il Fatto Quotidiano, 24 novembre 2024
Intervista a Drusilla Foer
Elegantissima. Chicchissima. Carismatica. Sarcastica. Ironica. Commovente, all’improvviso. Dura, quando serve. E poi osannata dal pubblico, sold out a ripetizione per Venere nemica, applausi per ogni spiffero emanato anche solo dallo sguardo, dalla camminata sui tacchi (francesi, ci mancherebbe), dagli abiti ricercati e dalla pettinatura argento. Drusilla Foer è diventata una realtà ai tempi del Covid, con i suoi video, i suoi interrogativi, le sue riflessioni. Poi il palco di Sanremo le ha offerto il riflettore nazional popolare e il nazional popolare si è tramutato in vita quotidiana.
Oggi Drusilla è un’esperienza tridimensionale, dove l’apparenza sublima la sostanza; la sostanza sconvolge lo stomaco e invade la mente; la mente elabora e scova il naturale davanti all’apparenza. «Sì, però questo è uno spettacolo provante. Sono una povera vecchia».
(Dopo lo spettacolo siamo andati a trovarla nei camerini e, dopo un po’, è apparso Gianluca Gori. Gori non è solo l’alter ego di Drusilla, ma proprio l’opposto. Come si muove, come parla, come si veste, con i pantaloni acetati di una tuta, il calzino sopra la stessa tuta e le scarpe da ginnastica. In questa intervista, però, c’è Drusilla. In apparenza.)
Non sembra povera, né vecchia.
Sul povera bluffo bene, rispetto al vecchia spendo molti soldi.
Riscuote grandissimi successi e consenso.
È vero. Gran parte della popolarità è dovuta a un tocco di brillantezza oltre al traino di Eleganzissima, spettacolo fortunato con oltre 350 repliche; (pausa) quando il pubblico viene a vedere quest’ultimo lavoro, non sa cosa troverà: inizialmente è aggressivo, abrasivo. Non è la solita Drusilla.
Spiazzante.
Non mi dispiace, e poi già mi vengo a noia da me.
Le accade spesso?
Spessissimo, sono insopportabile.
Quindi?
Il personaggio di Drusilla viene percepito un po’ da one woman show, all’americana, mentre ora si trovano davanti a un testo con diversi piani di lettura: alcuni lievi, alcuni comici, alcuni duri e intensi. E ho accanto Elena Talenti, bravissima (è vero, bravissima).
L’annoia mai il palco?
Mai; piuttosto è faticoso mettere su il trucco: ci vogliono due ore e mezzo.
È un punto di riferimento per molti e molte...
E sto attenta a quello che dico, penso di avere una responsabilità sul mio pensiero; (pausa) tutti dovremmo mantenere questa responsabilità, anche quando non si è personaggi pubblici, ma ancor di più se ci sono persone che ti ascoltano.
Negli ultimi anni la sua platea si è moltiplicata.
Per questo sono accorta e rispettosa dell’ascolto del pubblico, cerco di riflettere su ciò che dico; anche nella pièce i contenuti sono pensati.
E autobiografici?
Alcune cose. Tipo il racconto della poesia sulla morte recitata a Natale per desiderio della nonna... È un passaggio affettuoso per ricordare al pubblico che sono ancora una cretina; nel testo ci sono dei punti che sento particolarmente, tipo il monologo di Venere che intravvede per un attimo cosa sia l’amore e lo descrivere come un calore interminabile che dalle viscere sale al petto e poi allarga la mente.
Lo conosce.
Provato appieno non moltissime volte, me dentro quel monologo ho inserito gli amori che ho vissuto.
In lei cosa cercano gli uomini?
(Silenzio, prolungato) Credo poco.
Possibile?
Gli uomini li ho sempre un po’ spaventati: o perché sono troppo simpatica o perché sono troppo intelligente, o perché pensano che sia troppo intelligente; credo di essere disposta a uno scambio leale, onesto e paritario con il mondo maschile e questo non sempre piace.
Con le donne?
Non indago sui motivi del mio successo, ma con loro sono disposta a un dialogo e parlo molto delle donne stesse, pur nella complicatezza del mio personaggio; (silenzio, cambia tono) spero che questa mia allusione sia sufficiente.
Va bene.
Le donne si tranquillizzano con il fatto di avere un’interlocutrice che parla di libertà, di indipendenza, di dovere all’essere quello che si è.
Dovere.
Lo è.
Le chiedono consigli?
Sì, anche le quindicenni o le quarantenni avvilite.
Risponde.
Quando posso pure sui social: prima di salire su palco gli dedico una mezzora.
Prima di salire sul palco non cerca di concentrarsi?
Impiego così tanto a prepararmi...
Il primo segnale di fama.
Per ovvi motivi non mi hanno riconosciuta per strada; il passaggio è avvenuto quando mi sono accorta di essere ascoltata.
Quando?
In modo potente con i video durante la pandemia: all’inizio un po’ sciocchini, quelli di una signora che magari non sapeva come mettere il sale nella lavastoviglie; poi ho iniziato a inserire dei temi importanti e da quel momento il mio personaggio è stato ascoltato.
Ed è arrivato Sanremo.
Il monologo non lo sapevo neanche a memoria, non volevo fosse una prova attoriale, desideravo un ragionamento in fieri per arrivare a sostenere l’accettazione di sé, uno sguardo che presuppone una comprensione senza risultare piagnucolosi.
Ha immaginato tutto quel clamore?
Macché! La mattina, dopo il monologo, è andato in bomba Facebook.
Hanno provato ad appropriarsi di lei?
È chiaro che un certo tipo di sistema ha tentato di mettere il cappello su ciò che provo e penso, ma avevo il coltello dalla parte del manico: ho lasciato che accadesse se mi era lasciata la possibilità di parlare a un certo tipo di persone e con un certo tipo di concetto; laddove c’era solo della morbosità rispetto a ciò che mi compone geneticamente, o per la costruzione del personaggio, ho fatto passi indietro. Dopo Sanremo ho accettato un centesimo delle offerte ricevute.
E la politica?
Anche lì ho impedito il cappello.
Improvvisamente si sono palesati tanti amici.
I veri amici sanno che sono una grulla, che amo parlare, cantare, ballare.
Grulla?
Pure distratta.
Cioè?
A Sanremo esco dal camerino e trovo un gruppo di ragazzoni ingombranti dietro le quinte: “Ma proprio qua dovete stare? Andate fuori, è così carina la città”. E uno di loro: “Siamo la scorta di Saviano...”.
Dicono che ha sostenuto un provino per Francesco Bruni senza sapere che fosse un provino.
No, non è proprio così: Bruni mi telefona e mi avverte «stiamo arrivando». «Va bene, tanto è una lettura». «Ma che lettura, non la sa a memoria?». «No». «Non ha mai sostenuto un provino?». «No».
Ha mai dato uno schiaffo?
Sì, certo.
A chi?
Al Festival di Venezia, quando mi hanno assegnato il Nastro, dopo c’è stata una specie di festa e lì si è presentato un ragazzone, un arredatore, che mi ha proposto due chiacchiere nel privé. Allora siamo andati su una terrazza meravigliosa e lì ha iniziato a chiacchierare: gli domandavo del suo lavoro, lui mi poneva questioni un po’ noiose e io ero un po’ aggressiva. A un certo punto mi ha chiesto se poteva baciarmi. E io «certo», poi gli ho rifilato uno schiaffo.
Perché?
Nei film si fa così.
Lui ha gradito?
Immagino.
Schiaffo erotico.
Da civettuola. E sono andata via.
Sempre per Bruni i Festival sono momenti di totale finzione, dove quasi tutti appaiono quello che non sono.
Nel 2022 ho presentato i David, e stavo benissimo, con un vestito di Valentino; sì, è un rito, come un tempo quando si andava a Messa con la camicia pulita e le donnine indossavano l’unico taillerino realizzato dalla sarta. In realtà in certi contesti nessuno crede a nessuno.
Bluff.
Per alcuni è palese che il vestito lo hanno affittato o ottenuto in prestito; ma l’aspetto che ha impressionato è la competitività. Che non mi appartiene.
Zero?
Ho una convinzione: so fare delle cose, e posso solo farle al meglio delle mie possibilità. Se poi c’è qualcuno più bravo di me, cazzi miei.
È salva dall’angoscia.
E certo!
Quindi a Venezia e ai David ha colto la tensione.
Ci sono dei gruppi di persone che hanno piacere nel vincere, ci sono alleanze per raggiungere il risultato; ma senza un premio si vive bene lo stesso.
Pragmatica. Infatti la Fagnani la ringrazia per i consigli su Sanremo.
(Ride) Essere veramente se stessi, e non un modello da rincorrere, credo sia primario. E comunque non reggo lo scontro e la competizione, per questo li evito da tutta la vita.
Per niente al mondo?
No, mi incazzo davanti alle ingiustizie obiettive.
Tipo?
Non considerare gli immigrati nella loro esistenza umana.
Si è mai occupata di politica?
No, però mi sono incazzata spesso.
Mai una manifestazione?
Quelle sì, sbraitando come una matta; (pausa) manifestare oggi è un problema, quando ai nostri nipoti dovremmo educarli a manifestare i propri disagi, le proprie richieste, la propria solitudine. Purtroppo abbiamo affidato tutta la nostra vita a un oggettino che si può spegnere in qualunque momento, solo perché è finita la batteria; (pausa) abbiamo avuto la letteratura che un po’ ci ha educati, ci ha dato degli strumenti.
Quali libri l’hanno educata?
Herman Hesse ci ha offerto dei parametri di sentimento e sofferenza. Ci siamo sentiti esseri pulsanti.
Hesse sta bene su tutto, un po’ come Proust.
La Recherche mi ha segnata.
A 14 anni di cosa aveva fame?
Di andare via e di fare la figa per il mondo. Per fortuna i miei genitori me l’hanno permesso; (pausa) a 14 anni mi hanno regalato un orologio accompagnato dalla frase «d’ora in poi il tempo è tuo. Noi stiamo dietro, di lato, mai davanti». Mi hanno donato il privilegio dell’esperienza.
L’orologio esiste ancora?
Eccome.
È stata mai fraintesa?
Nel lavoro no.
Come veste il suo amico Gori?
Mi piace tanto perché indossa quello che trova.
Il suo opposto.
Correggo: indossa quello che in casa trova pulito; se un giorno vede Gianluca Gori con un bell’abito di sartoria e una camicia stirata, vuol dire che aveva tutti i jeans sporchi.
Gli consiglia mai di tagliarsi la barba?
Per lui è una frustrazione: la barba lo fa sentire sicuro e bello, ma a causa mia la deve tagliare. Temo provi del rancore. È vero, con la barba è un bell’uomo.
Un figo nonostante l’età; qualche volta credo che per lui sia frustrante dare spazio a una femmina di questo tipo.
È citata e osannata da tante persone. A chi dice grazie? A Franco Godi devo molto, e pure a Bruni; poi alla madre di Gianluca che non sta per niente bene: ha dato la libertà assoluta, senza la minima traccia di vergogna, ma solo orgoglio. Mamma straordinaria. Non ordinaria; e poi grazie a tutti coloro, come Ornella Vanoni, che ho ascoltato tantissimo per capire come si canta.
Come?
Basta pensare a quello che si dice, è necessario dare un valore alla parola; (pausa) è necessario spogliarsi di ogni vanità e essere vestali della parola. È quello che cerco di portare avanti nello spettacolo.
Il palco è una droga?
Per me no, ho più una dipendenza dall’invenzione. È più vitale la scrittura, l’immaginazione, la confezione, la progettazione di qualcosa.
Lei chi è?
Eh... a questo punto ho molti dubbi; (pausa) non per la complessità e tutte le persone che mi abitano, ma per aver intrapreso questa scelta: quella di esprimere me ed essere visibile mi ha rivelato anche lati inaspettati.
Quali?
(Cambia tono, si commuove) Il senso del privato. Il dolore è privato. Anche la gioia, qualche volta, ma soprattutto il dolore e i propri tempi nello stare con le persone che ami, che vorresti ascoltare, aiutare. O permetterti il lusso di avere il tempo per dire addio a una persona...