Corriere della Sera, 26 novembre 2024
Intervista a Roberta Bruzzone
Quanto è narcisista?
«Sono una persona che sa di valere, consapevole delle mie qualità: l’ho dimostrato sul campo, senza scorciatoie, mezzucci, menzogne o triangolazioni. Sono una che tira fuori gli artigli nel momento in cui serve, ma non ho mai dovuto né barare né raccontare bugie per ottenere quello che ho. Certamente non temo di stare al centro dell’attenzione».
Cosa risponde a chi dice che la bellezza l’ha aiutata ad andare in tv?
«Se una persona ritiene che la bellezza mi abbia aiutato evidentemente non è in grado di capire quello che dico, quindi è un suo limite e come tale mi fa una certa tenerezza. Credo che quello che faccio io c’entri ben poco con la bellezza e con l’avere un determinato organo genitale che peraltro – le assicuro – non ho mai utilizzato per ottenere vantaggi».
Ha detto che è nata «arrabbiata».
«Si dice che uno nasce incendiario e poi muore pompiere, io mi sento ancora incendiaria: ritengo di essere un buon esempio di un modo diverso di essere donna, consapevole di sé, che non deve chiedere permesso a nessuno. Penso che questo sia un aspetto della mia vita personale e professionale che può essere utile a molte donne che temono di vivere fuori dal perimetro del controllo della loro vita da parte degli uomini. Affondiamo le radici dell’educazione in modelli di un patriarcato tossico che non vuole assolutamente saperne di tramontare. Penso di essere un esempio: si può vivere diversamente, sbattendosene altamente di quello che dice la gente».
A Roberta Bruzzone, criminologa e psicologa forense, non fa certo difetto l’autostima (eufemismo). Su RaiPlay conduce Nella mente di Narciso, la docuserie che propone un viaggio nella mente del «narcisista maligno» partendo da quattro efferati casi di cronaca nera (Benno Neumair, l’omicidio di Sarah Scazzi, il delitto di Temù, il caso Tramontano-Impagnatiello).
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Perché le ha dato fastidio l’imitazione di Virginia Raffaele?
«Mi diede fastidio in particolare un’imitazione da Maria De Filippi, mi dipinse con il sangue che grondava, ridicolizzava il mio lavoro di fronte a persone che hanno sofferto, offendendo la memoria delle vittime».