La Stampa, 24 novembre 2024
I nuovi leader machisti
Due scene, molto diverse, mi sono rimaste impresse in questa settimana che ci porta al 25 novembre, giornata internazionale contro la violenza sulle donne.
La prima. Assemblea dell’Anci al Lingotto di Torino. Sergio Mattarella sale sul palco. Sono tutti in piedi. La standing ovation dura minuti. Il presidente non ha ancora parlato. È come se non ne avesse bisogno.
In un momento in cui i valori si sbriciolano appare come l’ultima roccaforte contro la dissoluzione collettiva. Almeno è quello che sembrano pensare gli oltre cinquemila sindaci di fronte a lui. Mattarella domanda: «È possibile regalare all’Italia un po’ di concordia?». L’applauso diventa un’esplosione. Una larga parte di Paese, apparentemente, non chiede altro. Eppure.
Eppure, più o meno nello stesso momento, il ministro dell’Istruzione, Giuseppe Valditara, intervenendo all’inaugurazione della fondazione Giulia Cecchettin, punta il dito contro i migranti irregolari e assatanati.
Senza dire che la strabordante maggioranza delle violenze sulle donne avviene all’interno delle famiglie (tema tabù) e il presidente del Senato, Ignazio La Russa, decide che la panchina rossa come simbolo delle donne sopraffatte non è sufficiente se quella stessa panchina non viene arricchita da un magnifico e identitario fregio tricolore. Sai mai che il rosso evochi il comunismo e non il sangue delle vittime. Mica si può lasciare agli «altri» una battaglia così. Come se anche la difesa delle donne fosse una qualunque manipolabile schermaglia politica e non una questione, ovvia, di civiltà, oltre a un naturale momento di mattarelliana «concordia». Perché ci dividiamo anche su questo?
Seconda scena. Questa volta al teatro Regio, dove si inaugura la quarantaduesima edizione del Torino Film Festival. Sala piena. Molti divi di Hollywood, da Sarah Jessica Parker a Ron Howard, che presenta un film duro e bellissimo sugli istinti brutali degli esseri umani. Titolo piuttosto efficace: Eden. Paradiso. Prima della proiezione si prende la scena un’ipnotica Sharon Stone. L’incarnazione più affascinante, carismatica e sofisticata di Hollywood. Quella parte di America che ci ha fatto sognare e che oggi stentiamo a riconoscere. Dice una frase che nella mia testa completa e sigilla la domanda retorica di Mattarella. «La cosa migliore che possiamo fare, in un’epoca così difficile, è trattarci a vicenda con compassione». Qui l’ovazione è un uragano.
Ecco. Non sarà davvero questa montante mancanza di compassione a travolgerci? E non sarà che in questa fase umanamente, politicamente ed economicamente regressiva, rischiamo di precipitare nel medioevo dei nostri rapporti con gli altri? Non sarà che l’aria che respiriamo si sta nuovamente intossicando di machismo brutale, destinato non tanto a farci tornare indietro sulla cornice legislativa (dall’aborto al divorzio, dalle quote ai pari salari è inimmaginabile il dietrofront) quanto a sdoganare quella legge del più forte, della prepotenza e dell’arroganza da leader securitari e onnipotenti che la contemporaneità occidentale sembrava aver archiviato?
Non è difficile notare che oggi il pianeta è guidato da capipopolo piuttosto brutali. Nei modi e nelle idee. Putin, Modi, Xi Jinping, Trump («proteggerò le donne, che a loro piaccia o meno»), persino il mutevole Elon Musk, che in nome della libertà di espressione riammette su X l’orrido Nick Fuentes, suprematista bianco noto per lo slogan: «Your body my choice». Il tuo corpo è una mia scelta. Siamo, cioè, di fronte a capi di Stato che esprimono una visione del mondo in cui i valori femminili – la mediazione e la cura in testa – non solo non si completano con quelli maschili, ma sono del tutto assenti, per non dire cancellati.
Il caso del presidente argentino Javier Milei è particolarmente interessante. Gli piace giocare a Rambo, regalare pupazzetti a sua immagine e somiglianza con tanto di motosega e come primo gesto del suo nuovo governo ha abolito il ministero delle Donne, del Genere e della Diversità (sappiamo che le parole genere e diversità sono kryptonite per i turbo-reazionari del pianeta, ma la parola donne sembrava indiscutibile per tutti) ed eliminato ogni forma di linguaggio inclusivo nei testi della pubblica amministrazione in nome di un revanscismo catto-medievale da orticaria. Non male in un Paese dove viene uccisa una donna ogni 35 ore. In tutti i suoi discorsi, anche in quelli più crudeli, c’è sempre qualcosa di caricaturale, di impostato, in definitiva di patetico. L’ultimo, condiviso a sorpresa a Buenos Aires con la premier italiana Giorgia Meloni, assieme alla quale Javier Milei ha auspicato: «Un’alleanza di Paesi liberi, contro tirannia e miseria perché l’Occidente si trova nelle tenebre e chiede a noi di fare luce».
Sarebbe interessante sapere da chi è composta la marea di fedeli occidentali che hanno chiesto al presidente argentino di stendere la sua mano sulle loro povere e confuse teste. Così come è interessante chiedersi perché a Giorgia Meloni piaccia questo genere di racconto rozzamente muscolare. La risposta più banale, che Meloni implicitamente ha già dato con la scelta iniziale di farsi chiamare IL presidente e non LA presidente, la si trova nell’idiosincrasia di una parte del suo elettorato per i leader donna. E lei, nonostante l’articolo al maschile che precede la carica, è indubitabilmente entrambe le cose. Irrimediabili cortocircuiti logici.
Resta che questo atteggiamento volutamente ambiguo di sicuro non fa da argine allo strisciante maschilismo di ritorno. Esagero?
Ne ho parlato brevemente con il professor Massimo Cacciari, notoriamente convinto della fine ormai bi-centenaria del patriarcato, dunque non sospettabile di pregiudizi «woke», supposto atteggiamento intollerante verso forme di linguaggio politicamente scorrette. La sua posizione è semplice. Chiara ma non rassicurante. Sintetizzo male. L’ordine patriarcale si è definitivamente rotto, da questo punto di vista non torneremo più indietro. Ma la lotta per affermare pari diritti è faticosa e non ancora compiuta. Serve un salto culturale, di educazione, che la politica si rifiuta di fare. «Purtroppo dobbiamo ancora fare i conti con le conseguenze tragiche che i grandi salti culturali provocano nelle coscienze più deboli. Anche questa è una regolarità della storia. L’idea di risolvere questo problema con la bulimia punitiva e non con la cultura, è una fesseria megagalattica. Il problema è che la formazione è del tutto saltata. Ad eccezione di quella dei social». Sicuro che non stiamo tornando indietro? «Indietro non si va mai. Ma si può andare in un avanti che è peggio dell’indietro».
E qui si torna al trumpismo, ma soprattutto alla «violenza amplificata dai migranti» e alla panchina rossa col fregio tricolore. In Italia non mancano le leggi. Manca, ha ragione Cacciari, la sensibilità. Quattromila compatrioti – la maggior parte italianissimi – vanno in giro con il braccialetto elettronico. A testimonianza del fatto che esiste una larga tribù di barbari che lo Stato, grazie al cielo, ha ben presente. Se non è patriarcato è comunque una forma di maschilismo velenoso apparentemente invincibile. Nei commissariati troppo spesso le donne non vengono credute o, peggio, liquidate con paternalistici «torni a casa e vedrà che tutto si risolverà». Difficile però non rimanere colpiti da due statistiche. La prima: le denunce delle donne sono due volte più credibili di quelle degli uomini. Lo si evince dal fatto che portano al doppio di condanne. La seconda la fornisce Gianpiero Dalla Zuanna, professore di Statistica all’Università di Padova, partendo da una domanda che scatena le destre: è vero che il tasso di violenza sessuale è maggiore fra gli stranieri che fra gli italiani? Difficile da sostenere, perché – e qui i dati sono dell’Istat – la propensione delle donne italiane a denunciare uno stupro è sei volte più elevata se l’autore è uno straniero. E otto volte superiore per i tentativi di violenza. Più complicato accusare i propri «cari». Ma, per una parte della politica, è conveniente annacquare il tema, spostare l’attenzione e dare la colpa a loro, agli «altri» venuti da fuori. Perché se te la prendi con mariti e fidanzati che fine fa la triade Dio, patria e famiglia?