CorrierEconomia, 25 novembre 2024
La competizione tra supercomputer nel mondo
Per capire quanto e perché sia importante come Italia far parte del G8 dei supercomputer, un ristrettissimo club di poche superpotenze che stanno ridefinendo il concetto di competizione industriale e scientifica e di cui facciamo parte di diritto, anche se in scia, grazie all’accensione dell’HPC6 dell’Eni, quinta macchina al mondo con una capacità di picco di 606 milioni di miliardi di operazioni con virgola mobile al secondo, bisogna fare un salto all’indietro nel tempo, al 1943: siamo nel Tennessee, in una cittadella che non è nemmeno segnata nelle carte geografiche americane ma che a un certo punto inizia a consumare più energia di Manhattan stessa. Si tratta di Oak Ridge. Qui uno scienziato Premio Nobel che tutti conoscono solo dietro lo pseudonimo di the Farmer, il contadino, lavora in un centro al numero 1 della Bethel Valley Road per cercare di cambiare le sorti del mondo. Si tratta di Enrico Fermi che al tempo aveva in Oak Ridge, oltre che a Chicago, il centro per addomesticare la reazione a catena che si scatena con la rottura dell’atomo di uranio. E che insieme a von Neumann fu uno dei primi a capire la relazione tra informatica e progresso scientifico.
L’8 giugno del 2018 esattamente allo stesso indirizzo veniva acceso quello che allora era il più veloce supercomputer al mondo, Summit, con tecnologia Ibm e Gpu Nvidia. Qui oggi ha sede difatti l’Oak Ridge National Lab, uno dei centri di ricerca più avanzati al mondo sotto il controllo del Dipartimento americano dell’Energia.
Ecco dunque ancora l’energia, un settore dove l’intelligenza artificiale non basta da sola: serve potenza muscolare per macinare modelli, come nella meteorologia o l’aeronautica. In una parola serve potenza computazionale per addestrare gli algoritmi e sviluppare prototipi anche industriali facendo risparmiare centinaia di milioni di dollari e tempo. Per capire quanto la battaglia dei petaflops sia in divenire basta dare uno sguardo alla nuova classifica dei supercomputer: Summit nella classifica dello scorso giugno era al nono posto. Oggi è surclassato a Oak Ridge da Frontier che fino a poche settimane fa era il più potente supercomputer al mondo con 1,35 miliardi di miliardi di operazioni con virgola mobile al secondo (con il miliardo di miliardi siamo passati alla scala exaflops). Dicevamo fino a poche settimane fa perché ora il più veloce è El Capitan: 1,7 exaflops. Il nome può essere compreso solo dagli amanti delle scalate: El Capitan, nello Yosemite Park, è considerata la parte di granito più difficile da scalare al mondo. Summit d’altra parte non ha bisogno di spiegazioni. L’amore per la metafora dei picchi dell’alpinismo non è solo americana: il sesto HPC al mondo è quello giapponese. Nome: Fugaku, alter ego del Monte Fuji. Il settimo è la macchina svizzera Alps dello Swiss National Supercomputing Center. E al supercomputer El Capitan con tecnologia Cray sarà richiesto un obiettivo simile: questo mostro del calcolo dovrà elaborare in 3D la prima esplosione atomica completamente digitale, il che permetterà di cancellare i test nucleari veri. Ecco svelato il compito del supercalcolo: siamo di fronte alla nuova competizione globale in campo scientifico, industriale e militare. Ecco spiegato il proliferare di supercomputer in Cina.
Ed ecco anche la corsa italiana che ci sta dando delle soddisfazioni: già con il Leonardo costruito al Cineca di Bologna anche con finanziamenti europei eravamo entrati nella top ten. Ora con 241 petaflops il Leonardo è sceso al nono posto ma appunto con l’HPC6 siamo di nuovo in corsa (quello dell’Eni è il più potente supercomputer industriale, facendo parte di una società e non di un laboratorio scientifico).
Per inciso il tutto è al netto di progetti militari che la classifica non intercetta e di cui per evidenti motivi i soggetti interessati non vogliono parlare né tantomeno ricevere pubblicità.
Ma qui finisce la parte di entusiasmo.
Se fossimo alle Olimpiadi potremmo dire di avere due atleti nella finale dei 100 metri piani. Ma le Olimpiadi si giocano su tante gare ed è il medagliere complessivo che rispecchia la competitività di una nazione. Nel supercomputing vale la stessa regola. Ed eccolo allora il medagliere vero: gli Usa hanno 172 macchine e controllano il 34,4 per cento della capacità di calcolo totale. Segue la Cina che ha 62 supermacchine per una percentuale di sistema pari al 12,4 per cento. Sulla Cina vale la pena sottolineare che mentre gli Usa hanno una tradizione che, come visto, risale a Fermi e Von Neumann, Pechino nel 2000 non compariva in questa Olimpiade. Terzo posto: Germania con l’8,2 per cento, Giappone con il 6,8. Francia con il 4,8. E finalmente l’Italia con il 2,8 per cento (grazie ad altri Hpc come quello dell’Iit e di Leonardo). Siamo nel G8 con Uk e Corea del Sud, ma certo con numeri che non possono impensierire le superpotenze del calcolo. A meno di non reagire come continente europeo (va ricordato che lo stesso Leonardo fa parte di una rete paneuropea. Dunque l’idea c’è, ma va stretta e messa in pratica).
E poi certo c’è la tecnologia. Fatta dai campioni Usa come Hpe (vale la pena anche qui ricordare che nulla nasce dal caso: il vero primo garage che ha avviato la Silicon Valley è quello di Hewlett e Packard che si trova a Palo Alto al 367 di Addison Avenue dal 1930 e che merita una visita più di quello di Steve Jobs, ormai di privati che non amano i turisti e non hanno messo nemmeno una targa fuori). Al fianco di Hpe troviamo Lenovo, Cina.
Sarà questa la nuova Ricchezza delle Nazioni, la mano invisibile di Adam Smith capace di definire la gerarchia economica e la geopolitica. In altri termini vuole dire che mentre l’industria europea della meccanica di precisione dovrà ancora impegnarsi a usare i migliori tecnici al mondo per costruire fisicamente il prototipo di un motore aereo (o di qualunque altra cosa), i cinesi saranno in grado di costruire e testare un prototipo in un laboratorio di supercalcolo senza stringere un solo bullone. O potranno testare una nuova terapia genica dentro un computer invece che dentro un organismo biologico chiamato essere umano.