Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2024  novembre 24 Domenica calendario

L’assemblea costituente del M5s

Roma – Anche i colori sono diversi. Ogni identità pregressa qui viene annegata in un generico colore blu, che a seconda dei gusti può richiamare l’Europa, Trump, o uno stile aziendale, che per altro si addice a questa due giorni di incontri «finalizzati a mettere sul tavolo le problematiche» come dice la presentatrice Veronica Gentili, stoica nel rimanere dal primo pomeriggio a sera sul palco rotondo a coordinare dibattiti ai quali, tutto sommato, nessuno presta la minima attenzione.
Che bella la politica, se si potesse vedere. Esiste una liturgia, nei luoghi. Oltre a migliaia di eventi che più istituzionali non si potrebbe, il Palazzo dei Congressi all’Eur ha ospitato tre congressi del Pci e altrettanti della Democrazia cristiana, quale luogo migliore di questo per farsi infine partito, abbandonando il movimentismo delle Cinque Stelle, ancora presenti all’interno del simbolo rivendicato da Beppe Grillo, ma tinte di bianco, scolorate del giallo delle origini, rese quasi biodegradabili.
Ma tutto appare già compiuto e già scritto, in qualche modo reso inodore, e se vogliamo essere autoreferenziali, giornalisticamente insapore. Siamo finiti qui per assistere alla celebrazione della cristologia di Giuseppe Conte, in un convegno pensato e fatto a misura dell’ex presidente del Consiglio.
Il suo partito nascerà oggi, dopo che saranno resi noti i verdetti sui quesiti scelti con metodo scientifico e rigoroso quanto si vuole, ma dal significato alquanto univoco, almeno per sei delle dieci domande. Fuori i secondi. Che sia l’Elevato garante, che sia l’ex sindaca della Capitale, a partire da questa sera il proscenio sarà di una persona sola. Ma tutto avverrà come con le scritte dalle tinte pastello, senza grida, in maniera ovattata, quasi democristiana. Come questa giornata inaugurale, dove persino la contestazione dei Figli delle Stelle – trenta persone con maglietta bianca e scritta nera «Nome, garante e logo non si toccano» – entra nel «contesto circolare», così l’ha appena definito Conte, invocando trasparenza. Non vengono cacciati. Sono invece contenuti, inglobati, che è qualcosa di diverso, mentre dalla platea si leva il coro «Un presidente, c’è solo un presidente», e l’avevamo già ascoltato altrove, in altre circostanze. Manca solo un «Meno male che Giuseppe c’è» o un predellino, e la celebrazione dell’uomo al comando che si fa partito sarebbe infine compiuta.
L’organizzazione è così perfetta che sembra di stare in un ambiente sterilizzato. Se i contestatori, guidati dall’ex deputato Marco Bella, un tempo della corrente di Virginia Raggi, si prendono la scena, a pareggiare il conto arrivano le truppe cammellate del Network giovani dei Cinque Stelle, così spontanei nel loro essere «né con Grillo né con Conte» da schierare davanti alle telecamere come uomo di punta Jacopo Gasperetti, per altro portavoce di Alessandra Todde, presente in prima fila in quanto emanazione diretta dell’ex avvocato del popolo. «Siamo in perfetta continuità con le nostre origini – dice lui – ma non sopportiamo le urla e le idee espresse a voce troppo alta», aggiunge, senza rendersi conto di avere appena affermato in una sola frase una cosa e il suo esatto contrario. Meglio i corridoi, dove desta il panico l’apparizione di un operatore televisivo tracagnotto e con la zazzera riccia e bianca che viene scambiato per Beppe Grillo, «Oddio è arrivato davvero!», scena che si ripete con una signora dai tratti somatici simili a quelli della dissidente Virginia Raggi. L’unica donna non del tutto fedele alla linea presente non solo in spirito è Chiara Appendino, che arriva tardi e si muove in punta di piedi, per non disturbare.
La prova del nove di quanto scritto finora è data proprio dall’unico protagonista previsto dalla sceneggiatura. Giuseppe Conte non è costretto a sorrisi forzati come gli capita quando si trova sul palco del Campo largo, che sia Liguria o Umbria poco importa. Qui sembra davvero felice, consapevole del fatto di essere a un passo ormai da una casa finalmente sua e soltanto sua. Appare e scompare, si fa vedere nell’atrio, sempre a suo agio, si dichiara «inossidabile progressista» e «del tutto indisponibile a interpretare una linea diversa da quella attuale, se questa emergerà dalle votazioni», è così di buon umore che, sia detto a suo onore, accetta il contraddittorio anche con i giornalisti che hanno opinioni diverse dalle sue.
Ma non risponde al quesito che gli viene implicitamente imposto dal pubblico in sala. Quando Enrico Mentana pone il problema di quale alleanza fare con un partito come il Pd, «che la pensa all’opposto di te» sulla guerra in Ucraina, l’osservazione del direttore del telegiornale di La 7 viene coperta da applausi a scena aperta, dimostrando così l’esistenza di un nervo scoperto. «Ogni cosa a suo tempo» è la salomonica risposta, in linea con i colori del convegno aziendale della Giuseppe Conte e soci.
A essere cattivi, verrebbe voglia di fargli presente che questa svolta cromatica l’aveva già tentata l’odiato Luigi Di Maio nel 2018, quando presentò la squadra di governo targata M5S, comprensiva di un allora sconosciuto avvocato pugliese. E che Gianroberto Casaleggio, chi era costui, detestava il blu.
*
«Se in Europa ci fosse un partito progressista ci permetterebbe di non tornare al passato. Io credo che questa sia stata, negli Stati Uniti, la spiegazione della vittoria di Donald Trump» che «ha scelto persone come ministri che vogliono distruggere l’America». Parola dell’economista e premio Nobel Joseph Stiglitz, intervenuto ieri in videocollegamento a Nova, l’assemblea costituente del M5S. Per Stiglitz negli Usa «ci saranno conseguenze avverse, ci sarà un sostegno per figure autoritarie e lui ne è un esponente». «Non dobbiamo accettare la disuguaglianza – ha proseguito il Nobel —. Io credo che dove c’è meno disuguaglianza le società funzionino meglio. Quindi per me un elemento centrale del movimento progressista dovrebbe essere la coesione sociale che si realizza solamente attraverso quelle politiche che promuovono una migliore uguaglianza ed equità tra le generazioni».