiltà lo cerco aumentando una goccia ogni tre giorni».
Altre indicazioni di cura?
«È fondamentale non assumere alcol e droghe, dormire un numero di ore adeguato, evitare gli stress, fare sport. E alcol e droga sono i fattori che spesso slatentizzano la malattia, di solito intorno ai vent’anni. In più, serve gioco di squadra coi familiari, per cogliere i segnali di episodi depressivo o maniacali, come l’irritabilità».
Molti perdono il lavoro a causa delle loro crisi sconcertanti. Il disturbo bipolare andrebbe confessato sul luogo di lavoro?
«Se parlassimo liberamente dei disagi mentali, ridurremmo di tanto il peso che li accompagna. Il disturbo bipolare, se curato, non inficia l’efficienza. Chi ce l’ha è una persona normale, solo più fragile. Il mio sogno è che dal mio romanzo nasca un film, perché i bipolari sono fra noi, si nascondono, si sentono marchiati, ma se ne parliamo, li liberiamo».
Mel Gibson e Selena Gomez, che hanno rivelato di essere bipolari, sono l’esempio che si può convivere con questo disturbo?
«S’ipotizza che l’avessero anche Winston Churchill, che chiamava la sua fase depressiva il cane nero, e Ernest Hemingway che si suicidò. Non per questo è un disturbo dei creativi, ma è vero che, se ben curato, non ferma la creatività. Da medico, gongolo quando, goccia dopo goccia, lavorando giorno dopo giorno, porto un paziente a diventare ex paziente».