La Stampa, 26 novembre 2024
Al Tff molti film sulla maternità
Fra i motivi più importanti che hanno convinto Margaret Mazzantini ad accettare il ruolo di presidente della giuria l del Tff c’è la presenza, in cartellone, di diversi titoli centrati sul tema maternità, un pensiero guida che informa tanti racconti, firmati da autori di generazioni e provenienze diverse: «Ci è arrivata una quantità sorprendente di film sull’argomento – aveva annunciato il direttore Giulio Base – maternità violata, respinta, cercata, surrogata. L’ho preso come un segno positivo, la maternità è vita e, più della vita, non c’è niente». Nelle nostre società ammalate di calo demografico, si riflette, con sempre maggior attenzione, sulle mille ragioni che rendono difficile la nascita di un bambino. In My Best your least, la coreana Kim Hyun-jung racconta la storia speculare di un’insegnante e di una sua alunna, la prima combatte contro l’ostacolo dell’infertilità, la seconda resta incinta giovanissima. Lasciare la scuola, nella convinzione che il gesto serva a evitare influenze negative sulle compagne, è il primo consiglio, ovvero la prima punizione, che la maestra offre alla ragazza, ma, quando scoprirà di essere anche lei in attesa, la prospettiva cambia e, tra le due donne, si stabilisce un legame di complicità: «In Corea è così, le adolescenti madri vengono trattate in questo modo, perciò ho deciso di occuparmi della tematica. Si è tentato di rendere meno conservatore il nostro sistema scolastico, ma la gravidanza di una studentessa continua a essere considerato un marchio che provoca reazioni negative anche perché inficia il passaggio dalla scuola all’università».In altri casi, come accade in Holy Rosita del regista belga Wannes Destoop, la ricerca della felicità di una ragazza che vive sola, in un quartiere popolare, passa proprio attraverso la voglia di diventare madre, ma, quando il sogno finalmente si avvera, sarà lei stessa a decidere di tenere nascosta la notizia: «Durante i miei studi – spiega l’autore – ho avuto contatti con una donna molto simile a Rosita, animata dalle stesse domande esistenziali e dal desiderio di avere figli. Per anni, la sua storia ha continuato a ronzarmi in testa mentre mi chiedevo fino a che punto una società abbia il diritto di determinare il destino di una persona o stabilire quali criteri siano necessari per essere considerati “idonei alla gravidanza"». Nel danese Madame Ida, il regista Jacob Moller descrive la vicenda tragica, ambientata negli Anni 50, di un’orfana quindicenne rimasta incinta in seguito allo stupro subito dal direttore dell’orfanotrofio in cui è cresciuta. Il periodo della gravidanza trascorre nella vecchia villa isolata dove vive Ida, una donna matura che desidera adottare, tutto sembra filare liscio fino al parto, quando la ragazza sarà costretta a consegnare a Ida il bambino: «È una storia sul desiderio d’amore – chiarisce l’autore – su ciò che siamo disposti a fare pur di essere amati e sulle conseguenze che possono avere l’indifferenza e il vuoto di sentimenti. Mi interessava esplorare l’importanza dell’amore per la mente e per il benessere di una persona, mi sono ispirato alla storia dei miei genitori e della mia famiglia allargata, creando tre personaggi di tre diverse generazioni, ciascuno con un proprio punto di vista diverso su un argomento universale». In Tunisia, racconta Abdelhamid Bouchnak nel suo L’aiguille, la nascita di un bimbo intersessuale impone ai genitori la necessità di decidere quale sia il suo sesso di appartenenza nell’arco di tre giorni: «Il tema dei bambini “intersessuali"– fa sapere Bouchnak – è uno dei più delicati all’interno della società araba. Infatti, ancora adesso, non esiste una legislazione che metta al riparo questi bambini dalle possibili mutilazioni compiute volontariamente dai genitori, condizionati dalla pressione di una società che li considera una maledizione». Un atteggiamento che, secondo l’autore, nato a Tunisi nell’84, è lo specchio di «una società che non riesce ancora ad accettare la propria diversità». Convinzioni retrograde, ma anche senso di precarietà generale, come mostra Tendaberry della scrittrice, regista e artista visiva Haley Elizabeth Anderson, sono tra i tanti motivi per cui procreare sembra essere diventata, ai nostri tempi, una delle imprese più temerarie del mondo. Nel racconto, protagonista Kota Johan, c’è lo spaesamento di Dakota che affronta da sola un’esistenza da precaria a New York, c’è il fidanzato Yuri che deve tornare in Ucraina per assistere il padre malato e c’è una gravidanza inattesa che scuote equilibri già instabili facendo balenare l’ipotesi di un nuovo assetto, forse di un nuovo futuro.Non è un caso, insomma, che Vermiglio di Maura Delpero, cantico maternale tra montagne e guerra, in lizza per entrare nella lista dei candidati a i prossimi Oscar, stia riscuotendo, come fa sapere l’ad di Rai Cinema Paolo Del Brocco presentando il listino dei film in uscita nel 2025, attenzione e interesse in giro per il mondo: «Sono moderatamente ottimista – dichiara Del Brocco – il film è venduto ovunque, ha vinto il festival di Chicago, è candidato agli European Film Awards». Tra i titoli in uscita nei prossimi mesi c’è anche Dieci giorni di Elisa Amoruso, con Miriam Leone, Stefano Accorsi e Tecla Insolia, cronaca di due esistenze femminili, da una parte Nunzia, alle prese con una gravidanza indesiderata che le impedisce di godere della sua giovinezza, dall’altra Maddalena, 40 anni, all’ennesimo doloroso tentativo di rimanere incinta. Il nodo di tutto, insomma, è ancora lì, e il cinema cerca soluzioni.