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 2024  novembre 25 Lunedì calendario

Antonio Monda ha aneddoti su chiunque

Antonio Monda appare sullo schermo della video-chiamata mentre alle sue spalle una finestra restituisce lo splendore autunnale di New York. Nato a Velletri 62 anni fa, oggi insegna alla New York University, organizza eventi letterari e cinematografici e la sua casa vicina al parco è «uno degli ultimi salotti culturali», parola del New York Times. Ma quando si trasferì in America, esattamente trent’anni fa, le cose erano diverse. «Ero sposato e con due figlie – dice – però non avevo una lira».
E che cosa fece?

«Il super, che a New York è una figura a metà tra il portiere e il factotum. Riparavo caldaie con esiti disastrosi. Per fortuna cominciai a insegnare e a scrivere i miei libri».
E iniziò a organizzare i famosi pranzi in casa Monda, dove si possono incrociare Meryl Streep e Robert De Niro. Raccontati adesso nel libro Incontri ravvicinati.
«Philip Roth e Al Pacino si sono conosciuti a casa mia. Qualche tempo dopo Al interpretò il protagonista del film The Humbling, tratto dal romanzo di Philip».
Com’era Roth?
«Bellissimo, spiritoso, orgogliosamente solo. Era consapevole che “la vecchiaia è un massacro” e allora l’ironia era la sua unica arma. “Sono pazzo di Meryl Streep”, mi confessò una volta. Molti lo hanno definito misogino, ma non sanno quanto ha fatto per le donne della sua vita, specie l’ultima compagna».
Al Pacino sembra molto diverso.
«Esplosivo, allegro, compagnone. Il contrario di Robert De Niro, che è timido, risponde a monosillabi, parla pochissimo e ha letto molti più libri di quanto uno si immaginerebbe».
Famoso è invece il carattere difficile di Barbra Streisand.
«Ah, quando andai a trovarla per farle una intervista lei mi cacciò dall’ufficio».
Racconti!
«Premessa: ero giovanissimo, agli inizi. Tutto cominciò perché io volli interessarmi della cultura ebraica americana e così feci una serie di interviste a personaggi famosi. Mi vantavo, per esempio, di aver incontrato il grande Isaac Bashevis Singer».
Una buona lettera di presentazione.
«Peccato che quando lo dissi a Barbra, nel suo studio calò il gelo. Prima che potessi chiedere spiegazioni, mi invitò a uscire. Solo dopo capii: in occasione dell’uscita del suo film Yentl, tratto da un libro di Singer, questi aveva scritto sul New York Times un articolo intitolato: “Perché è un film orribile”».
E poi ha più incontrato Streisand?
«Sì, un’altra volta. Scherzando, le strinsi la mano e le dissi: “Io amo molto Singer”. Lei mi rispose: “Grande scrittore”».
Ah, questi artisti.
«È probabile che se ne fosse dimenticata. Una che non dimentica è, invece, Cate Blanchett».
Anche lei la cacciò?
«No, al contrario. Donna intelligentissima, oltre che bella e talentuosa, accettò di venire alla Festa del Cinema di Roma, nel 2017. Ma la produzione mi chiese se in quella occasione potevamo consegnarle la Coppa Volpi che lei non aveva potuto ritirare dieci anni prima per I’m Not There: era incinta ed era dovuta scappare poco prima della premiazione. Pensateci: consegnare a Roma un premio della Mostra del Cinema di Venezia. Ma lo facemmo per celebrare Cate, che si commosse. Da allora, ogni tanto, quando vince un premio mi manda un video messaggio dove mi dice “Vedi? Stavolta l’ho ritirato”».
Questi divi, ogni tanto, la sorprendono?
«Sempre. Per esempio alla Festa del Cinema, tra attori e produttori da tutto il mondo, Cate mi chiese se potevo presentarle Renzo Piano, perché conosceva i suoi lavori. Francis Ford Coppola è legatissimo all’Italia e a Bernalda, il paesino della Basilicata da dove viene la sua famiglia. Sua madre è una zia di Riccardo Muti. Il più grande dolore della sua vita è stato la perdita del primo figlio Gian Carlo in un incidente nautico. Francis è un artista che nel giro di sei anni ha realizzato quattro capolavori consecutivi come Il PadrinoLa conversazioneIl Padrino – Parte II e Apocalypse Now; che ha avuto 14 candidature agli Oscar vincendone cinque. Eppure sa una volta che cosa mi ha confessato? Mi ha detto: “Nulla mi diverte maggiormente di chiudermi in cantina e inventare oggetti”».


E Martin Scorsese, l’altro grande maestro del cinema moderno americano, com’è?
«Per un periodo pensò seriamente di prendere i voti, poi per fortuna scelse il cinema. Una volta ho avuto il privilegio di essere testimone di un incontro tra lui e papa Francesco nel quale hanno parlato a lungo di Memorie del sottosuolo, di Fëdor Dostoevskij, lo scrittore che maggiormente lo ispira. E non ha avuto paura di difendere Woody Allen di fronte al tentativo di cancel culture nei confronti dei suoi film».
A proposito: Woody Allen, forse il regista che meglio di tutti incarna New York, com’è?
«Premetto che alcuni incontri, come lui, Stephen King, Roman Polanski o Muhammad Ali sono semplici conoscenze, mentre altri come De Niro, Roth o Streep, sono amici. Ma Woody Allen per me resta un genio, uno al quale è stato riservato un trattamento vergognoso, anche se lui è uscito indenne dalle accuse che gli sono state mosse, quelle di aver molestato la figlia adottiva Dylan Farrow. Woody è di una timidezza quasi patologica, ma se e quando riesci a superare le sue difese ti premia con battute formidabili tipo “Non conosco la domanda, ma il sesso è certamente la risposta”».
L’incontro che le invidiano tutti?
«I miei studenti spalancano gli occhi quando dico loro che una volta mi sono ritrovato, quasi per caso, a recitare in un film di Wes Anderson».
E non quello con Ingrid Bergman?
«Per carità, l’ho conosciuta appena e peraltro in circostanze bizzarre: ero diventato il suo commesso personale».
Come?
«Torniamo agli anni senza una lira. Dopo un’esperienza di imbianchino durata soltanto un giorno, trovai lavoro in un negozio di scarpe sulla Madison Avenue chiamato Flaminia Shoes. Un giorno si presenta Ingrid Bergman. Cominciammo a parlare dell’Italia e conquistai la sua stima. Da quel giorno, la servii sempre io. Parlavamo di cinema, io ne sapevo poco all’epoca. Un giorno mi confessò: “Sono stata molto felice, in Italia”. Poi uscì e non la vidi più».
Però anche l’amicizia con John Travolta...
«Con lui tutto bene finché si parla di cinema, quando gli fai domande sulla sua adesione a Scientology cambia discorso. Lo capisco, ha conosciuto i picchi del successo e poi una serie di film sbagliati, fino a quando Tarantino gli ha regalato una perfetta rinascita con Pulp Fiction».
Lei conosce anche Uma Thurman.
«Sembra incredibile, ma una volta mi ha detto: “Non credo neanche a una parola quando mi dicono che sono bella, ancora adesso”».
Lei conosce tutti!
«A casa mia si mangia bene».
Non basta.
«Già. Il segreto è fare in modo che questi pranzi rimangano profondamente italiani, cioè fatti per condividere il piacere della tavola, dello stare insieme, senza parlare di affari. È per questo che da me in tanti ci tornano».