Il Messaggero, 24 novembre 2024
Intervista a Francesco Giorgino
Qualcuno potrebbe non crederci, ma Francesco Giorgino, per anni volto del Tg1 delle 20, al momento è uno dei pochi personaggi targati Rai ad andare in onda con buoni risultati. La seconda stagione del suo programma di approfondimento XXI Secolo, infatti, in onda il lunedì in seconda serata, viaggia a una media superiore al 9 per cento di share (quasi due punti in più rispetto all’anno scorso), per una media di circa 900 mila spettatori a puntata. Dopo l’addio al Tg1, nel luglio 2022, il passaggio alla Direzione editoriale per l’offerta informativa, e la promozione a direttore dell’Ufficio Studi Rai, un fortunato ritorno in video.
Se la passa bene, giusto?
«Sì. Le mie due identità professionali, giornalista e professore universitario (da anni dirige il Master in Comunicazione e Marketing politico ed istituzionale presso la Luiss di Roma, ndr), convivono bene».
Che cosa fa il direttore dell’Ufficio Studi della Rai?
«Riporto direttamente all’ad e coordino analisi e ricerche per studiare il nuovo posizionamento dell’azienda. La Rai è molto impegnata nel processo di trasformazione in Public Digital Media Company».
La Rai è indietro di vent’anni: online, a parte RaiPlay, di significativo non c’è altro, se non i social del Tg1 di Chiocci.
«Diciamo che ci stiamo mettendo al passo con quelle realtà più piccole per le quali cambiare in corsa è stato più facile. RaiPlay ne è la prova».
Sia sincero, si annoia?
«No. XXI Secolo mi consente di fare il giornalista, mentre con l’Ufficio Studi mi occupo del futuro Rai».
Avrà anche più tempo per giocare a tennis: sul suo profilo aziendale ho letto che è anche docente nei corsi di formazione per i maestri di tennis organizzati dalla Fit e dal Coni, e che si allena tre giorni a settimana per due ore.
«Magari... Dieci anni fa era così».
Ma come ha fatto a diventare maestro di maestri?
«Il tennis è stata una passione giovanile, poi interrotta, che è riesplosa in età adulta. Quando mi fu proposto di dare una mano per la metodologia dell’insegnamento del tennis accettai ma dovevo prendere il brevetto da maestro per capire come fare con gli aspiranti istruttori».
Ma perché proprio lei?
«In quanto docente universitario di comunicazione, posso aiutare gli insegnanti di tennis a trasferire meglio la propria conoscenza».
Il sottotitolo di XXI Secolo è «Quando il presente diventa futuro»: il suo come lo vede?
«Credo molto in questo programma perché non raccontiamo l’attimo, ma cerchiamo di andare sempre oltre le domande classiche, facendo investimenti in termini tematici e concettuali. Offriamo riscontri e interpretazioni dell’attualità miscelando linguaggi vecchi e nuovi. Stiamo andano bene. Siamo molto presenti anche online».
Tornerebbe al Tg1 come direttore?
«Sto bene dove sto e non vedo all’orizzonte questa prospettiva».
L’intervista che l’attuale direttore del Tg1 Chiocci ha fatto lo scorso settembre all’ex ministro Sangiuliano lei l’avrebbe fatta?
«Sì, magari l’avrei fatta un po’ più sintetica, ma era oggettivamente una notizia. Per uno come Chiocci, che da anni punta sulle esclusive, è stata una buona occasione».
Lei al Tg1 ha avuto rapporti complicati con almeno tre direttori: Clemente Mimun, Mario Orfeo e Monica Maggioni. Perché?
«Non direi. Bisogna distinguere: di Mimun preferisco non parlare (nel 2005 in un’intervista a Libero, poi tardivamente smentita, Giorgino disse di non apprezzare la linea editoriale del suo direttore, che lo tolse subito dalla conduzione delle ore 20, ndr). Con Orfeo, invece, c’è’ un equivoco: lasciai la guida del servizio politico perché l’azienda aveva deciso che non si poteva contemporaneamente fare il caporedattore e il conduttore. Si disse di tutto, ma era solo questo. Sono su piazza dal 1991 e sicuramente ho discusso con qualche collega, ma nulla di anomalo».Due anni fa, invece, dopo aver rifiutato di condurre all’alba la rassegna stampa, con Monica Maggioni è finita male, sia sincero. Ha presentato un certificato medico.«Lo hanno detto altri, non io. E poi non ho rifiutato. Ho solo capito che era arrivato il momento di fare altre esperienze. Dopo 30 anni non era un problema di turni ma di progettualità. Conosco Monica da una vita e con lei non ho problemi, anzi».A proposito, Maggioni è stata direttore di Rainews 24 e Tg1, e presidente Rai: cosa ha in più di lei?
«Siamo solo diversi. Lei è molto brava sulle questioni internazionali, io ho un’ attenzione più spiccata verso la politica interna e l’innovazione».
Che ci vuole per navigare in un’azienda complicata come la Rai?
«Determinazione e visione».
Perché i risultati dell’attuale Rai sono così deludenti?
«Non sono d’accordo. Abbiamo sfide molto più alte in questo momento dell’ascolto del singolo programma. Più importanti sono il posizionamento dell’azienda nella trasformazione digitale e il governo dei processi legati all’evoluzione del mercato dell’audiovisivo e alla contaminazione tra i generi».
Nell’attesa l’azienda corre il rischio di andare fuori mercato.
«La Rai è un’azienda forte».
Vedremo. Secondo lei l’Italia riuscirà a rispettare la scadenza dell’8 agosto 2025 quando entrerà in vigore lo European Media Freedom Act, che impone ai governi e ai parlamenti europei di non aver alcun controllo sulle tv di Stato?
«Spero che la politica ce la faccia. Sarebbe un errore non arrivarci. La Rai deve continuare a essere la prima industria culturale del Paese».
Le piacerebbe fare il divulgatore alla Piero e Alberto Angela?
«Sì. È una dimensione che mi appartiene, anche se loro sono pezzi unici, per carità. Il servizio pubblico deve spiegare in modo semplice quei concetti estremamente complessi».
Ci spieghi, allora, come si fa ad accumulare 400 giorni di ferie da smaltire? Ovunque si prendono e basta.
«Per anni ho lavorato anche nel weekend, ho fatto speciali, edizioni straordinarie. Come capo del Politico c’ero sempre».
Lei è nato e cresciuto ad Andria, in Puglia: da ragazzo quali erano i suoi riferimenti giornalistici?
«Leggevo Alberto Ronchey, Indro Montanelli, e mi piaceva Sergio Zavoli. Al primo posto, però, c’era Bruno Vespa, e proprio lui fu il direttore che mi assunse».
In Rai si dice che lei, entrato come democristiano, è diventato di Forza Italia e ora sia in quota Lega: conferma?
«No. Le quote le affibbiano i colleghi dei giornali. Io sono un cattolico moderato in quota Rai».
Mi ha appena detto che in Rai non esistono le quote. Questa me la segno. Ha più amici giornalisti o amici politici?
«Ho tantissimi conoscenti in ambito politico e giornalistico, però ho poco tempo per frequentare gli uni e gli altri. E almeno una volta al mese vado nella mia Andria, in Puglia».
Lei è di Andria come Riccardo Scamarcio. A Francesca Fagnani lui ha appena raccontato, a Belve, di aver avuto una giovinezza turbolenta. La sua com’è stata?
«Mai uno spinello, niente rock’n’roll e poche donne».
Con l’esposizione in video non aumentano le occasioni?
«Con me nessuna si è fatta avanti. Sono cresciuto all’Oratorio salesiano di Andria... Ho detto tutto».
Perché non ha avuto figli?
«È stata l’evoluzione naturale della vita che ho fatto. Ho i nipoti, però. E gli studenti, che sono quasi figli».
Nel 2002 ha condotto il Dopofestival le hanno chiesto di fare altro?
«Più volte, ma ho sempre privilegiato il giornalismo allo spettacolo. Oggi potrei fare al massimo qualcosa di ibrido, tipo infotaiment, ma non certamente l’intrattenitore».
Guadagna sotto i 200 mila euro lordi, giusto?
«Sì. È tutto pubblico».
Sua moglie, Nicoletta Chiadroni, è la regista della Vita in diretta, oggi condotta da Alberto Matano: prenderebbe il suo posto?
«Matano lo fa benissimo, con risultati ottimi. Perché dovrei?».
Nel 2002 andò al matrimonio della sua amica Barbara D’Urso: le piacerebbe rivederla in Rai?
«Amica è un po’ esagerato. C’erano tante persone a quelle nozze e non l’ho mai frequentata più di tanto. Non la sento da almeno cinque-sei anni. Ha sicuramente grande esperienza, ma non spetta a me dire se verrà o meno in Rai».