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 2024  novembre 25 Lunedì calendario

Camilleri sull’Accademia, la sua stanza, Genet

Ostia, 3 novembre 1949
Carissimi,
questa lettera vi servirà da «rendiconto» di tutto quanto ho fatto dalla mia venuta a Roma sino ad oggi. (...)
L’esame (all’Accademia di Arte drammatica ndr) è stato il seguente: appena entrato nel teatro, d’Amico mi ha chiesto di recitare qualcosa. Al che io ho risposto che mi mancavano gli altri attori per sostenermi nella parte e che non conoscevo nessuno al quale poter chiedere questo favore. Allora d’Amico ha chiamato due tra i più valenti attori giovani del teatro di prosa e che io conoscevo solo di fama: Gassmann e Santuccio. Con quest’ultimo, avendo avuto un’ora di tempo per prepararmi, ho imparato una parte dalla commedia La torre sul pollaio (che avevo dato quest’anno a Porto) e una parte dalla commedia Arsenico e vecchi merletti (che era solo la seconda volta che la leggevo) e così sono salito sul palcoscenico. Potete immaginare la mia emozione e il mio orgasmo.
Dopo aver recitato (davanti a 10 membri di commissione, tra attori, attrici e registi) è cominciato l’esame vero e proprio, sul perché avevo deciso di fare la regia della commedia di Pirandello in una determinata maniera e non in un’altra. Mi sono trovato d’accordo con Costa (il maestro di regia) sul II e sul III atto, ma non sul primo. Io ho difeso la mia idea fino in fondo, anche a costo di mandare tutto all’aria. E forse questa mia decisione mi ha giovato, anche perché ero stato preavvisato da Zennaro (l’aiuto regista di Costa) che quest’ultimo faceva spesso delle domande ambigue, a trappola. Dopo un’ora e un quarto, annegato in un bagno di sudore (e dire che qui a Roma fa freddo!) sono stato licenziato. (...)
Pensa che da due anni non prendevano nessun regista e che quest’anno, su 9 concorrenti sono stato ammesso io solo, (unico in tutta Italia). D’Amico ha detto a Maia che anche quest’anno la commissione non voleva prendere nessuno, ma che lui allora si è alzato e ha detto che secondo lui si sbagliava a non voler ammettere nessuno in quanto c’era un nome che spiccava sugli altri. «Qual è?» è stato chiesto dalla Commissione.
«Camilleri» ha risposto d’Amico. E all’osservazione che io difettavo di una completa cultura teatrale (cosa verissima del resto), ha detto che lui «vedeva» in me e che senz’altro ero una carta da giocarsi con buone probabilità e che comunque, per lasciare ad ogni membro della commissione libertà assoluta di giudizio, si sarebbe passato ad una regolare votazione. E così è stato fatto, senonché all’atto dello spoglio, si è visto che le parole di d’Amico, quale Presidente dell’Accademia e intenditore di teatro, hanno avuto un buon effetto perché la votazione è stata assolutamente favorevole a me e così sono stato l’unico ammesso (...).
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Roma, 11 gennaio 1950
Carissimi,
spero che avrete ricevuto le due parole che vi scrissi ier l’altro per dirvi ch’ero arrivato bene. Mi sono finalmente sistemato a Roma in una maniera come meglio forse non avrei potuto sperare.
Ho una grande stanza a mia disposizione con un letto soffice, comodo e ben munito di coperte ma posso in verità dire che ho tutta la casa a mia disposizione. La padrona di casa è gentilissima con me e mi usa molti riguardi, l’altra sera che volevo farmi la barba ha preteso a tutti i costi che lei mi riscaldasse l’acqua necessaria. Il posto è un poco in periferia, c’è un grande silenzio ed un senso di pace che mi aiuta molto nel mio lavoro. Disto esattamente 25 minuti di tram dall’Accademia, per cui mi alzo ogni mattina alle 7 con un vantaggio di 1 ora e mezzo di quando abitavo ad Ostia e in più c’è da considerare il vantaggio veramente notevole che io mi posso talvolta riposare nel pomeriggio. (...)
Per la biancheria la padrona ha parlato con la sua lavandaia, dato che non lava lei stessa neppure le sue cose perché è impiegata e non ha tempo. A mezzogiorno e la sera ceno in trattoria e al solito mangio bene. Ho ripreso la vita di prima, solo che il ritmo del lavoro ora lo sento di meno, dato che ho più tempo a mia disposizione.
In Accademia la solita vita, ieri ci hanno dato le tute che fanno schifo, la mia è la meno peggio di tutte ma figuratevi che se devo alzare il braccio destro sono costretto ad alzare anche la gamba! A qualcun altro tirava tanto di cavallo che a momenti rischiava di restare sospeso a mezz’aria. Abbiamo energicamente protestato e domani ho un appuntamento col sarto perché me la rifaccia, a sue spese, si intende. (...)
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Roma, 30 maggio 1952
Papà carissimo,
(...) È venuto a trovarmi a Roma da Parigi Jean Genet di cui vi ho già parlato. È quel celebre autore francese noto anche per le sue condanne per furti, minaccia a mano armata, scassi e assalto alla Banca di Lione. È rimasto soddisfatto della mia traduzione, sono stato a pranzo con lui e mi ha fatto conoscere Jean-Paul Sartre. Genet è un uomo straordinario che lascia un’impressione profonda in chi lo conosce per il suo spaventoso cinismo. Mi ha dato tutti i diritti per il lavoro che ho tradotto, mi ha detto che ne posso fare tutto quello che voglio e che devo trattenere tutti i quattrini, come se l’autore fossi io, senza dare nulla a lui. «Lei è giovane» mi ha detto «e ha bisogno di quattrini. Io sono ricco e non ne ho bisogno». «E che posso fare per ringraziarla?» ho chiesto. E lui: «Fra qualche anno mi manderà dei pacchi». «Dove?» chiedo io. E lui: «Al carcere, naturalmente». (...)