Tuttolibri, 24 novembre 2024
Lettore di 73 anni chiede consigli sulle app di incontri
Sono un uomo di 73 anni e recentemente mi sono ritrovato in un mondo che mai avrei pensato di esplorare: le app di incontri. L’amore e la compagnia sono state una parte fondamentale della mia vita, ma non avrei mai immaginato che la tecnologia sarebbe diventata così centrale anche in questo ambito. Dopo aver perso mia moglie qualche anno fa, pensavo che la mia vita sentimentale fosse ormai chiusa. Ma mia nipote mi ha convinto a provare queste nuove applicazioni, dicendo che il mondo non aspetta, e nemmeno il cuore.Così, un po’ titubante, ho creato un profilo. Ho scelto una foto recente, ho scritto un breve messaggio su di me – ex insegnante, appassionato di libri, cinema classico e passeggiate. Ma confesso che mi sento un pesce fuor d’acqua. Non sono cresciuto con queste cose e non so bene come muovermi. I messaggi a volte mi sembrano strani, e spesso ho paura di dire la cosa sbagliata.Dopo qualche tentativo, ho incontrato delle persone piacevoli, ma sembra che tutti siano alla ricerca di qualcosa di diverso. C’è chi vuole solo amicizia, chi si affeziona subito, chi non risponde.Mi chiedo se esista ancora la possibilità di trovare una connessione autentica anche alla mia età.C’è qualcosa che dovrei fare per migliorare le mie chance? Devo essere paziente o adattarmi a questa nuova realtà, che mi sembra ancora così lontana dal mondo in cui sono cresciuto? Qualsiasi consiglio, anche il più semplice, sarebbe molto apprezzato.Con affetto e un po’ di speranza,Giovanni
A quanto scrivi, caro Giovanni, dovresti essere quello che oggi si definirebbe un Boomer, parola di cui ho capito – forse – il significato soltanto negli ultimi mesi, anche se nessuno di quelli a cui ho chiesto di spiegarmelo mi ha saputo rispondere (il che per altro verso dimostra quanto i gerghi riescano a bucare il linguaggio a prescindere dalla comprensione del loro senso).Non ho esperienza di app d’incontri, benché non sia affatto contrario all’idea che una relazione possa essere facilitata dal mezzo tecnologico. Il fatto è che noi nati nel secolo scorso siamo cresciuti nel paradigma della casualità dei rapporti umani, sì che viviamo quasi come una vergogna la possibilità di un appuntamento combinato sull’autorappresentazione, che ci esponga al rischio di una realtà molto diversa da quella che ci saremmo aspettati di trovare; ma è questa, purtroppo, la trappola della tecnologia. Il rischio di restare delusi è così forte che c’è chi non vuol saperne di correrlo, e preferisce stabilire relazioni esclusivamente virtuali, “senza congresso carnale”, come si dice in legalese con una formula piuttosto ridicola, e mai accetterebbe di confrontarsi con una realtà che distruggerebbe in un attimo un lungo lavoro di astrazione, che rassicura proprio in quanto non dà appuntamenti con il reale.Viviamo un tempo in cui la tecnologia corre verso la smaterializzazione di tutto (in un certo senso, il digitale è la negazione della realtà per come la conosciamo), sì che anche il corpo tende a non essere più così essenziale alla costruzione di un rapporto. Non ti sto dicendo di darti alle relazioni fantasmatiche, di negarti la possibilità di un incontro di carne (le ossa non è che non contino, ma non si vedono poi tanto), ma di considerare che per gestire in modo positivo (per te) lo strumento tecnologico, devi cambiare i tuo approccio mentale con il mezzo, e dunque prepararti a conoscere l’altro in un modo diverso e nuovo rispetto a quello a cui sei abituato. Potresti avere delle belle sorprese, perché no.Nel frattempo, per stare sul tema dell’incorporeo, ti consiglio (non un libro, ma) un film d’autore (che in un certo senso è un libro), Lei di Spike Jonze, in cui un uomo rimasto solo dopo una separazione s’innamora di un sistema operativo basato su un’intelligenza artificiale dotata di una voce femminile. C’è un passaggio particolarmente significativo in cui “lei” (la voce) manca a un appuntamento con il protagonista (Joaquin Phoenix, eccellente come sempre), scaraventandolo nell’angoscia. È il momento in cui, paradossalmente, l’entità femminile diventa reale nella mancanza di sé. Quel corpo non c’è ma finalmente esiste, in quanto mancante; in quanto non-corpo. Accettare la virtualità di un incontro, anche solo come prefazione di un appuntamento, implica una riconsiderazione dell’estraneo, la capacità di guardarlo con occhi diversi dai soliti, pensando che anche lui, come noi, avverte il disagio di una mutazione antropologica (per usare una definizione pasoliniana) a cui sta cercando di adattarsi. Buona fortuna.Diego De Silva