la Repubblica, 26 novembre 2024
Il vertice coreano contro la plastica
Roma – La plastica è uno tsunami. Per erigere un muro davanti ai 460 milioni di tonnellate prodotte ogni anno, ieri sono partiti i negoziati patrocinati dall’Onu in Corea del Sud. I 178 Paesi invitati hanno tempo fino a domenica per porre un tetto alla mole di plastica fabbricata annualmente nel pianeta. Se non ci riusciranno, potranno almeno dettare regole più stringenti per il riciclo e il riutilizzo e contro i prodotti monouso. Se saranno costretti ad abbassare ulteriormente la mira, si spera almeno che limitino le 4.200 sostanze chimiche tossiche che a volte sono mescolate alla plastica come additivi per colorarla, rafforzarla, elasticizzarla.«In questa conferenza l’umanità si mobilita di fronte a una minaccia esistenziale» ha messo in guardia Luis Vayas Valdivieso, il diplomatico dell’Ecuador che presiede le sedute. «Il fallimento non è un’opzione» ha aggiunto la direttrice del programma ambientale dell’Onu Inger Andersen. Anche perché di fallimenti, i negoziati sulla plastica, ne hanno già vissuti quattro dall’inizio del 2024. Il quinto round – l’attuale – è considerato l’ultimo appello.Le posizioni dei vari Paesi sono ormai note. Ci sono i produttori di petrolio, la materia prima da cui si ricava il 90 per cento della plastica. Russia e Arabia Saudita non vogliono sentir parlare di un tetto alla produzione. Riad in particolare esporta il 17 per cento di tutto il polipropilene del mondo ed è arrivata a Busan (la città coreana sede dei negoziati) con posizioni ferme. I suoi margini di trattativa si limitano agli incentivi per riciclo e riutilizzo: pratiche che coinvolgono appena il 10 per cento della plastica prodotta.
Lo schieramento opposto è guidato da Norvegia e Ruanda, insieme al blocco dei Paesi africani ed europei, indirettamente quindi anche all’Italia. Sono stati battezzati «la coalizione degli ambiziosi» e chiedono un limite a quanta plastica può essere fabbricata ogni anno, oltre a regoleprecise sulla sorte che questo materiale subirà alla fine del ciclo di utilizzo (che spesso, come nel caso di una bottiglietta, dura pochi minuti). Agli ambiziosi si sono uniti i piccoli stati-arcipelago (particolarmente agguerrita è la Micronesia) con coste paradisiache sfregiate da spazzatura proveniente da chissà dove, parte di quei 20 milioni di tonnellate diplastica gettate ogni anno nell’ambiente e destinate a degradarsi nell’arco, a volte, di secoli.
Frammenti di microplastiche sono stati trovati ai poli, nella Fossa delle Marianne, sulle nuvole, nell’acqua che beviamo e in ogni organo del corpo, incluso (per quanto riguarda i frammenti inferiori al nanometro) il cervello. La Repubblica Democratica del Congo si è ritrovata negli scorsi giorni con molte città al buio perché un ammasso di plastica ha intasato la principale centrale idroelettrica del Paese. La cosiddetta «grande isola di spazzatura del Pacifico» – una poltiglia di 100 mila tonnellate di plastica sminuzzata tra Giappone e California – ha raggiunto 1,6 milioni di chilometri quadri, pari a tre volte la Francia.
Per arginare lo tsunami di plastica, secondo una ricerca pubblicata questo mese su Science, sono necessarie quattro misure: obbligare i produttori a usare almeno il 40 per cento di plastica riciclata, porre un tetto alla quantità di plastica fabbricabile, investire per raccolta e riciclaggio dei rifiuti e imporre una piccola tassa sugli imballaggi.Poco chiara, sullo scacchiere di Busan, è la posizione di due giocatori di peso come Cina e Stati Uniti. L’America, durante i negoziati precedenti, aveva abbandonato la linea contraria al tetto di produzione e a sorpresa si era unita al fronte degli ambiziosi. Non è chiaro però se tornerà sui propri passi dopo l’elezione del presidente Trump. Sarebbe una premessa per il fallimento dei negoziati coreani. «Dopo gli insuccessi di due vertici consecutivi, in Brasile sulla natura e a Baku sul clima – ha dichiarato il Wwf, quasi implorando – Busan resta l’ultimo baluardo contro l’inazione». Nella sessione di apertura il ministro dell’ambiente di Seul è stato chiaro: «Dobbiamo farla finita con i rifiuti di plastica prima che i rifiuti di plastica la facciano finita con noi».