La Lettura, 24 novembre 2024
Curiosità su Heidi, libro e cartone
Luglio 1973. Sei giapponesi di talento, sulla trentina, sono in viaggio in Svizzera. Isao Takahata, regista; Hayao Miyazaki, scenografo, addetto ai layout e animatore; Yoichi Kotabe, fumettista (per lui viene coniato il termine di character designer, inventore dei personaggi); i produttori Shigeto Takahashi e Junzo Nakajima; Takeo Watanabe, compositore. Fanno location hunting, attività pionieristica per i tempi. Cercano luoghi adatti al loro progetto. Visitano il Cantone dei Grigioni, vanno nel paese di Maienfeld e nel borgo di Oberrofels, dove trovano la baita del «nonno», fanno tappa a Zurigo, si spingono fino in Germania, a Francoforte (la casa di Goethe farà da modello alla dimora di Clara). Si guardano attorno, affascinati dalle montagne, dalla distesa di prati punteggiati di capre al pascolo. Hanno un’idea ambiziosa: raccontare la storia di una bambina immersa nella natura, pronta ad affrontare le difficoltà con coraggio, ad aprirsi agli altri senza pregiudizi. Una ragazzina speciale in un Paese neutrale. Tornati in patria, i sei si mettono al lavoro. Heidi, la protagonista del romanzo di Johanna Spyri, pubblicato tra il 1880 e il 1881, prende forma. Nel 1974, cinquant’anni fa, va in onda il cartone animato (ora si dice anime). Il mondo intero se ne innamora.
Diamante svizzero incastonato in Giappone. Heidi — il romanzo – arriva per la prima volta a Tokyo, tradotto dal tedesco, nel 1920. Subito incontra il favore dei lettori nipponici, da quel momento viene pubblicato innumerevoli volte. Soprattutto negli anni Settanta, quando l’arcipelago vive un momento difficile: anche se il dramma della guerra è alle spalle, il boom economico ha snaturato le città (la crisi abitativa impone appartamenti sempre più piccoli), il livello di inquinamento acustico e atmosferico cresce insieme allo stress, aumentano i disturbi respiratori nei centri più popolosi (Tokyo, Yokohama, Nagoya, Osaka), si fa strada la malattia di Minamata, un’intossicazione cronica da mercurio. E allora quella bambina a piedi nudi nell’erba fa pensare all’aria pura, a boschi incontaminati, al latte fresco. Diventa un modello. In più è finalmente una protagonista femminile che deve affrontare decine di sfide e subire una certa discriminazione. Quale personaggio migliore per un cartone animato che non parli di battaglie e robot?
Certo, bisogna attenuare i riferimenti religiosi, molto presenti nel libro di Spyri, ma quello non è un problema, la natura permea Heidi al punto che un tocco di animismo shintoista (i tre abeti dietro la baita del nonno sono quasi tre guardiani) non può compromettere la narrazione, peraltro molto aderente al testo originario. I nippo autori aggiungono alla storia il cane Nebbia (per i fan del premio Oscar Miyazaki: qualcuno vede in quel San Bernardo enorme, peloso, protettivo nei confronti di Heidi un Totoro ante litteram). Altre curiosità: il nonno è la fotocopia di un giocattolaio incontrato durante il famoso viaggio del 1973; per la protagonista i colleghi Kotabe & co. immaginano due treccine alla Pippi Calzelunghe (progetto inseguito e fallito perché Astrid Lindgren non vuole che la sua eroina diventi un cartone) ma poi ci ripensano: «E chi gliele fa le trecce? Il nonno?». Rinunciano. Per fortuna: la zazzera mora che sfiora le gote della bimba è irresistibile.
Dai 6 agli 8 mila disegni per puntata per 52 costosissimi episodi trasmessi dal 6 gennaio al 29 dicembre 1974. Il paesaggio, le emozioni, la tenerezza, la cura dei dettagli fanno di Alps no shojo Heidi («Heidi, la fanciulla delle Alpi») un successo clamoroso, un «capolavoro» che in Giappone arriva a raccogliere il 26,9 per cento di share e viene esportato in venti Paesi, Arabia Saudita compresa. Raiuno trasmette il cartone nel 1978: la bellezza della serie accompagnata dalla sigla-tormentone di Elisabetta Viviani con le caprette che «fanno ciao» (il disco vende oltre il milione di copie) convince anche gli italiani. E continua a farlo.
«Heidi è senza tempo», afferma Luigi Paolo Zeni, che con Christian Esposito cura la mostra Buon compleanno Heidi! 50 anni della serie animata, a Lugano (Sala San Rocco, Quartiere Maghetti), in Svizzera, fino al 12 gennaio, unica esposizione ora in Europa dedicata all’anime (mentre in Giappone non si contano le celebrazioni). «È curiosa, altruista, innocente, intraprendente, gioiosa, affettuosa, in particolare con la nonna di Peter. Questa indole positiva, però, ha una sua complessità e si scontra con molti ostacoli: dal fatto di essere orfana al maschilismo della società rurale svizzera, fino alla difficoltà di inserirsi nell’ambiente cittadino di Francoforte, dove la bimba si ammala e perde vivacità e dove, pur di rimanere a contatto con la natura, si ritrova a giocare con i topi di casa Sesemann. A questi tratti psicologici si aggiungono la dolcezza della musica di Takeo Watanabe e l’intensità delle tempere». Zeni, svizzero, storico dell’arte dell’estremo Oriente, prova a spiegare così mezzo secolo di successi (i remake creati in computer grafica, ma anche i film vecchi e nuovi, i telefilm, gli action movie non sono che una pallida imitazione, a volte anche bruttina): «Heidi – aggiunge – è un prodotto di eccelsa qualità, e questo non sfugge alle generazioni di ieri e di oggi. Il suo messaggio è universale, ha una forte componente femminista e ambientalista che la rende modernissima».
Non è facile, ammette Zeni, portare i disegni originali degli anime fuori dal Giappone. Per questo le mostre su Heidi sono rare in Europa. Al 2019 risale Heidi in Giappone, a Zurigo. Per quell’occasione Yoichi Kotabe (in questo articolo tutti i cognomi giapponesi seguono i nomi, all’occidentale) disegnò la piccola che vedete qui a sinistra.