Corriere della Sera, 26 novembre 2024
Per Musk gli Usa sono la nuova Roma
Elon Musk è criticabile, criticabilissimo. Ma quando dice che l’America è la nuova Roma, non ha tutti i torti. Ogni impero della storia si è presentato come l’erede dell’Impero romano: l’Impero romano d’Oriente e il Sacro romano impero, lo zar e il Kaiser – parole che derivano da Cesare – Napoleone e l’Impero britannico (se è per questo, i rivoluzionari, dalla Francia della ghigliottina alla Berlino di Rosa Luxemburg, si sono presentati come i nuovi Spartaco).
Ma se c’è un impero che assomiglia davvero a Roma, è l’impero americano.
Qual è il simbolo degli Stati Uniti? Lo stesso delle legioni romane: l’aquila (ovviamente è stata scelta un’aquila americana). In quale lingua è il motto? Non in inglese, che è un po’ il nuovo latino, ma direttamente in latino: «e pluribus unum», da più Stati uno solo. Dalla Roma antica gli americani hanno preso il Senato e il Campidoglio: il Jefferson Memorial è un piccolo Pantheon, la Casa Bianca è un edificio neoclassico, la cupola di Capitol Hill è la copia di quella di San Pietro (i romani perseguitarono i cristiani; ma se l’Occidente è cristiano, è perché Roma diventò cristiana; e l’Occidente è una costruzione eretta sulle fondamenta dell’antica Roma).
L’inglese è per metà una lingua neolatina. Le persone comuni usano l’altra metà. Ma non solo le parole della scienza, della medicina, della tecnologia, dell’economia, della religione vengono dal latino; anche quelle della politica e del potere. Se Musk pronunciasse nella sua lingua le parole imperatore e popolo, dittatore e libertà, giustizia e legge, colonia e cittadino, veto e trattato, al di là della pronuncia un antico romano lo capirebbe. Presidente, soldato, socialismo, comunismo, nazionalismo sono parole che derivano dal latino. Ma soprattutto è latina la parola Repubblica, da res publica, la cosa pubblica: nasce a Roma l’idea che lo Stato sia di tutti; e, al di là di nobili esperimenti locali, la prima grande Repubblica dopo Roma sono gli Stati Uniti d’America. Non a caso i padri fondatori, da Jefferson a Franklyn, erano ossessionati dalla Repubblica romana. Poi i presidenti cominciarono a guardare all’impero romano, man mano che gli Stati Uniti costruivano il loro. Usando le stesse strategie. Trasformando i nemici sconfitti in vassalli, o in alleati (quasi) alla pari. Considerando fondamentale non tanto l’occupazione dei territori, quanto l’influenza militare, economica, culturale: il potere sulle anime. Traendo linfa dalle arti, dal teatro, dalla letteratura, dalla musica di un Paese che un tempo aveva dominato il mondo e che, pur non potendo più reggere il confronto militare, restava una fonte di ispirazione: per Roma, la Grecia; per l’America, la Gran Bretagna.
Roma ha ispirato Shakespeare: molto di quello che la gente sa di Cesare non viene dal De Bello Gallico, ma dal Julius Ceasar del Bardo. Roma ha ispirato Hollywood: Antonio è stato interpretato dai più grandi attori di sempre, Marlon Brando, Charlton Heston, Richard Burton, che sul set si innamorò della sua Cleopatra, Liz Taylor. Roma ha ispirato i fumetti, i videogames, le serie tv, l’architettura kitsch di Las Vegas e quella solenne di Washington: sulla sedia dello speaker del Senato, che si chiama Rostrum, in latino, sono scolpiti i fasci, proprio come sulla sedia su cui è assisa la statua di Lincoln; e non è colpa né di Lincoln né dei romani, per i quali i fasci erano un simbolo del potere, se il Duce – pure lui convinto di essere un nuovo imperatore – ne fece un uso improprio.
Ora i nuovi imperatori sono digitali. I padroni della Rete si sentono i padroni del mondo; e lo stanno diventando davvero. Priscilla Zuckerberg ha scritto che nel suo viaggio di nozze a Roma le pareva di essere in tre, «Mark, io e Augusto»: il padrone di Facebook e WhatsApp si faceva fotografare abbracciato a ogni statua di Augusto che trovava; e non si ha idea di quante statue di Augusto si trovino, visto che il fondatore dell’impero fu il primo uomo della storia di cui tutti conoscevano il volto, avendo fatto scolpire almeno 2.500 statue con la sua faccia, in modo che ce ne fosse una in ogni città dell’impero. E Musk, dopo essersi proclamato imperatore di Marte e aver sfidato proprio Zuckerberg a fare a botte nel Colosseo – come ora potranno fare sedici clienti di Airbnb estratti a sorte – continua a postare video evocativi di Roma con la musica del Gladiatore.
Il Gladiatore II è uscito ora nelle sale. Come ogni sequel, rischia di deludere chi ha amato il primo. È incentrato sul «sogno di Roma», di cui si dà una lettura romantica – pace e libertà – molto lontana dalla realtà storica. Un impero è sempre un fatto di egemonia, di sopraffazione, di guerra, di violenza e di sangue. Non va certo idealizzato. Eppure gli antichi romani dovevano affrontare le stesse questioni che dobbiamo affrontare oggi, dallo stato di guerra permanente alle migrazioni, che risolvevano con l’integrazione: si poteva diventare romani, indipendentemente dal colore della pelle, dal Paese di origine, dal dio che si pregava.
Il vero «sogno di Roma» era la pace universale. Il governo del mondo. Una comunità vasta come il mondo conosciuto, in pace non perché debole e divisa ma perché coesa e unita. Certo: sotto il controllo di Roma. Quando gli americani teorizzarono «il destino manifesto» di governare il mondo, avevano in mente il passo di Virgilio in cui Anchise spiega a Enea che ai suoi discendenti spetterà «governare i popoli con ferme leggi». C’è qualcosa di odioso in tutto questo. I popoli sono sempre meno propensi a essere governati dagli americani. Ma davvero avremmo preferito i nazisti o i comunisti sovietici? Non c’è anche qualcosa di grandioso nell’idea di un governo globale, nella prospettiva di affrontare tutti insieme le grandi questioni da cui dipende la sopravvivenza della specie umana, dal riscaldamento del pianeta alla proliferazione nucleare?
È questo che Elon Musk non sembra capire. «America first» serve a vincere le elezioni. Ma poi? Un impero non è solo volontà di dominio. È anche impegno e responsabilità. Sforzo di dialogo, comprensione, integrazione. Ricerca di patti e di alleanze, che prevedono sempre concessioni reciproche. Altrimenti anche gli imperi possono cadere.