CorrierEconomia, 25 novembre 2024
In Europa fra dieci anni «cinese un’auto su 5»
Stefano Aversa è presidente e ceo Italia di Alix Partners (ma anche presidente Emea e vicepresidente globale della società di consulenza). Con una lunga esperienza prima negli Usa, poi a Londra, Aversa è considerato uno dei maggiori esperti dell’industria globale dell’automotive. Non a caso Alix Partners ha fornito studi e supporto alla discussione che si è svolta al tavolo sull’auto del Mimit.
Quanto impatterà la crisi dell’auto sull’Europa?
«Il calo demografico e il fatto che in molte aree urbane l’auto privata sia sostituita da sistemi di mobilità condivisa, pubblica e privata, fanno sì che il mercato Ue dell’auto nei prossimi anni sarà statico o decrescente. Una quota, poi, se la prenderanno gli asiatici».
Quanta parte?
«Oggi le auto cinesi sono il 5% di quelle vendute in Europa. Arriveranno al 12% alla fine del decennio e al 20% nel 2035. In Europa si producono poco meno di 17 milioni di vetture l’anno: questo significa che presto 3,5 milioni saranno assemblate da produttori cinesi. Visto che uno stabilimento sforna 150-200 mila auto l’anno, in Europa verranno meno 15-20 stabilimenti».
Quanto influisce in tutto questo la transizione all’elettrico?
«I cinesi sarebbero arrivati anche senza l’elettrico. L’elettrificazione accelera il processo. Anche perché sull’elettrico i cinesi hanno economie di scala elevate. Byd produrrà quest’anno più di 3 milioni di auto elettriche o plug in. La prima casa non cinese è Tesla, al secondo posto, con 1,5 milioni di vetture, la metà di Byd. Sei dei primi dieci produttori di EV sono cinesi».
Che cosa possiamo fare?
«Gli unici che in questo momento investono in nuovi stabilimenti sono gli asiatici. L’Italia dovrebbe ambire ad avere almeno uno o due produttori asiatici. All’inizio utilizzerebbero poco i nostri componentisti, ma crescendo gradualmente».
Neutralità tecnologica: consideriamo le emissioni di una vettura dalla produzione fino allo smaltimento...
«A tendere, se consideriamo la mobilità di massa e l’aumento delle rinnovabili, l’elettrico sarà decisamente più vantaggioso».
E oggi?
«Se l’obiettivo è inquinare meno, l’elettrico dà le migliori performance in città. Mentre per le lunghe distanze, il diesel è ancora più efficiente del benzina e più pratico dell’elettrico. Ma è questione di tempo. Stiamo assistendo a un processo graduale di elettrificazione della mobilità che lascerà alcuni spazi per e-fuels e bio-carburanti, per esempio nel trasporto pesante».
Ci conviene rimandare lo stop al motore endotermico oltre il 2035?
«La direzione verso l’elettrico non è in discussione, ma all’Italia conviene che la transizione venga gestita con più flessibilità».
Che cosa pensa del taglio del fondo automotive di 4,6 miliardi?
«Servono fondi per la transizione, spero sia in buona parte ripristinato».
Per fare che cosa?
«Non una cosa sola ma tante insieme. Prima di tutto abbattere il costo dell’energia e di altri fattori con centrali d’acquisto, ma anche creando parchi solari dedicati per fornire energia a costi più bassi come hanno fatto gli spagnoli. Il problema è anche che abbiamo aziende troppo piccole e indebitate: dobbiamo favorirne il consolidamento e creare capifiliera. In Italia abbiamo ingegneri bravissimi con un costo competitivo: dobbiamo puntare su ricerca e nnovazione tecnologica, anche su software e AI. Questa è forse l’ultima occasione per mantenere un ruolo rilevante dell’Italia nell’auto».
Quali responsabilità ha Stellantis? Il gruppo produce i suoi modelli elettrici più in Francia che in Italia...
«Dipende dal fatto che Psa era più avanti sull’elettrico. Anche Stellantis sarebbe felice di vendere di più. Le sue decisioni sono basate sulla convenienza economica. La competitività è il piano su cui va riportato il confronto».