Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2024  novembre 25 Lunedì calendario

Biografia di Paola Iezzi

Maledetti tacchi.
«Primo live di X Factor. In camerino stavo infilando il bustino e di colpo mi è arrivata una scimitarra in mezzo alla schiena. Non respiravo, ero bloccata. Un attimo di dramma, poi ho mandato giù due pasticche di ibuprofene e via. Saranno state le scarpe alte che avevo indossato tutto il giorno, lo stress per la diretta… ormai ho anche una certa…». Non manca l’ironia a Paola Iezzi che ha riagguantato il successo: un anno fa il ritorno con Furore assieme alla sorella Chiara dopo una pausa lunga dieci anni (la loro «storia incredibile» la raccontano nel libro Sisters). Adesso siede al tavolo dei giudici di X Factor con Manuel Agnelli, Jake La Furia e Achille Lauro.
Tostissima, molto preparata e decisamente sensuale si è rivelata con Giorgia, presentatrice, un talento televisivo.
«Ci conosciamo da tempo. Abbiamo un legame speciale anche se ci incrociamo raramente: lei è di Roma, io di Milano. Ci siamo benvolute da lontano. Giorgia è molto simile a me: divertente, le piace scherzare. E poi il suo compagno è stato uno dei miei ballerini per anni, prima ancora che si mettessero insieme».
«Sei bellissima», «Sei bravissima», «Come brilli»: Jake La Furia ormai vi prende in giro, vi propone di girare «Voglia di signora».
«Me lo dice sempre in privato ma non pensavo se ne uscisse davanti a tutti. Vabbé, prima o poi lo faremo sto film, chissà». Ride.
Alla prima puntata si è presentata con un frustino, poi le manette, il guinzaglio, si è vestita da diavolessa sfoggiando un paio di corna rosse… cosa si inventerà ancora?
«Sarà sempre più difficile, ma le idee non mancano. È un gioco divertente se fatto con ironia e compagni di tavolo che hanno il senso dell’umorismo».
È diventata una sexy icona di stile.
«Sono cresciuta negli anni 80, con le immagini di Jean-Paul Goude e Grace Jones. E amo la fotografia, i grandi autori dei 90 e Duemila. Non a caso sono fidanzata da anni con un fotografo di moda. Il mio preferito è Helmut Newton con la sua propensione agli scatti lussuriosi, fetish, al mondo un po’ bondage cavalcato da Madonna che ha fatto scuola. Tendo sempre a riproporre le atmosfere un pochino spinte su make up ed edonismo erotico».
È la sua rinascita?
«Oggi benedico le crisi, anche se l’ho capito soltanto vivendole. Dopo la separazione da Chiara ho passato dieci anni difficili, ma sono stati forse tra i più formativi della mia vita. Ero triste e arrabbiata. Mi dicevo: “Che faccio adesso? Dove vado dopo 17 anni investiti in questo progetto in cui ho creduto con tutte le fibre del mio essere?” Non sapevo da dove ripartire».
È ripartita dalla musica.
«Lavoravo come dj e andavo in studio a registrare con gli amici, che sono quelli di sempre. “Ama e fa’ ciò che vuoi”, diceva Sant’Agostino. Io ho messo una devozione totale in tutti i miei progetti. Anche quando andavo a cantare nei ristorantini, mentre la gente mangiava. Ogni tanto ricevevo un messaggino cattivo, pochi per la verità: “Guarda come ti sei ridotta”. Ma perché? Il mio mestiere è intrattenere le persone con la musica ed è un grande privilegio».
Non si è mai scoraggiata?
«Per me il pubblico è lo stesso: al Forum di Assago e nei piccoli locali. Anche quando il palco era minuscolo, o inesistente, chiamavo il truccatore e l’hair stylist perché volevo essere vestita e pettinata come si deve, perfetta».
Non deve essere stato semplice.
«Bisogna abbracciare questo lavoro quando ti trattano come una divinità e ti portano in trionfo – come adesso che le cose sembrano essersi messe col vento a favore – e quando ti sembra che tutto soffi contro. In Animal house John Belushi diceva: quando il gioco si fa duro i duri cominciano a giocare. Vero. È troppo facile essere forti se va tutto bene».
Cosa l’ha aiutata?
«Sono sempre stata gentile ed educata. Se proprio ti vuoi atteggiare da diva lo fai sul palco. Una volta scesa devi rispettare tutti: dal tecnico delle luci al driver, dal regista a chi ti porta il pranzo in camerino. Perché è la tua squadra di lavoro che ti aiuta a brillare».
Amici come Max Pezzali non l’hanno lasciata sola.
«A lui e a sua moglie Debora sarò sempre riconoscente. Max non parla troppo e non dà tanti consigli, ha un modo sobrio di starti vicino. Ricordo che al loro matrimonio, durante lo scambio di promesse ha fatto un discorso bellissimo, ha raccontato che i pavesi al massimo dicono te voeuri ben. Non esiste il ti amo, c’è un contegno nell’esprimere i sentimenti che appartiene forse un po’ di più al Nord Italia».
Che ha fatto per lei?
«Mi chiese di lavorare con lui e Jake La Furia in un programma tv: intervistavamo gli autori dei tormentoni dagli anni Ottanta in poi. Da quando ero a casa a guardare il soffitto e a piangere, mi ritrovai a far parte di un trio di scalmanati, in giro per l’Italia su un furgoncino scassato. Mi sono divertita ma ci sono stati anche momenti difficili. A volte mi tornava il magone. Un giorno scoppiai a piangere in macchina prima di fare un’intervista a Nek che ci aspettava in un castello».
Cecchetto ha accusato Pezzali di essere un ingrato.
«Conosco benissimo Max e Claudio ma non entro nella polemica, sarebbe scorretto. So solo che Max non è un ingrato, è una persona che ha un cuore enorme, ha messo sempre lealtà e generosità davanti alla sua carriera. È davvero un essere speciale e un grande artista che ha saputo con le sue canzoni creare una storia generazionale».
Lei è mai stata vittima di invidie o gelosie?
«Purtroppo fanno parte dell’animo umano, bisogna saperle gestire. Io sono innamorata degli esseri umani con tutte le loro contraddizioni però mi lascio ispirare e mi circondo soltanto di persone che hanno una visione bella della vita».
Le è andata male quella volta che lei e Chiara stavate insieme, a vostra insaputa, con lo stesso ragazzo.
«È una storia che quasi non ricordo. Può capitare a tutti di incontrare elementi manipolatori che ti intortano e poi fanno lo stesso anche con la tua best friend o tua sorella. E quando lo scopri ti chiedi: “Ma veramente?”».
Non avete litigato?
«Come puoi arrabbiarti quando hai a che fare con un idiota? Io e Chiara siamo sempre state leali, non ci siamo mai fatte lo sgambetto. La solidarietà e la sorellanza vengono prima di tutto».
Se non avesse fatto la cantante?
«Da piccola rompevo le scatole a mia madre perché volevo diventare una chef. Poi mi è passata e a un certo punto avrei voluto essere una veterinaria. A 12 anni mi sembrava tutto chiaro: farò la fotografa. Andavo in giro con una compattina con rullino e scattavo in continuazione, stressai mamma per iscrivermi a un corso di fotografia, alla Rinascente. Corso comunale, perché la nostra era una famiglia sobria e non si potevano fare grandi sprechi».
Voleva pure fare la wedding planner, perché?
«Adoro i matrimoni, tolta la parte sentimentale, quella delle promesse, sono un apparecchiamento, un grande show. E io me ne sono organizzati parecchi di spettacoli quando lavoravo da sola».
Già da bambina, con Chiara, metteva su dei musical per la sua famiglia. E faceva pagare il biglietto: mille lire.
«C’era pure mia cugina. Eravamo diaboliche. Avevamo quattro carabattole e ci costruivamo dei mondi».
Il suo primo talent scout?
«Padre Vincenzo dell’ordine dei Carmelitani Scalzi e suor Maria Luisa, che mia sorella chiamava la perpetua, dirigevano il coro della chiesa. Io e Chiara non siamo mai state due ferventi credenti, andavamo all’oratorio perché era un luogo d’incontro, vicino a casa, e sfogavamo lì la nostra passione per la musica».
Li ha mai rivisti?
«Suor Maria Luisa l’ho incontrata un paio di volte per strada, ma ho fatto finta di niente. Poco tempo fa, però, mentre ero in lavanderia, è entrata lei. Abbiamo iniziato a parlare. Era ed è una donna molto asciutta e sobria, ma è stata molto carina e mi ha pure fatto i complimenti».
Era un’adolescente determinata. Anche negli studi.
«Mio padre mi avrebbe spedita a ragioneria, non voleva che fossi legata all’idea di dover frequentare l’università a tutti i costi. Io scelsi e ottenni di iscrivermi al liceo classico Beccaria».
Dove trovò il professor Roberto Vecchioni.
«È stato il mio insegnante solo per un anno, in quarta ginnasio, poi si trasferì a Desenzano con la famiglia. Ero brava in italiano e filosofia, ma con lui ogni tanto sono volati dei votacci in greco e latino, che studiavo poco perché ero refrattaria alle regole, non mi piaceva imparare a memoria. Roberto era meraviglioso, un affabulatore, l’insegnante che tutti sognano di avere, quello dell’Attimo fuggente: ti apriva scenari che non avresti mai sospettato».
La prima volta che entrò in classe...
«Aveva un’aria austera, arcigna, con il sigaro spento in bocca e il registro sottobraccio. Noi quattordicenni terrorizzati, era l’inizio dell’anno scolastico. Appoggiò il registro sulla cattedra facendo un rumore d’inferno: “Bene, adesso vi aspettano 5 anni di calci in c...”. Uscì sbattendo la porta. Ricomparve dopo 5 minuti e iniziò a fare lezione come se nulla fosse. L’ingresso con quella parolaccia era un modo per dire: “Raga, parlo la vostra lingua. Sono severo, però vi capisco. Quindi non provate a prendermi in giro”».
Non aveva punti deboli?
«Quando l’Inter perdeva era particolarmente di cattivo umore, quindi noi la domenica speravamo sempre che i nerazzurri vincessero. Sennò erano dolori».