Corriere della Sera, 26 novembre 2024
Albertini contro Mussolini
Caro Aldo,
sto leggendo la biografia del mitico Luigi Albertini, firmata da Ottavio Barié. Mi piacerebbe ricordare ai lettori la schiena drittissima di un conservatore liberale con un’alta e rigorosa idea dello Stato.
Lino Pifferi
Caro Lino,
Luigi Albertini era un liberale conservatore che in tutti i Paesi civili sarebbe considerato un uomo di destra; ma non era fascista, anzi tentò in molti modi di contrastare Mussolini. Nei giorni della marcia su Roma, firma con Silvio Crespi un fonogramma per avvisare il presidente del Consiglio Facta che Mussolini vuole la guida del governo per sé, cosa che né Facta, né Salandra, né il re avevano capito. Il Duce prima impone al Corriere di non uscire, poi ci ripensa: sarebbe meglio che fosse in edicola, per non allarmare la borghesia milanese; l’ideale sarebbe però che non prendesse posizione contro la vittoria fascista. Così alle 9 meno un quarto di sera telefona ad Albertini, che risponde: «Non riprenderemo la pubblicazione se non ci sarà garantita la più ampia libertà di giudizio e di parola». E a Mussolini, che gli chiede quale sia, questo suo giudizio, il direttore del Corriere dice: «Penso che lei avrebbe dovuto essere arrestato». Mezz’ora dopo, invece, Mussolini riceve un telegramma dal Quirinale: è il generale Cittadini, che lo convoca a Roma per conto del re.
Alla fine il direttore del Corriere decide che domenica 29 ottobre il giornale non uscirà: rinunciare a prendere una posizione critica contro il colpo di Stato non è pensabile; ma se il Corriere prenderà una posizione critica, la redazione sarà devastata, la tipografia distrutta; non a caso, le truppe che dovevano proteggere via Solferino si sono dileguate; e a quel punto le pubblicazioni sarebbero interrotte per giorni. «Più dignitoso – conclude Albertini – è lasciar corso alla violenza, farne prendere nota alla cittadinanza e giustificare la nostra rassegnazione col desiderio di non fare spargere sangue per causa nostra, anche per la mancanza di un’efficace tutela da parte delle autorità». In effetti sul prefetto di Milano non c’è da contare. Un giornalista si affaccia sul balcone del Popolo d’Italia, e annuncia alla folla che Mussolini ha ricevuto dal re l’incarico di guidare il nuovo governo. Subito parte un corteo, diretto verso il Corriere della Sera. Albertini chiama il prefetto, il questore, il generale comandante della piazza di Milano, e da tutti ottiene la stessa risposta: facesse entrare i fascisti, per evitare guai peggiori. A tutti chiude il telefono in faccia. Rifiuterà la nomina di ambasciatore a Washington. Racconterà le responsabilità fasciste nell’assassinio di Giacomo Matteotti. Dovrà lasciare il Corriere che aveva reso uno dei grandi giornali d’Europa.